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Coletti Alessandro - 21 settembre 1971
Cronache di droghe e repressioni
di Alessandro Coletti

SOMMARIO: L'Italia portaerei della droga negli anni '50: la legge sugli stupefacenti del 1954 è essenzialmente legge fiscale che disciplina la produzione il commercio e l'impiego di sostanze stupefacenti attraverso il controllo delle case farmaceutiche e sugli importatori ed esportatori ufficiali. L'elenco delle sostanze è insufficiente. Quindici anni dopo: nel 1970 1000 arresti per droga. In carcere per un grammo di hashish, mentre i pesci grossi della droga pesante non vengono toccati dalle polizie. Il "Droga-boat" di Roma e il quotidiano "Il Tempo": speculazione politica a rimorchio della droga. I casi di Chiari e Luttazzi. Le posizioni del Pci e l'esperienza del Prof. Cancrini. Una legge per i trafficanti, una legge per i detentori.

(LA PROVA RADICALE N.1 - AUTUNNO 1971)

Dovrebbe esser discussa tra breve una nuova regolamentazione di tutta la vasta materia relativa agli stupefacenti la cui attuale normativa presenta numerose e gravi carenze, frequentemente denunciate dalla stampa d'informazione più responsabile.

Fosse anche un solo grammo di hashish o una cicca di marijuana l'arresto è immediato e l'istruttoria si protrae normalmente per otto nove mesi, da trascorrere in carcere naturalmente. In caso di provata colpevolezza la pena va da tre ad otto anni di reclusione, la multa dalle trecento mila lire ai quattro milioni. Senza alcuna distinzione tra consumatore spicciolo e trafficante.

Nata per reprimere un traffico di cui l'Italia degli anni '50 era accusata di essere uno dei nodi principali (la »portaerei della droga ) e varata su speciale pressione della commissione stupefacenti dell'ONU, la legge 22 ottobre 1954 n. 1041 si prospetta essenzialmente come legge fiscale che disciplina la produzione, il commercio e l'impiego degli stupefacenti attraverso il controllo sulle case farmaceutiche e sugli importatori ed esportatori ufficiali. L'art. 6 in particolare, causa di tante incriminazioni, impone l'obbligo di premunirsi di una speciale autorizzazione del Ministero della Sanità per fabbricare, commerciare e »comunque detenere sostanze stupefacenti. Si aggiunga a questa un'altra notevole incongruenza nel dettato della legge: l'elenco delle sostanze considerate stupefacenti fu redatto in base a principi considerati oggi insufficienti e grossolani da qualsiasi esperto in materia: mentre le anfetamine, effettivamente pericolose e sempre più diffuse non sono nemmeno prese in considerazione, l'

eroina. e l'hashish sono collocati al medesimo livello di tossicità. E l'occasionale fumatore di marijuana è considerato drogato nella stessa misura in cui lo è il cocainomane abituale. Ma soprattutto la legge trascura il fenomeno della tossicomania nei suoi aspetti medico-sociali e non prospetta alcuna azione preventiva, ispirata com'è quasi esclusivamente a criteri di pura repressione. Col suo riferirsi ad un »regolamento che da diciassette anni attende ancora di essere predisposto è inoltre fonte di una giurisprudenza contraddittoria.

Il legislatore, sembra, preferì non dilungarsi in sottigliezze, per meglio colpire ogni minima forma di spaccio; uno sbrigativo eccesso di zelo che oggi si risolve a danno di individui incriminati ma sostanzialmente innocenti.

Fin dall'entrata in vigore della legge si è spesso discusso come interpretare quel »comunque detenere dell'art. 6: la giurisprudenza dei tribunali e la Corte di Cassazione, pur facendo a volte eccezione per le dosi detenute a scopo terapeutico, si sono orientate su criteri severamente restrittivi, con modulo interpretativo perfettamente coerente al principio giurisdizionale più diffuso in Italia che vede nella dura repressione l'unico mezzo di difesa sociale nei confronti del »male . In base a questo criterio molte delle proposte di modifica alla 1041, prospettate fino ad ora dagli ambienti politici conservatori, tendono a risolvere il problema accomunando ancora spacciatori e consumatori in un'unica sanzione, assai più severa dell'attuale. Per le sue vistosissime pecche la legge è comunque sotto accusa e sulla costituzionalità dell'art. 6 si attende una prossima pronuncia della suprema corte. Ci sono poi alcune proposte di legge in attesa di discussione, ispirate essenzialmente al principio base di colpire

il trafficante e di sottoporre il tossicomane al solo intervento dell'autorità sanitaria. Ma tutto lascia prevedere che il carattere punitivo della normativa e l'uso repressivo che ne vien fatto nei confronti di alcune minoranze politicamente fastidiose, permarrà praticamente immutato. Le cronache quotidiane, nel frattempo, continuano ad enumerare gli incarceramenti, spesso di giovanissimi detentori bollati come delinquenti e costretti a subire la tragica esperienza del carcere italiano che magari li avvierà alla carriera del pregiudicato.

