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Albani Gianmario - 21 settembre 1971
L'»equivoco delle ACLI
di Gianmario Albani

SOMMARIO: La costituzione delle Acli suggerita dal vaticano come contraltare al sindacato unitario. I lavoratori cattolici dovevano costituire sindacati solo tra di loro, sostanzialmente confessionali, o potevano aderire anche a sindacati con altri lavoratori, con indirizzi ideologici diversi o contrari oppure neutri.La ricostruzione storica a partire da una disposizione di Pio X sulle "materne tutele e i paterni interventi del pontefice". La preoccupazione prevalente della Chiesa è politica. Lo scioglimento dell'Opera dei congressi nel 1904 e il voto dei cattolici nel 1913. Il primo cattolico nel governo; partito popolare, leghe bianche e altre organizzazioni cattoliche. L'Istuto cattolico per le attività sociali. Gronchi al governo con i fascisti. Le gerarchie cattoliche spingono all'adesione ai sindacati corporativi. Mentre al Nord c'è la resistenza anche con i cristiani, a Roma dall'Icas vengono fondate le Acli: Montini l'ideatore effettivo. Le contraddizioni degli operai cattolici ingabbiati nell'interc

lassismo DC. Quale azione per realizzare la dottrina sociale della Chiesa e preparare il superamento delle Acli?

(LA PROVA RADICALE N.1 - AUTUNNO 1971)

Queste note sulle più recenti vicende delle ACLI, ricollegate alle loro origini, mi offrono l'occasione per tornare a riflettere su qualche ricordo ed esperienza personale, in una pausa delle ferie estive. Non si tratta quindi di una ricerca rigorosa e sistematica, perché non ho nemmeno la possibilità di consultare materiali e documentazioni. Né potranno avere il carattere di un esame del tutto esterno e distaccato, perché nelle vicende passate delle Acli ho avuto una sia pur minima parte di responsabilità, e ancora in questi ultimi anni ho continuato a mantenere contatti con militanti e dirigenti aclisti.

Le Acli sono state costituite a Roma nell'agosto del 1944, subito dopo la firma nel giugno dello stesso anno del patto di »unità sindacale tra i rappresentanti comunisti, socialisti e democristiani. Dopo la caduta del fascismo, nel luglio del 1943, a Bari e a Salerno si erano già ricostituite le vecchie organizzazioni sindacali divise, quella »rossa e quella »bianca , ma il movimento unitario della resistenza che si andava sviluppando nelle regioni e nelle fabbriche del nord - fin dai primi scioperi del marzo 1943 - avevano consigliato le dirigenze politiche a proporre un'esperienza sindacale unitaria per il momento della completa liberazione nazionale. Il consenso da parte delle gerarchie ecclesiastiche, tenute costantemente informate dai dirigenti politici e sindacali »cristiani presenti a Roma in quei mesi e in stretto contatto con il Vaticano, era però condizionato alla immediata costituzione di un distinto movimento per i lavoratori cristiani: appunto le Acli.

Ci si richiamava infatti ad una vecchia disposizione di Pio X emanata in occasione della »settimana sociale dei cattolici italiani tenuta ad Assisi nel 1911. Si concludeva allora una disputa ancora più antica, già da tempo superata nella pratica sindacale dei lavoratori cattolici che negli ultimi anni del secolo scorso avevano cominciato a costituire le loro »leghe e »unioni sindacali : e cioè se i lavoratori cattolici potevano costituire sindacati di soli lavoratori, sostanzialmente »classisti , oppure se dovevano formare sindacati »misti , o interclassisti, di padroni e lavoratori assieme. Era invece sorta un'altra questione, e cioè se i lavoratori cattolici dovevano costituire sindacati solo tra di loro, sostanzialmente »confessionali , oppure se potevano aderire anche a sindacati con altri lavoratori, con indirizzi ideologici diversi o contrari, oppure »neutri . La disposizione pontificia di quegli anni raccomandava sempre di costituire sindacati »cristiani e nei casi di impossibilità, o dove si riten

eva più conveniente partecipare a organizzazioni sindacali neutre o unitarie, poneva come condizione di costituire associazioni confessionali a parte: per difendere i lavoratori cattolici dalle altre influenze ideologiche, per preservarli nella fede e nella morale, per sostenerli nell'opera di apostolato tra i lavoratori.

