SOMMARIO: Immolare i problemi della riforma del diritto di famiglia, delle donne, ad una politica conciliare è controriformistica? - La sinistra dimentica che la sudditanza economica e psicologica della donna è la stessa sudditanza della vita politica italiana al clericalismo - Le difficoltà della iniziativa sulla libertà sessuale non siano alibi per creare "isole" reichiane - Non disattendere le indicazioni congressuali, pena il fallimento di esperienze acquisite)
(NOTIZIE RADICALI N. 107, 10 dicembre 1970)
La donna per una politica nuova
Qualcosa di nuovo si muove nella politica per la presenza, a volte tumultuosa ed esasperata, della donna. La donna socializzata ha scoperto nella sua condizione delle contraddizioni specifiche, storicamente ben determinate. Non solo è sorto un conflitto tra il suo ruolo di figlia sottomessa, moglie fedele e madre virtuosa e la sua attività sociale, ma ha preso coscienza che attorno al suo ruolo tradizionale si è costruita una certa struttura della famiglia che è a sostegno della società attuale. In breve la schiavitù economica e psicologica della donna rappresenta il pilastro del sistema patriarcale e autoritario che nella situazione italiana si identifica in grossa misura con quello clericale.
Le manifestazioni femminili in Italia quanto in altri paesi europei ed extra, per la veemenza e per lo stile inusitato, hanno rivelato questa presenza; una presenza che sempre meglio precisa la sua caratteristica per la corrispondenza che c'è tra la donna della campagna, ormai dispersa nel suburbio o vedova bianca, quella della borgata, condannata ad una procreazione infelice quanto non desiderata e la studentessa, l'impiegata o la casalinga urbana, sempre più e ugualmente emarginata quanto più richiede di essere parte attiva e autonoma della società.
Dinanzi ad una denuncia così chiara, dinanzi a nuove forme di organizzazione della attività politica della donna quello che sorprende è la risposta della sinistra italiana.
Se ieri, all'indomani delle lotte risorgimentali, la donna veniva sacrificata all'ideologia liberale non senza complicità con i dogmi delle "marie vergini", oggi ancora una proposta frontista esce dalla penna del vice-segretario del PCI che chiama a raccolta le masse cattoliche e socialiste attorno alla famiglia, meglio se con un diritto riformato. Da parte nostra non c'è che piena disponibilità alle lotte per la scuola materna, per gli asili-nido, per la casa e le strutture civili e su di esse intendiamo unitariamente portare il nostro contributo, ma la soluzione dell'attuale condizione della donna in Italia non sta, a nostro parere, unicamente nel raggiungimento di questi obiettivi.
La donna sa che proprio il tipo di scuola alla quale è quasi nella stragrande maggioranza avviata - le magistrali - è preparata di fatto alla discriminazione sul posto di lavoro, è destinata cioè a perpetuare nel ruolo di maestra i valori fondamentali di questa società; la donna sa che attraverso l'esclusiva dell'accesso alla scuola materna è destinata a tramandare la tradizionale figura di madre. La donna non ignora che gli asili sono un sottobosco del clericalismo secolare del ministero della P.I.
Dalla famiglia alla scuola e da questa nella nuova famiglia maritale, la donna è pienamente consapevole ormai che è vittima e veicolo dello stesso stile autoritario, dello stesso sistema patriarcale e clericale. La donna ha pure imparato che queste forme di oppressione sociale sono passate attraverso il canale della repressione sessuale. Quando la donna si scuote di dosso il mito della verginità e della maternità come bisogno biologico, scuote l'ideologia della repressione sessuale, storicamente istituzionalizzata in varie forme; sa di scuotere il sistema e sa pure di mettere in forse una certa tecnica politica, che spesso è espressione di immaturità psichica e di assenza di sessualità completa.
Accanto alle lotte per un diverso assetto economico la donna porta questo contributo: un nuovo valore della sessualità e della maternità.
La politica "della pillola" è per così dire una pillola per la vecchia politica. La politica dell'aborto ribalta una concezione della maternità: la vita è un fatto sociale e la maternità o è sociale o non è affatto, in quanto la donna può rifiutarla.
Ma per una maternità sociale, la casa e la lotta per la casa acquista nuova prospettiva; il lavoro, come realizzazione della personalità, diventa qualcosa di nuovo: i rapporti produttivi e sociali hanno una dimensione.
La lotta della donna per il superamento delle contraddizioni a lei proprie è una lotta socialista; nei suoi obiettivi e nei suoi metodi è pure una lotta di rinnovamento della politica: la lotta politica come lotta liberatoria.