Più di mille arresti in Italia nel 1970, quasi tutti per uso di »droga leggera ; oltre 500 giovani, nel 1971, stanno scontando pene variabili da uno a due anni o sono in attesa di processo per uso di marijuana. Sempre più numerosi i casi in cui la dimensione del »reato assume connotati grotteschi: marijuana coltivata in terrazzino, tra il geranio ed il basilico; un grammo di hashish nella tabacchiera; una goccia di LSD nella colla di un francobollo... Ma, per quanto divertente, una volta scoperto l'inganno volge al drammatico, prospettando ai responsabili parecchi mesi di carcere, in attesa di un processo fondato su un reato che spesso non è sentito come tale dalla stessa coscienza dei giudici. Ancora più kafkiana la posizione degli stranieri, incarcerati in un paese di cui ignorano leggi e procedure, quasi sempre privi di amici influenti che possano assisterli anche legalmente dall'esterno, raramente aiutati dai propri consolati che, specie se l'incriminato è giovane e capellone, preferiscono lavarsene com

pletamente le mani. Per protestare contro questa insostenibile situazione, nel maggio scorso 32 detenuti stranieri del carcere romano di Rebibbia, accusati di uso e detenzione di droga, hanno portato avanti per più giorni uno sciopero della fame chiedendo la revisione della legge: abrogazione dell'art. 6, abolizione del mandato di cattura obbligatorio e riduzione della pena detentiva durante l'istruttoria. Ma generalmente, a quanti recriminano contro l'attuale formazione della legge, le autorità competenti rispondono che il problema degli stupefacenti ha assunto allarmanti proporzioni, per cui non c'è ragione di ridimensionare una normativa occasionata da uno stato di fatto ben lungi dall'essersi modificato in senso positivo.

Proprio questa constatazione evidenzia però le ambiguità di una legge, inefficiente rispetto agli scopi per cui fu varata ma mantenuta immutata perché funzionale ad un certo tipo di operazioni repressive. Non sembra infatti che, a livello di trafficante, dove nessuno contesterebbe una severità ben maggiore di quella prospettata dalla normativa in vigore l'autorità si muova con la stessa capillare pignoleria che le permette di cogliere sul fatto decine di innocui piccoli consumatori. Volendo davvero colpire tutti i »pesci grossi , in una maniera o nell'altra coinvolti, un minimo di buona volontà assicurerebbe sostanziose retate. Dal giro degli abituali consumatori di droga, gli inquirenti potrebbero agevolmente risalire ai grossi trafficanti, ma ben raramente vanno a mettere il naso nelle tabacchiere di questi consumatori, affezionati della droga »pesante oltretutto, e nemmeno nelle valigie diplomatiche o nei ripostigli delle linee aeree, non escluse quelle del settore militare.

Il traffico della droga esiste ed i quintali sequestrati non sono una favola: solo che a spacciarla ed a consumarla non è certo il capellone o l'hippy ma ambienti ben più facoltosi che, praticamente al riparo dalle perquisizioni indiscrete, manipolano con tranquilla eleganza la »roba , ed hanno del resto i loro giornali prontissimi a scandalizzarsi della »degenerazione morale della gioventù »drogata e ribelle e ad invocarne la repressione. Occupato a tendere tranelli al capellone sdraiato sui gradini della piazza, stuzzicandolo perché si decida a tirar fuori quella sigaretta che giustificherà la retata tra i ragazzi seduti lì attorno, il poliziotto a caccia di droga si guarda bene dall'alzare gli occhi al superattico dei quartieri alti. Giustamente intimorito dalle grane che operazioni del genere inevitabilmente comportano, preferisce riversare tutto il suo zelo su hippy, studenti contestatori e stranieri male in arnese. Eppure non ignora che la droga costituisce attualmente il più grosso impero della mafi