Come si vede, le materne »tutele della chiesa e i paterni interventi dei pontefici nei confronti dei lavoratori hanno origini lontane, che si confondono con la nascita dei loro primi movimenti mutualistici e rivendicativi. Si potrebbe quindi pensare che tante e sempre più pressanti sollecitudini ecclesiastiche, tali da inasprire e divaricare le divisioni tra i lavoratori anche là dove queste non si ponevano o potevano essere facilmente superate, fossero motivate essenzialmente da preoccupazioni di carattere religioso. E' certo che le assenze e i ritardi con i quali i cattolici si erano impegnati sul piano sociale, perché arroccati con la chiesa su posizioni difensive o scopertamente reazionarie nei confronti delle »rerum novarum , li avevano poi fatti trovare di fronte a movimenti e a ideologie contrarie. Ma fin dagli inizi appare evidente che accanto o appena sottesa alle preoccupazioni di carattere religioso - oggi si direbbe »dottrinali e »pastorali - la preoccupazione prevalente era già allora il cara

ttere »politico , collegata alle posizioni e agli interessi non certo »spirituali della chiesa cattolica, in Italia soprattutto.

La disposizione di Pio X relativa alle organizzazioni sindacali, invocata nel 1944 per costituire le Acli a fianco e subito in concorrenza con la CGIL unitaria, non aveva mai trovato applicazione in Italia: non prima del fascismo perché le organizzazioni sindacali erano divise, ma nemmeno durante il ventennio fascista, con il regime del sindacato unico obbligatorio. Forse perché le »corporazioni fasciste realizzavano il primario indirizzo cattolico: quello dei lavoratori associati con i loro padroni, in un quadro ideologico non pericoloso, ma »omogeneo .

Nel 1904 sempre Pio X aveva già provveduto a sciogliere l'Opera dei Congressi e dei Comitati cattolici, dopo un'esperienza di trenta anni, perché dalle prime posizioni di »intransigenza papalina e temporalista, tra i giovani di »democrazia cristiana stavano emergendo più mature opposizioni contro lo stato liberale e il sistema sociale, tentando già fin d'allora di avanzare delle »ipotesi socialiste . In tal modo le »tensioni del 1898 e i sommovimenti degli anni successivi avevano potuto essere facilmente ripiegati, con il patto Gentiloni del 1913, portando i voti cattolici liberati dal »non espedit a fare da supporto alle liste e ai candidati moderati, contro il »pericolo socialista . Tra l'altro in contropartita - sempre per intendere bene anche le vicende odierne - della rinuncia ad introdurre il divorzio nella legislazione italiana.

In questo modo si era potuto anche porre fine alle polemiche sollevate dalla spedizione coloniale in Libia e celebrare il primo »miracolo economico , con la lira che »faceva aggio sull'oro , pagato dalle prime grandi correnti migratorie all'estero. Poi, esauritasi nel 1914 anche la »settimana rossa , l'Italia poteva avviarsi alla prima »grande guerra , con già un cattolico che sia pure a titolo personale entrava nel governo di coalizione.

Finita la guerra, nel gennaio del 1919 si era invece costituito il »partito popolare , poi la confederazione delle »leghe bianche - la CIL - e quella delle cooperative, mutue e casse rurali. Organizzazioni che complessivamente coprivano tutto l'arco degli interessi economici, sociali e politici dei »cattolici , ben distinte e contrapposte alle più forti e consolidate »organizzazioni rosse . Si trattava però di organizzazioni di cattolici già relativamente autonome e sufficientemente democratiche, con propri statuti ed elezioni dei loro dirigenti senza troppo scoperte ingerenze ecclesiastiche, nemmeno molto necessarie in quei tempi.

Di organizzazioni »confessionali del laicato cattolico italiano, con diretta dipendenza dalla gerarchia anche per gli statuti e le nomine dei dirigenti, non restava che l'Azione Cattolica. Sorta tra i giovani, cominciava ad estendersi agli »uomini , alle »donne e ai »fanciulli per arrivare poi agli »universitari e ai »laureati cattolici . Solo negli ultimi anni del fascismo si pensò alla specializzazione »soci lavoratori e poi ai »raggi in alcune fabbriche del nord, durante la resistenza. Ma ancora e sempre per fronteggiare il risveglio delle »cellule rosse , socialiste e comuniste.