L'incontro reichiano del 5 e 6 dicembre
Quando, nel febbraio 1967, il Partito Radicale organizzo, al Teatro Parioli in Roma, il I convegno nazionale sulla libertà sessuale, con il tema specifico "Repressione sessuale e oppressione sociale" notevole furono scandalo e successo. Con Luigi De Marchi, Carlo Silvestro, e i giovani del gruppo provos I, la stessa presentazione del convegno fu provocatoria. I giovani girarono per le strade di Roma annunciando la riunione con grandi cartelli dove, raffrontando nudi di riviste proibite e sequestrate e normali foto di reportages di guerra, si chiedeva: "Dov'è l'osceno?". Provocatorio fu l'appoggio di una rivista "per soli uomini", con temi d'attacco contro la sacralizzazione della sessuofobia (aspetto ideologico) e lo sfruttamento ai fini di potere e di monopolio sull'educazione, la scuola, la cultura e il costume da parte degli apparati ecclesiastici italiani. Sono passati tre anni che hanno smentito la previsione di un II Congresso sulla libertà sessuale a breve scadenza. L'ondata di contestazione studentes
ca, presto scaduta ad attivismo paleo-comunista o di equivoca rabbia generazionale, era sembrata sommergere certi temi di lotta in una più generale pratica e strategia rivoluzionario-libertaria. Il Partito Radicale, anche per questo motivo, catapultato pressoché esclusivamente nella campagna di sostegno alla LID e al divorzio, solo dopo il congresso di Milano del novembre 1969 è tornato a riproporsi, almeno in alcuni dei suoi settori, i temi reichiani. Gruppi o intenzioni d'impegno come "il collettivo per la libertà sessuale e contro le istituzioni psichiatriche", prima, il Movimento di liberazione della donna, poi, non potevano non tradursi anche in una ripresa di questa lotta. I contatti con i gruppi reichiani, in particolare quello di Napoli, hanno così portato a una riunione a Roma, il 5 e 6 dicembre, in via di Torre Argentina 18. Vi hanno partecipato in particolare gli psicanalisti di Napoli, Navarro e Salmoni, i quali hanno presentato la teoria sessuo-economica di Reich. Vi hanno aderito gruppi reichia
ni di Pisa e Firenze, vi ha partecipato Luigi De Marchi. Dopo un ampio dibattito che ha toccato i vari aspetti della politica sessuale in una strategia rivoluzionaria, dell'apporto eversivo della psicanalisi quale strumento conoscitivo dell'individuo si è convenuto di costituire un gruppo promotore per un movimento reichiano a Roma. Forse saremo chiamati a riflettere sui motivi di scissione e di esaurimento dei precedenti movimento reichiani, che sembrano tutti incentrati sulla necessità, sostenuta da alcuni, ci un momento rivoluzionario violento che fa rinviare al dopo i temi della libertà sessuale, in contrapposizione a una politica libertaria non sessuofobica, non scindibile da una strategia rivoluzionaria che voglia evitare le ristrutturazioni piramidali e autoritarie. Dovremo certo prestare la massima attenzione agli insegnamenti che ci provengono da esperienze consistenti e non troppo spontaneistiche ancora in corso di svolgimento a Berlino ovest, (gruppi libertari "non psichedelici" del movimento stud
entesco e dei giovani socialisti), in Scandinavia e in particolare in Danimarca. Forse va chiaramente avvertito il rischio sempre insito in movimenti come quello reichiano, dell'illusione e della tentazione corporativa e apolitica, del disinteresse per obiettivi di lotta generali da proporre alla collettività o da estorcere allo Stato. Il timore di programmi troppo ambiziosi o utopistici è giusto, ma non si tratta di questo. Una rivoluzione del costume che in partenza abbia come destinatari gli stessi proponenti è infatti una illusione ancora più pericolosa. Comunque c'è da lavorare sodo. Tanto più che il congresso radicale di Napoli ha ritenuto - ci sembra giustamente - di dover indicare altre priorità di impegno ai militanti e ai gruppi federati. Se si vuole che al congresso di Roma del 1971 si cominci a prevedere qualche prima forma concreta di impegno organizzativo di tutti i radicali nell'ambito della generale battaglia che si conduce per la progressiva edificazione di una nuova società, che già si real
izza nelle forme di impegno di oggi, i reichiani - del PR o no - è bene che se ne rendano conto.