a. Le prime risultanze dell'istruttoria ultimamente condotta dalla magistratura romana, che ha portato il giudice Amato ad indiziare di reato 92 personaggi, ha stabilito che i capi delle cosche mafiose interessate al contrabbando ed allo spaccio della droga avevano scelto Roma come centro di smistamento del colossale traffico che dal Medio Oriente raggiunge l'America ed il Canada attraverso l'Europa. Un traffico col quale non hanno nulla a che vedere studenti e capelloni sbattuti in carcere perché trovati in possesso di una sigaretta alla marijuana. Il »giro degli stupefacenti, con i miliardi che rende è ormai in Italia esclusivo appannaggio della mafia che può agire indisturbata grazie alle potenti protezioni di cui la gratifica un certo mondo politico: quello su cui sta cercando faticosamente di far luce la commissione antimafia e che con tutta probabilità non è estraneo alla scomparsa del giornalista De Mauro ed all'uccisione del procuratore della repubblica di Palermo Scaglione. Un "milieu" politico cor

rotto e senza scrupoli al quale evidentemente fa comodo, come capro espiatorio da presentare all'opinione pubblica, l'immagine del giovane »contestatore drogato e del »drogato di sinistra da perseguire con la massima energia. Un obiettivo non molto difficile da raggiungere tramite la compiacenza di ben guidate operazioni poliziesche.

»La legge dice che la polizia deve dipendere dalla magistratura. Ma in realtà succede il contrario: è la polizia a decidere le perquisizioni, a dirigere le indagini. Non è un paradosso: finiscono sempre con l'andare in prigione solo quelli che la polizia vuole che finiscano in prigione . Un'affermazione del magistrato romano Franco Misiani perfettamente riferibile al problema specifico delle operazioni antidroga che spediscono in carcere solo un certo tipo di drogati, precisamente quelli che la polizia desidera far finire in carcere. Non sembra dunque infondato il sospetto che l'autorità preferisca operare a quei livelli in cui la repressione del »reato possa prestarsi a qualche comoda strumentalizzazione in senso reazionario. Quasi che alla riconosciuta inadeguatezza tecnica della legge sia stata attribuita una specifica e più ampia funzionalità repressiva nei confronti di tutta una categoria di individui sgraditi al sistema.

Basta un superficiale approccio statistico al risultato delle campagne antidroga per constatare che l'art. 6 della 1041 intrappola generalmente individui colpevoli di aderire con l'uso della droga leggera ad una sorta di subcultura deviante dagli schemi del sistema. Nei confronti di questi »asociali l'ambigua dizione della norma si realizza in fattispecie concreta, dilatandosi nelle interpretazioni più estensive in cui la preoccupazione di reprimere l'uso della droga costituisce la motivazione minore. Al di là dei pietismi per la morte della giovane attrice, il caso di Carol Berger offre interessanti risvolti per un primo approccio al fenomeno, tanto più significativo se si considera la notorietà della vittima che, per il suo genere di vita, poteva essere facilmente assimilabile, e quindi come loro perseguibile, alla categoria degli »spostati . Per giustificare la richiesta dei mandato di perquisizione nella villa dei Berger la polizia giudiziaria cominciò col segnalare alla questura l'andirivieni di gente

per lei sospetta (...»trattasi di capelloni ...). Una volta effettuato l'arresto, al termine di una vasta operazione che impegnando più di 500 carabinieri portava al sequestro di un grammo di hashish, alla richiesta dell'avvocato difensore di disporre una perizia sanitaria per la donna ammalata, il giudice istruttore Varisano rispondeva: »Appena li arrestiamo perché sono drogati scoprono tutti di avere il cancro . Non certo sospettabili di sovversione, i Berger potevano far affidamento alla copertura della notorietà e dei quattrini ma anche in loro le autorità avevano ravvisato l'anomalo che giustificava la diffidenza e la reazione negativa. Un sospettoso disprezzo che trasferisce sul piano giuridico operativo l'istintiva avversione del benpensante per la »diversità di chi innesta nella propria vita una componente - nel caso la droga leggera - rifiutata dai canoni tradizionalistici del comportamento. Esaltando di conseguenza nel magistrato retrivo la consapevolezza della propria investitura istituzionale a

tutela del sano costume morale. Da questa prima reazione a livello individuale muove e prende forza la pervicacia nella repressione, egregiamente strumentata nelle sue sempre più estese ramificazioni, contro le frange dei »dissidenti che in maniera certo più drastica di un attore, cercano di contrapporre un loro sistema di vita a quelli normalmente accettati.