Nel 1919 si era però costituito anche un ente »intermedio , l'Istituto cattolico per le attività sociali - ICAS - con la funzione di collegamento e di indirizzo ideologico tra le organizzazioni economiche, sociali e politiche alle quali si era dovuta riconoscere una relativa autonomia, e l'Azione Cattolica: per collegarle quindi ancora, sia pure indirettamente, alla gerarchia ecclesiastica. E l'ICAS fu infatti la sede, il luogo di incontro e il quartier generale dal quale partivano le iniziative e gli interventi (oltre che sempre dalle canoniche e dalle curie), per assicurare la partecipazione personale di cattolici (Gronchi) al primo governo con i fascisti dopo la »marcia su Roma ; per ostacolare i tentativi di intese tra »popolari e »socialisti ; per scongiurare intese unitarie tra CGIL e CIL; per piegare infine tutti all'»ordine che il fascismo assicurava: contro i disordini degli scioperi, della già fallita »occupazione delle fabbriche e delle terre. In sostanza ancora contro il pericolo di una avanza

ta socialista.

Sono già stati documentati gli interventi delle gerarchie ecclesiastiche, appunto attraverso l'ICAS e l'Azione Cattolica, per costringere anche i dirigenti delle »leghe bianche (oltre gli interventi nei confronti di Sturzo e dei più intransigenti »popolari ) a cedere al fascismo, sciogliere la confederazione e far aderire i lavoratori cattolici ai sindacati corporativi fascisti, privilegiati ormai scopertamente anche dai padroni dopo il patto di »palazzo Vidoni del 1925. Si preparava anche in questo modo la »conciliazione tra la Chiesa cattolica e lo Stato fascista, sanzionata poi dai »patti lateranensi del 1929.

Restò allora in vita soltanto l'Azione Cattolica, con i contrasti per l'educazione dei »giovani subito insorti dopo la firma dei »patti , e però anche facilmente ricomposti: per consentire al fascismo di »salvare anche la Spagna dal bolscevismo e ai giovani cattolici, sotto i »labari benedetti, di portare la »civiltà romana e cristiana ai »barbari abissini (non importa se già cristiani) per poi tentare di estenderla, a fianco dei nazisti, all'Europa e al mondo intero.

Sono soltanto alcuni rapidi e parziali accenni storici, anche per non dimenticare mai - soprattutto di questi tempi - che le nostre corresponsabilità, di noi »cristiani , con la »bestia disumana scatenatasi per il mondo sono bene al di là dei »silenzi del »Vicario , e solo in parte riscattate da giovani, operai e anche sacerdoti che, con altri, hanno condiviso il confino, la galera, i campi di concentramento e le torture, e sono caduti nella resistenza e nella lotta di liberazione.

Ma questi accenni, pur incompleti, servono anche a scoprire le radici più lontane delle Acli di oggi, o almeno i loro »precedenti , e forse a consentire di comprendere meglio anche le loro ultime vicende. Perché mentre noi nelle regioni settentrionali, oltre la metà del nostro popolo, la maggior parte dei lavoratori e in particolare degli operai, eravamo ancora alle prese con i fascisti e i tedeschi, a consumare fino all'ultimo giorno un'impegno di riscatto che, pur se aveva radici antiche, era progressivamente cresciuto in noi alla scuola delle prime rivolte operaie nelle fabbriche, della resistenza armata dei più anziani sulle montagne, nelle campagne e nelle città bombardate, a Roma l'ICAS riprendeva a funzionare: per costituire e proporci già fatte anche le ACLI. Una circolare a stampa firmata dall'assistente ecclesiastico generale per l'Azione Cattolica e indirizzata a tutti i vescovi italiani ne dava la comunicazione, raccomandando la loro costituzione in tutte le diocesi e provincie, contemporaneament

e al costituirsi della CGIL unitaria. La Santa Sede aveva approvato lo statuto, l'ICAS era l'ente promotore con l'Azione Cattolica che ne patrocinava la diffusione, ma le nuove associazioni dovevano essere relativamente autonome e democratiche. Una »novità e un »rischio che l'ideatore e fondatore effettivo del movimento, l'allora mons. Giovan Battista Montini, ha voluto poi sempre ricordarci, sottolineando la particolare »fiducia della chiesa e, naturalmente, la preminente funzione religiosa delle ACLI compendiata nel primo discorso agli aclisti di Pio XII: »cellule dell'apostolato moderno .

Invece, come già fin dagli inizi alcuni avevano lucidamente avvertito, non era che la nascita di un'altro grosso »equivoco , nella chiesa, per la nostra società e tra i lavoratori italiani. Per quali ragioni infatti i lavoratori cristiani dovevano ritornare ad essere tenuti separati dagli altri nell'impegno sul piano sociale, e però »uniti ai loro padroni nello specifico impegno politico, nella DC, che doveva realizzare l'unità politica dei cattolici? Per oltre venti anni, prima e dopo la rottura dell'unità sindacale, i lavoratori cattolici più impegnati hanno vissuto questa lacerante contraddizione: sentirsi sostanzialmente alla opposizione nelle fabbriche, solidali con tutti gli altri lavoratori, e però sentirsi corresponsabili politicamente della »restaurazione capitalistica che i padroni di sempre portavano avanti con la DC, le alleanze imperialiste e le »disposizioni autoritative della chiesa, »moralmente vincolanti anche il loro voto. Anche in questo modo però dovevano finire per scoprire tutta la

mistificazione e la pratica negazione di quei valori di »libertà e democrazia per difendere e affermare i quali - si disse - i lavoratori cristiani dovevano essere tenuti separati dagli altri e asserviti invece ai loro padroni. La funzione scopertamente »politica delle ACLI era perciò subito evidente: dividere i lavoratori e strumentalizzarne una parte a sostegno degli interessi e del gruppo di potere che ritornava a dominare, in attuazione peraltro dei disegni di spartizione del mondo concordati dagli »alleati alla fine della seconda guerra mondiale.

Se invece le ragioni e le preoccupazioni fossero state davvero di carattere religioso e il fine quello dell'apostolato, sia pure in uno specifico »ambiente (quello del lavoro), sarebbe bastata l'Azione Cattolica, eventualmente una sua »specializzazione e, soprattutto, una più adeguata azione pastorale nelle comunità parrocchiali. Perché invece si è voluto rendere evidente, anche all'interno della »comunità di fede, di speranza e di amore , la divisione classista tra »lavoratori e »dirigenti-imprenditori cattolici, questi però sempre ben uniti e solidali con gli altri padroni? Si disse che la chiesa doveva dimostrare di poter superare il lamentato »scandalo della classe lavoratrice che si era allontanata da lei, mostrando anche visibilmente, in modo organizzato, il suo »ritorno a Cristo . Le ACLI dovevano quindi fornire questa dimostrazione e operare per la »riconquista , fino a diventare loro, o il così detto »movimento operaio cristiano , la »guida della classe lavoratrice . Non era infatti più tempo d

i »lamenti , ma di »azione , perché la »dottrina sociale del cristianesimo attendeva soltanto di essere realizzata. Oggi, dopo un quarto di secolo di indiscutibile »potere cattolico in Italia, possiamo ben valutare le »realizzazioni e comprendere tutte le ragioni del disastroso fallimento, su tutti i piani.

Ma il primo articolo dello statuto precisa ancora che le ACLI »raggruppano coloro che nell'applicazione della dottrina del cristianesimo, e secondo l'insegnamento della Chiesa, ravvisano il fondamento e la condizione di un rinnovato ordinamento sociale in cui sia assicurato, secondo giustizia, il riconoscimento dei diritti e la soddisfazione delle esigenze materiali e spirituali dei lavoratori .