Divenuta uno dei simboli del ribellismo giovanile che rifiuta i »sani valori del sistema, le droghe non assuefacenti hanno suscitato nel potere costituito un atteggiamento repressivo terroristico: comprensione e cura starebbero infatti a significare tolleranza per l'atteggiamento esistenziale alla base del »vizio . Un atteggiamento politicamente discutibile, specie nelle sue espressioni più messianiche ed individualistiche, così facilmente integrabili in quella stessa dimensione sociale che dicono di rifiutare; discutibile ma non per questo da abbandonare - una responsabilità che grava in buona parte anche sul disinteresse di molti »impegnati - alle persecuzioni della odierna inquisizione. Questa è forte ed agguerrita, efficace perché razionalizzata, nonostante che gli alibi medico-scientifici dietro cui abitualmente si trincera siano ormai stati abbondantemente ed autorevolmente confutati: »Bere tre o quattro cocktails o fumare una sigaretta alla marijuna - sostiene il prof. Torre direttore della clinica

psichiatrica di Torino - raggiunge lo stesso scopo euforizzante, con effetti da parte dell'alcool probabilmente più nocivi all'organismo ed alla personalità . Concordano con queste dichiarazioni quelle assai pubblicizzate dalla stampa underground del dottor Marcello Fioravanti, del gruppo ricerca dell'Istituto di farmacologia dell'Università di Roma: organicamente una sbronza è di gran lunga più dannosa di una fumata di marijuana. Dal punto di vista psicologico la lamentata »asocialità del drogato è determinata dal bando imposto al »fumatore , che, istituzionalmente emarginato nel suo ghetto, può essere indotto a reagire assumendo atteggiamenti negativi.

Ma ad un comportamento in senso assai più lato pericoloso tende a far riferimento quell'etichetta di asocialità, attraverso la constatazione che l'uso razionale della droga leggera svincola effettivamente l'individuo (solo a livello soggettivo-individualistico, e qui sta il limite politico) da buona parte dei mortificanti condizionamenti che strutturano innaturalmente l'attuale sistema sociale. Rendendosi estraneo a certi ritmi forzati ed alle forsennate cadenze che la vita »civile vorrebbe imporgli, ponendosi fuori dal gioco di cui non accetta le regole il fumatore è effettivamente asociale, perlomeno nei limiti in cui socievolezza è sinonimo di abdicazione al potenziamento della propria essenza. Un rifiuto simbolo di tutta una impostazione di vita che, nelle sue differenti espressioni pratiche individuali, si ricollega, in aperta contraddizione con la concezione occidentale del mondo modellata dalla classicità e dal cristianesimo, ai principi delle teorie filosofiche orientali. Anche il preservare la cont

inuità della civiltà occidentale dalle inquietanti incognite di una generalizzazione dell'uso orientale della droga leggera ha un suo preciso significato politico, chiaramente riflesso nell'ideologia in base alla quale sono state impostate tutte le campagne di »moralizzazione in questo campo: reprimere culture e comportamenti eticamente estranei al quadro dei valori tramandati dal credo religioso-borghese e non suscettibili di facile classificazione ed assimilazione da parte dell'odierna società burocratizzata. Un principio tanto più valido in Italia dove la tradizionale sfiducia nella capacità del singolo ad una positiva autodeterminazione ed il conseguente sclerotizzarsi nel formalismo giuridico porta spesso all'istintiva censura di atti ed idee che debordino dal canone consueto, senza che intervenga il minimo tentativo di »interpretazione delle realtà individuali e sociali differenti.

Facilmente neutralizzabili con l'accusa di follia nel minorenne sprovveduto, questi atteggiamenti »asociali assumono dimensioni più preoccupanti quando a spiegarli, giustificarli e divulgarli intervengono individui meno vulnerabili perché della sistematica opposizione fanno la propria bandiera: si tratta allora di screditarne le teorie presentandole come alibi al loro stesso vizio. Un recente bollettino del "Farmacista Moderno", tra i giovani che si drogano enumera i disadattati, gli psiconevrotici, gli esibizionisti, gli intellettuali, definiti questi ultimi »giovani tendenzialmente portati a studi di psicologia, sociologia, filosofia, facilmente suggestionabili da letture di questo genere. Si lasciano facilmente influenzare dai compagni e ricorrono alla droga con pretesto culturale . Non sono affermazioni che lasciano il tempo che trovano ma proprio ad esse guardano le forze interessate alla repressione dei fermenti libertari, quando la dichiarazione scientifica si renda necessaria a coprire un'operazione