E' la più limpida ed esplicita formulazione della »eresia cattolica , che fa di Cristo fondatore di »rinnovati ordinamenti sociali mistificando e riducendo il suo messaggio ad una qualsiasi dottrina o ideologia politica, economica e sociale. E naturalmente una ideologia per »affumicare il popolo , a servizio dei padroni e a sostegno dei potenti con i quali la chiesa continua a spartire interessi non proprio spirituali. Con in più l'aggiunta del consapevole inganno proprio dei ricorrenti »lamenti pontifici e delle encicliche sociali, con la pretesa di indicare soluzioni per i lavoratori, la »povera gente , il »terzo mondo .

Ecco, in base alle norme fondamentali del loro statuto »democraticamente approvato nei congressi, queste sono ancora oggi le Acli che l'attuale presidente Gabaglio voleva portare ad una »scelta socialista . Quello che è successo in questi ultimi mesi, con l'intervento della commissione episcopale italiana (CEI) e personalmente di Paolo VI era quindi prevedibile. Gli attuali dirigenti delle Acli, sulla spinta del più generale sommovimento sociale, interno e internazionale, forse anche fidando che la »dottrina conciliare valesse anche per il nostro paese, hanno semplicemente dimenticato che le scelte e gli indirizzi politici delle Acli possono anche essere discussi nei convegni di studio e »democraticamente ratificati dai congressi, ma sempre e solo entro i limiti della »applicazione della dottrina del cristianesimo e, sempre, »secondo l'insegnamento della Chiesa . L'articolo 39 dello statuto precisa ancora che l'»assistente ecclesiastico nominato dalle »competenti autorità (della chiesa) »cura che l'att

ività delle Acli si svolga in armonia con i principi della morale cristiana (cosa di cui gli »assistenti si sono invece ben poco preoccupati) »e con le direttive della Chiesa .

Si trattava allora di valutare se nelle »direttive della Chiesa in Italia, e di questi tempi, poteva rientrare anche la »scelta socialista . Oppure, avere la chiarezza di idee, ma anche la necessaria forza morale-materiale, una effettiva »autonomia , per rispondere ai preti, ai vescovi e al papa che loro possono anche proporre o negare tutte le scelte e gli indirizzi economici, sociali e politici che vogliono, così come possono farlo i laici, d'accordo o in contrasto con loro, ma che proprio sulle scelte e gli indirizzi economici, sociali e politici del »magistero della chiesa, sulla pretesa »dottrina sociale cristiana nessuno era più disposto a scommettere un soldo bucato. Chi mai ha potuto infatti far credere che Gesù Cristo fosse venuto al mondo, fosse morto e risorto per fondare e insegnare a noi »cristiani come conquistare e gestirci un nostro »regno sulla terra, possibilmente da imporre anche a tutti gli altri? Non bastava ancora una storia secolare di errori su questo piano, sempre tardivamente r

iconosciuti e duramente pagati sul piano religioso, per far finire tale degenerazione con tutte le sue prepotenze?

Ma questa chiarezza di idee, e necessaria autonomia non erano della dirigenza delle Acli e di gran parte dei militanti, altrimenti la più rigorosa conseguenza da trarre era proprio quella di porre fine alle Acli. Nella dirigenza e in gran parte dei militanti si era invece coltivato lo stesso equivoco radicale, cambiandogli soltanto di segno: la pretesa di poter andare »a sinistra a fare anche il »socialismo con la chiesa, come »cristiani , ben qualificati e organizzati: il »nostro socialismo. Erano le conseguenze di un vuoto culturale e anche di formazione religiosa, di continue »deformazioni religiose e culturali che avevano caratterizzato anche e soprattutto l'ultimo decennio della dirigenza nazionale aclista.

L'ultimo congresso a Torino, nel 1969, doveva soltanto »ratificare la fine del »collateralismo con la DC che, di fatto, era già consumato, conoscendo il punto di massima fuga di voti aclisti ai partiti della sinistra d'opposizione con le elezioni politiche del 1968. E in quella occasione, come durante tutta la sua gestione, Labor non aveva certo dimenticato lo statuto, e prima di fare scelte aveva scritto alla CEI per ottenere una sospensione o almeno una attenuazione delle disposizioni »vincolanti il voto , garantendola comunque che avrebbe ancora portato tutte le Acli a votare DC, sia pure »per l'ultima volta .