azzardata. E queste non mancano dal momento che, come prima accennavamo, alla subcultura della droga leggera sembrano rifarsi molti dei giovani più attivi nel contestare il sistema e le sue leggi. E' a questo punto che la caccia alla droga comincia ad assumere una precisa rilevanza politica. »I genitori non sanno più comportarsi con i figli ed i figli voltano le spalle ai genitori - si lamenta in una intervista il dottor Caracciolo, dirigente della squadra mobile della questura di Milano - I figli parlano di libertà ma si tratta di un malinteso spirito di libertà. E' con questa parola che difendono i loro principi tra cui quello di drogarsi . La troppa libertà e la poca ubbidienza vengono così agganciate alla droga, al tempo stesso effetto e causa prima. Se ad un primo livello emozionale il potere costituito è irritato dalla presenza di un modus vivendi anomalo rispetto alle tradizioni etico-religiose acquisite dalla maggioranza, ad un secondo stadio, di maggior consapevolezza dell'incisività politica di qu

ell'atteggiamento deviato, scatta il meccanismo difensivo contro i pericoli cui porterebbe la tolleranza: disobbedienza, disordine, sbandamento dei giovani, anarchia e, perché no, rivolta.

Condizionata dalle immagini del cinema e della letteratura, generose nelle storie di droga di urla e contorcimenti, lacrime e redenzione finale con sermone, l'opinione pubblica italiana è generalmente poco disponibile al distinguo sulla realtà sociale e sul differente graduarsi della fenomenologia individuale del drogato, stereotipato nell'individuo con la siringa in mano o in preda al rantolo se gli manca la dose. Per questo, quando con rapidità che quasi non lascia tempo alla riflessione gira ad un tratto la voce che la »scimmia è saltata anche sulla spalla dei giovincelli di buona famiglia, fino ad allora in colpa solo per aver fumato una nazionale nei gabinetti di scuola, esplode una esagitata campagna di allarmismo incitante alla vigilanza ed alla severità. Ma che non si preoccupa di indagare perché, nelle attuali strutture sociali, un giovane in cerca di evasione e di esperienze nuove le trovi nelle sostanze eccitanti, nell'hashish, nella marijuana che, d'altra parte, non lo trasformano affatto nel dr

ogato classico. Resta aperto il problema di un eventuale passaggio alle droghe pesanti, da risolversi comunque con ben diverso atteggiamento. Ma il fatto è che nella campagna antidroga e nella conseguente mobilitazione in senso reazionario dell'opinione pubblica, la politica della repressione dei fermenti contestativi giovanili trova forse il migliore degli strumenti. Ecco allora libri ed inchieste, articoli e tavole rotonde tutti accomunati più dalla preoccupazione di evitare che i giovani si indirizzino a moduli esistenziali alternativi che dal timore di prevenire la diffusione di sostanze pericolose. Anche se l'allarmismo, nella sua forma più diretta, inquadra il problema soprattutto da quest'ultima angolazione, ripetendo che l'Italia rischia di approdare alle stesse terribili esperienze degli stati coinvolti prima di lei nel fenomeno.

In USA il rapporto Lindsay ha appurato che a New York il 35% di tutti gli allievi di ogni tipo di scuola si droga e che il 30% dei trafficanti arrestati nel primo trimestre del 1970 aveva meno di dodici anni! In Italia ci fanno sapere che a Milano 35.00% degli studenti romani è iniziato all'hashish ed alla marijuana. Sempre a Roma il capo della squadra mobile Palmeri ed il capo della buoncostume Rotella hanno affermato che il fenomeno sta assumendo dimensioni estremamente preoccupanti: la droga sarebbe diffusa anche tra i tredicenni. Tra poco anch'essi, come i loro coetanei americani, vagheranno stralunati per le vie della città prima di morire sbavando sul marciapiede. Ed attenzione che negli obitori delle metropoli italiane non divengano frequenti come in America quei cartellini legati al dito del piede che sbuca da sotto il lenzuolo mortuario con la scritta »overdose »dose eccessiva . Non si tratta certo di minimizzare elementi di preoccupazione che evidentemente sussistono ma di denunciare come fino ad

ora in Italia il problema del diffondersi tra i giovani di sostanze a basso tasso narcotico sia stato prospettato in modo allarmistico, con chiari intenti di strumentalizzazione politica ai danni delle frange più critiche ed attive del mondo giovanile. E' lo stesso vice questore di Roma Antonio Fariello, capo italiano dell'Interpol ed uno dei »cervelli della guerra alla droga a riconoscere che »al momento il fenomeno della droga non è così inquietante come alcuni episodi potrebbero far credere. Non è vero che gli stupefacenti si siano infiltrati nelle scuole e che i nostri giovani siano drogati. Queste sono generalizzazioni che non servono a nessuno... . Servono invece, e come!