Con il suo tradizionale realismo la chiesa aveva già registrato la fine della pretesa »unità politica dei cattolici, di fatto mai esistita, sanzionata peraltro nella primavera del 1968 dall'insorgere dei »gruppi spontanei , del »dissenso cattolico e delle »comunità ecclesiali . Anche i voti aclisti che dovevano andare a sinistra erano già affluiti al PCI e al PSIUP, mentre ai giovani che crescevano era ormai impossibile imporre ancora disposizioni vincolanti il voto. Se mai, una funzione di argine, eventualmente di ricupero e riconversione dei voti usciti a sinistra per riportarli - come in effetti è avvenuto nelle successive elezioni amministrative - almeno alla sinistra governativa, al PSI, poteva assolverla ancora Labor, prima con l'ACPOL e adesso con l'MPL. Labor infatti, lasciata la presidenza delle Acli, continuava nel suo impegno di gestire i voti aclisti per mercanteggiarli sempre in termini di potere: ieri con la DC, domani alla sua sinistra, con il partito che gli offrirà le migliori condizioni.

Per questo lui può »reinventare anche ogni giorno il suo socialismo, ed essere seguito anche con qualche attenzione, proprio perché resta pur sempre un uomo di potere con il quale sono possibili tutte le intese.

Anche la riscoperta della scelta »anticapitalista e »antimperialista delle Acli non doveva impensierire eccessivamente le gerarchie ecclesiastiche: potevano rientrare agevolmente nella »dottrina delle »encicliche sociali se restavano delle affermazioni cui non seguiva un impegno reale e coerente. E le Acli, anche quelle più autonome, dipendono invece per la loro esistenza e la loro attività da mezzi attinti o procurati, secondo la logica e alla fonte del sistema capitalista.

La »scelta socialista di Vallombrosa dello scorso anno, già dopo i primi avvertimenti della CEI con la lettera del cardinal Poma in primavera, era invece realmente fuori tempo e prematura, più che eccessiva, anche perché il generale »sommovimento sociale era ormai in fase di riflusso e di ripensamento, non raccolto ed egemonizzato nemmeno dalle organizzazioni della sinistra tradizionale.

Poteva semmai rientrare, e forse potrebbe ancora riproporsi nei disegni più spregiudicati di quella parte della gerarchia ecclesiastica che, con i capitalisti »più avanzati e i teorici della »strategia dell'attenzione , pensava ad un possibile accordo di potere con il PCI, per una soluzione social-riformista della crisi italiana nel quadro della »sicurezza europea concordata e garantita dall'intesa delle due »super-potenze USA-URSS.

Ma abbiamo visto quali ostacoli e quante »immaturità abbia scontrato questo disegno, a quali opposte »reazioni abbia già dato sfogo. Non è comunque o non si presenta ancora, nel breve periodo, come la carta vincente: il »blocco storico da assorbire con le stesse garanzie e facilità della »svolta storica del centro-sinistra, pure preparata da tanti »punti fermi vaticani.

Non solo, ma ben più dell'alleanza con i socialisti, la »scelta socialista delle Acli nella prospettiva degli »equilibri più avanzati , anche più scopertamente estesi al PCI, generava difficoltà pastorali-dottrinali all'interno della gerarchia ecclesiastica e del così detto mondo cattolico italiano. Si apriva cioè un processo lacerante, non ancora ben garantito e sufficientemente controllato negli sbocchi, e ciò proprio mentre gran parte della chiesa, dei democristiani e dei padroni erano alla ricerca di una »rivincita su tutti i piani e senza mezzi termini: contro l'introduzione del divorzio, la »contestazione ecclesiale e la campagna per l'abrogazione del »concordato ; contro l'avanzata elettorale delle sinistre del 1968, la contestazione giovanile e la prospettiva degli equilibri più avanzati sul piano politico, contro l'»autunno caldo , l'unificazione sindacale e la persistente rivolta operaia nelle fabbriche. Ben più realistica si presentava quindi non già l'ipotesi socialista, ma quella sempre ricor

rente clerico-fascista, anche soltanto evocata come »deterrente . E' la storia di sempre quindi, che non a caso ho voluto anche sommariamente ricollegare.