I droga-boat di Roma, il barcone del Tevere presentato l'anno scorso come la fumeria clandestina frequentata da centinaia di giovanissimi studenti è l'esempio più tipico della speculazione politica a rimorchio della droga. Non è infatti un caso che la campagna di stampa alimentata in quei giorni dal "Tempo", il quotidiano parafascista della capitale, abbia praticamente tentato di criminalizzare tutta la nuova ondata della protesta giovanile, associando la droga alla contestazione studentesca e, con una escalation nella speculazione politica, alla sinistra in genere, parlamentare ed extraparlamentare. Invocando, in nome della lotta alla droga, una dura repressione nei confronti dei settori giovanili, studenteschi in particolare, politicamente più impegnati. Ecco una carrellata sui titoli degli articoli del periodico.

21 marzo. Prima pagina, cinque colonne: - "Infame centrale del vizio nel cuore di Roma - CASA DELLA DROGA PER MINORENNI IN UN GALLEGGIANTE SUL TEVERE - Al momento dell'irruzione dei carabinieri nel locale si trovavano novanta ragazzi quasi tutti studenti medi - Sequestrati hashish, eroina, eccitanti, siringhe, alcooli alterati, ricettari rubati, traveller's cheques falsi - Ricatti, violenze alle ragazze, speculazioni e minacce sul barcone - Numerosi minori di quattordici anni tra i ragazzi, sedici dei quali sono stati trovati in stato soporoso".

In cronaca, le intere due pagine: - "Era purtroppo fondato il nostro grido di allarme - RAGAZZI DROGATI".

22. marzo. Prima pagina, quattro colonne: - "Sconvolgente scoperta nelle indagini per i festini - STUDENTI DI VENTI SCUOLE TRA LE VITTIME DELLA DROGA NEL GALLEGGIANTE SUL TEVERE" -

Cronaca, quattro colonne: "ADESCAVANO I RAGAZZI NEI PRESSI DELLE SCUOLE". Tre articoli collaterali: interviste e dichiarazioni allarmistiche.

23. marzo. Prima pagina, tre colonne: - "PER GLI STUDENTI DROGATI OGGI RIUNITA AL COMUNE LA COMMISSIONE SANITA', - E' stata così accolta la proposta sostenuta dal nostro giornale di affrontare in ogni sede il fenomeno della diffusione della droga - petizione popolare per l'inasprimento delle pene" -

Cronaca, cinque colonne: - "CINQUANTAMILA FIRME CONTRO l VAMPIRI DELLA DROGA - centinaia di telefonate, telegrammi, lettere per concretizzare l'iniziativa del nostro giornale - particolari indagini sui convegni d'amore tra minorenni sul galleggiante" -

24 marzo. Cronaca, intera pagina: - "MOBILITAZIONE CONTRO LA DROGA" -

25 marzo. Prima pagina, tre colonne: "DIFENDIAMO I NOSTRI GIOVANI". Cronaca, intera pagina: - Clamoroso e significativo episodio ieri sera nella zona del galleggiante - FARMACISTA MINACCIATA DA UN CAPELLONE IN CERCA DI FIALE PROIBITE".

26 marzo. Cronaca, intera pagina: "BONIFICATA PIAZZA Dl SPAGNA, LA MINIERA DELLA DROGA GIOVANILE - Sequestrato hashish ed arrestati dieci capelloni".

28 marzo. (assassinio dello studente Lucarelli) Cronaca, intera pagina: "DROGA, COMUNISTI ED INVERTITI NEL GIRO DELL'ASSASSINATO - L'ombra dell'hashish sulla morte del giovane" -

6 aprile. Prima pagina, cinque colonne: - "Certi ambienti di sinistra - SMASCHERATI I PROTETTORI DEI DROGATI"

7 aprile. Prima pagina, editoriale su tre colonne: "LA DROGA E' UN ARMA POLITICA E MILITARE IN MANO AL COMUNISMO".

22 aprile. Cronaca, quattro colonne: "SUL PETTO MAO, NELLE VENE LA DROGA".

29 giugno. Prima pagina, tre colonne: "ORGE E DROGA PER COMUNISTI SULLA TOLFA".

30 giugno. Cronaca, tre colonne: "IL CHE GUEVARA DELLA DROGA OSPITAVA GLI AMANTI SCOLASTICI".