Così in pochi mesi Gabaglio con la sua maggioranza è stato costretto a fare marcia indietro: non è che le Acli non devono »far politica , perché l'hanno sempre fatta, ma fino a quando restano Acli più o meno dipendenti dalle autorità della chiesa possono e devono fare sola la politica che vogliono i vescovi e il papa, riconoscendo con le ultime decisioni del Consiglio Nazionale (è il peggio che potessero fare), che esiste ancora una »dottrina sociale cristiana e che, per il momento almeno, non vi si contempla una scelta o un'ipotesi »socialista .

L'attuale dirigenza delle Acli non poteva perciò fare diversamente, perché la soluzione vera del problema delle Acli, quella realmente coerente con la »scelta di classe , per la sua unità e autonomia, per l'effettivo superamento del sistema capitalistico-borghese, del suo e di altri imperialismi, passa soltanto attraverso la fine stessa delle Acli, superando il loro radicale equivoco, che è poi la dimostrazione esemplare dell'equivoco in cui si ritrova la chiesa e la cristianità, soprattutto in Italia.

Per molti anni abbiamo cercato di spiegarci, anche di comprendere e giustificare, in qualche modo di sciogliere questo equivoco delle Acli, tentando di indicarne la natura, le funzioni e le finalità, i loro rapporti con la chiesa, con la società e il complessivo movimento dei lavoratori. E ciò di fronte ai nostri dubbi sempre risorgenti nello scontro con la realtà e per esperienze che sarebbe utile poter più ampiamente documentare, o sotto la pressione di ricorrenti polemiche interne ed esterne. Ma era quasi un disperato tentativo di far quadrare il cerchio entro il quale dovevamo operare, valutando anche tutte le positività dell'esperienza aclista, le possibilità di crescite progressive anche sul piano dell'esperienza religiosa, mentre cresceva l'impegno dei militanti nelle lotte sociali insieme a quello culturale, alimentandosi reciprocamente.

Solo là dove più chiaramente si è tentata questa continua verifica, rimettendo continuamente in discussione la stessa ragion d'essere del movimento aclista, questi ha potuto essere più positivamente impegnato per un'attività educativa o »formativa dei lavoratori che sola avrebbe potuto assicurare, crescendo il loro impegno nelle lotte sociali insieme a tutti gli altri lavoratori, la fine e il positivo superamento del loro equivoco.

Già dai loro congressi provinciali alla fine degli anni '50 le Acli milanesi, dopo aver documentato con il loro »libro bianco del 1955 a quali condizioni la scissione sindacale aveva costretto i lavoratori nelle fabbriche, avevano cercato di indicare quella che doveva essere la funzione preminente e il fine conclusivo delle Acli, il solo che poteva ancora giustificare la loro esistenza e che, realizzandosi, avrebbe comportato la fine e il superamento del movimento aclista: contribuire a realizzare l'unità »morale dei lavoratori e dei ceti popolari italiani.

Siamo stati costretti allora ad aggiungere quel »morale al termine di »unità per non fare insorgere immediate preoccupazioni (era la nostra »strada lunga contro le scorciatoie che portavano alla compartecipazione del potere), e per non incorrere in censure; così come altre volte e per diverse espressioni avevamo dovuto ricorrere ad un nostro »linguaggio , anche per evitare quello marxista. Ma per noi quella »unità morale dei lavoratori e del nostro popolo - più facilmente tollerata dalle gerarchie ecclesiastiche e politiche - significava ben più di una qualsiasi unificazione sindacale (l'incontro dei tradizionali »filoni del movimento operaio italiano, quello cattolico e quello social-comunista, che perseguiva la dirigenza nazionale per scavalcare i sindacalisti della CISL), ben altro che un qualche pateracchio ideologico e politico. Stava a indicare un complessivo e unitario processo di crescita e di liberazione che, con noi, doveva coinvolgere i lavoratori italiani, le nostre e le loro esperienze orga

nizzative tradizionali, da fondare su una acquisita comunione di valori morali, da vivere e per i quali lottare insieme per progressivamente realizzarli in radicale antagonismo a quelli proposti e imposti dal sistema capitalistico-borghese. I nomi da dare all'»uomo nuovo e alla »nuova società non ci preoccupavano, fatti più di altri avvertiti di quali mistificazioni si celino sotto certi nominalismi vuoti di contenuto o pieni del loro contrario, spacciati per »assoluti e garantiti di »infallibilità teologica o »scientifica .