Un elenco che potrebbe continuare. Ma esaminiamo più da vicino il procedere della campagna. Proprio nei primi mesi del 1970 il movimento degli studenti a Roma sembrava aver ripreso fiato e stava rilanciando la lotta dall'interno delle scuole, licei ed istituti tecnici, all'esterno, nelle città e nelle scuole di altri ordini e gradi. Con comprensibile preoccupazione di quanti, interessati alla rapida disintegrazione della politicizzazione studentesca degli anni precedenti, ricominciavano la solfa delle proteste per restaurare la disciplina nelle scuole »dove si studia e non si fa politica . Il 21 marzo i giornali annunciano la scoperta della fumeria sul Tevere. Eppure, guarda le strane coincidenze nei giorni precedenti "Il Tempo" aveva accuratamente preparato i propri lettori a recepire la notizia nel senso desiderato con una sfilza di articoli allarmistici, impostati sul doppio binario dei deleteri effetti della droga per l'equilibrio fisico e morale dei giovani e del caos in cui i giovani estremisti del mov

imento avevano precipitato la scuola. Il 14 e 15 marzo grande rilievo all'»appello per la scuola seria lanciata dai professori di ruolo A che invitano il ministro Ferrari Aggradi a prendere concreti provvedimenti contro il disordine che paralizza gli istituti dove »l'ordine e la legalità sono compromessi dal dilagare delle agitazioni studentesche . Il 19 marzo mancano due giorni alla scoperta del barcone, è effettuata la manovra di aggancio tra droga e contestazione studentesca con mossa che coinvolge nell'accusa tutto il mondo giovanile »irregolare .

»"La droga" - scrive il Tempo - "è diffusa soprattutto attraverso la spicciola e grama diaspora dei capelloni di varia origine e provenienza che nel nostro paese ed a Roma soprattutto hanno ottenuto una troppo tollerante ospitalità gelosamente protetta dal PCI e dalle sue filiazioni. Ora la droga dilaga tra i nostri ragazzi. All'Università, nei licei, nei locali destinati alle loro evasioni psichedeliche, persino nelle assemblee di contestazione e nelle riunioni di ispirazione anarchica l'infezione si trasmette l'uno all'altro, colpisce la fantasia dei ragazzi, compensa le loro frustrazioni, li anima nelle loro contestazioni, inventa miti in luogo degli ideali che non abbiamo saputo loro trasmettere, li sconvolge, scardina la loro coscienza civile ed il loro impegno morale" .

Dopoché, il 21 marzo, i carabinieri della stazione di viale Mazzini comandati dal capitano Servolini possono far utilmente irruzione nella »fumeria . Nel barcone si »fumava in effetti ma la stampa reazionaria si getta a montare una colossale speculazione politica sull'episodio che più tardi l'indagine giudiziaria avrebbe ridotto a modestissime dimensioni. Sin dal giorno successivo all'irruzione nel barcone "Il Tempo" lancia un appello per una petizione popolare contro la droga: 50.000 firme per ottenere una legge che inasprisca le sanzioni attualmente previste in questa misura: per gli spacciatori la reclusione da 5 a 15 anni e la multa da 1 a 10 milioni; per chiunque detenga, anche per uso personale ed in minima dose la reclusione da 3 ad 8 anni e la multa da 300.000 a 4 milioni. Proposta in perfetta sintonia con la tendenza a sostituire la pena repressiva con la cura! L'iniziativa pretesto per dichiarazioni a favore dell'ordine e della sanità morale della gioventù, radunerà per diversi mesi attorno ai tav

oli delle redazioni cittadine del giornale, davanti alle chiese, nelle scuole (con una presenza illegale che non si è mai saputo permessa da chi) personaggi e gruppi tipici del mondo politico e parapolitico conservatore, convenuti per incrementare la raccolta delle firme: il leader della »maggioranza silenziosa, on. Greggi, tra gli altri, in una pausa della battaglia contro il divorzio e la pornografia, e l'intera giunta esecutiva provinciale romana della DC, per il buon esempio. A tener desto l'allarmismo non manca un quotidiano bombardamento di episodi più o meno artificiosamente costruiti per ingigantire il pericolo del drogato a piede libero: farmacisti minacciati da capelloni in cerca di pasticche ma senza ricetta; grotte dove si avvicenderebbero centinaia di capelloni »non solo stranieri per drogarsi in pace. »Mio figlio si è drogato! Aiutatemi a portarlo alla Neuro! invoca un padre nella Cronaca, accanto all'annuncio che nelle zone di piazza di Spagna, Trastevere e Piazza Navona sono state perquisit