Su queste basi e in questa prospettiva si potevano allora superare le divisioni sindacali e politiche tradizionali, le mistificazioni ideologiche e religiose, per dare fondamento reale alla autonomia, all'unità, al ruolo effettivamente egemone della classe lavoratrice, con organizzazioni sempre più adeguate al crescere nelle fabbriche e nella società di questa tensione liberatrice unificante e al ruolo che progressivamente era destinata ad assolvere. Per questo fin d'allora avevamo proposto il »disimpegno delle Acli dagli impegni politici nella DC e con la DC, e un »ritorno alla base , ad una pratica sociale con una sempre più diretta partecipazione alle lotte operaie e popolari, da riflettere e rielaborare direttamente con i lavoratori nell'impegno culturale e formativo.

Ma contro quel »disimpegno , avvertendo che cosa significava e preparava, reagirono le gerarchie ecclesiastiche insieme ai »politici , sempre con il sostegno della dirigenza nazionale delle Acli. Era infatti venuto il tempo in cui, arrivato Labor alla presidenza nazionale, le Acli dovevano invece essere sempre più »impegnate (ai vertici e con le trattative sottobanco), sempre più »risonanti per assolvere a quello che, senza avvertire le conseguenze disastrose, si è voluto orgogliosamente definire il »ruolo vulcanico delle ACLI.

Era in sostanza il loro completo asservimento alla logica del sottogoverno, delle intraprese speculative sul piano commerciale, assicurativo ed immobiliare, con i bilanci in larga parte coperti da entrate procurate e ripartite sulle grandi imprese pubbliche e private: i padroni presentano poi sempre il loro conto o stringono i cordoni della borsa, e anche questo ha costretto Gabaglio a far marcia indietro, a ridimensionare per sopravvivere.

Anche i convegni annuali di studio che negli ultimi anni si sono tenuti a Vallombrosa erano diventati occasione di clamorose manifestazioni, con immancabili seguiti polemici che bisognava poi tentare di »far digerire all'interno più che all'esterno del movimento. Certo, i giovani seguivano con entusiasmo, scavalcando in avanti, ma il grosso del movimento che pure non ha mai superato complessivamente i 500-600 iscritti (contro il milione e più che si era vantato), non cresceva certo con lo stesso ritmo, né si radicava in profondità. Alla verifica del »ventennio del 1965 le Acli si erano riconosciute come un »piramide capovolta : tanto esile alla base quanto largo l'imbuto dei vertici. Anche questo doveva scontrare l'azione di Gabaglio, con la scissione già verificatasi (le »libere Acli), la pressione della »minoranza all'interno della stessa maggioranza, costringendolo a mediazioni e concessioni continue per tenere insieme il movimento.

Oggi, quelli che si definiscono »di sinistra all'interno delle Acli e quelli sempre molto interessati al loro esterno, possono anche volere o chiedere che la maggioranza riconfermi al prossimo congresso straordinario la scelta socialista di Vallombrosa. Anche ammesso che su quella scelta possa ancora coalizzarsi una maggioranza, ne sortirebbe uno sconquasso, per molti aspetti salutare, che finirebbe però per riprodurre o alimentare altri e, sostanzialmente, sempre lo stesso equivoco, di destra o di sinistra. Mentre invece, se è ancora tempo, se si guarda a prospettive meno immediate e contingenti, se si ha sufficiente coraggio e coerenza, la strada da riprendere a ripercorrere è quella già indicata: preparare il superamento delle Acli, riconducendo la formazione religiosa all'interno della comunità ecclesiale e »liberando i lavoratori cristiani all'assunzione diretta delle loro responsabilità sul piano sociale, come e insieme a tutti gli altri lavoratori, senza più distinzioni e discriminazioni per motivi

religiosi. Perché ci è stato pur detto che »l'albero si riconoscerà dai frutti , non dalle etichette.

E' il solo modo non già per difendere e riaffermare dei nominalismi, di indefinito contenuto, ma per dare realizzazione concreta alla scelta già fatta: per l'unità e l'autonomia della classe lavoratrice italiana.

 
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