e decine di case di »sedicenti artisti e pseudointellettuali di sinistra . Per meglio sottolineare che »il marcio non si limita solo all'uso ed abuso degli stupefacenti ma coinvolge anche altri reati si dà notizia di tre donne, frequentatrici del droga-boat, denunciate per interruzione di maternità. Anche i più clamorosi fattacci del periodo vengono presentati con condimento di droga: così l'assassinio del giovane Sebastiano Lucarelli (»l'ombra dell'hashislh sulla morte del giovane ) o il caso di Tamara Baroni (»Tamara interrogata in carcere anche sui festini alla droga ). Fantomatica piovra malefica la droga sembra allungare i suoi tentacoli in tutti gli avvenimenti poco puliti della città e della nazione; lo stesso Paolo VI ritiene opportuno ammonire i fedeli sui pericoli di »divorzio, droga e pornografia . Fatto è che i carabinieri avevano detto di aver bisogno di almeno dieci giorni per completare le indagini ma, a tre mesi dalla irruzione nel barcone non era venuta fuori nessuna delle clamorose scopert

e promesse, mentre si chiudeva in sordina la raccolta delle firme del Tempo (di cui, tra l'altro non si è saputo più nulla). Per non deludere troppo il pubblico con tanta maestria precedentemente messo in allarme, in mancanza di operazioni più concrete, suppliva l'intensificarsi della repressione spicciola, sempre utile del resto. Con casacche, barbe e parrucche, collane al collo, giovani agenti si danno a battere le piazze romane offrendo la »roba ed aspettando l'offerta pronti a cogliere »in flagrante e ad invitare in questura. In una sarabanda di frammenti di hashish, mozziconi di marijuana, irruzioni in fumerie scalcagnate o di lusso. Una notte di maggio, nei pressi dell'Ara pacis, una ragazza passeggia nuda e stralunata: drogata e violentata, l'approdo dalla natia Frosinone. Le è andata meglio della coetanea trovata bruciata nel suo letto in febbraio: anche lei drogata, giurano i carabinieri. E per dimostrare polso infrangono i più sacri miti nazionali. Il 23 maggio Walter Chiari e Lelio Luttazzi sono

spediti in galera, fregati anch'essi da un pizzico di droga.

L'orchestrazione di tanto allarmismo aveva, come si è detto, un fine ben preciso: agganciata alla contestazione studentesca la campagna antidroga serviva a denunciare la pericolosa debolezza delle autorità, responsabili del diffondersi del vizio tra i ragazzi, lasciati liberi di marinare la scuola, col pretesto della politica, per correre a drogarsi. »Il fatto - scrive il 22 marzo "Il Tempo" - denuncia infine quanto scarsa per non dire inesistente sia l'opera educativa nella scuola, il cui impressionante decadimento del resto è stato più volte, e con gravissimi accenti, rilevato da presidi e docenti i quali, tra l'incudine di agitazioni abilmente fomentate ed il martello di autorità scolastiche superiori incerte e pavide, si trovano ormai nella impossibilità di dirigere quella che è diventata una allegra baraonda pressoché priva di ogni controllo .

Una strumentalizzazione politica gestita da tutta l'area moderata: i due consiglieri liberali Sergio Saccone e Luciana Sensini presentano una interrogazione al presidente dell'Ammistrazione Provinciale per sapere »se non intenda promuovere attraverso i centri di igiene mentale d'accordo col medico provinciale e con il Provveditore agli studi, una vasta azione di prevenzione e controllo negli istituti allo scopo di proteggere ed ove occorra recuperare i giovani alla sanità morale, psichica e fisica che un eccessivo lassismo da parte dei responsabili ed un concetto di libertà male inteso e peggio sfruttato da parte di chi anche dalla degenerazione intende trarre profitto per i suoi scopi minacciano di distruggere . La Sensini ribadisce da parte sua che la principale colpevole di questo deprecabile stato di cose è la scuola »per colpa di un ben individuabile sfruttamento ideologico anche da parte di alcuni docenti e per la debolezza camuffata da avventurismo democratico delle autorità, preoccupate di tacitare u

na minoranza faziosa e scansafatiche ma non di tutelare la stragrande maggioranza che lavora in dignitoso silenzio .

Accuse e lamentele puntualmente confermate, neanche a dirlo, dalle scoperte dei carabinieri: da una retata di drogati salta fuori il capellone comunista con il nome di Mao tatuato sul petto; e non si contano i ragazzi sorpresi »mentre si iniettavano stupefacenti in compagnia di altri sciagurati dediti al furto ed alla contestazione . Quando poi il solito grammo di hashish fa arrestare Enrico Cipolla, un esponente del Ms il Tempo, ribattezzandolo il Che Guevara della droga, invita a meditare sulla »comodissima guerriglietta nostrana, comodissima perché si esercita contro una polizia impastoiata in mille legami, contro una polizia che mentre si difende con gli scudi dalla sassaiola della contestazione, fa da vigile scolta al cosiddetto estremismo di destra .

Ma una speculazione politica che si fosse limitata ad attaccare la contestazione giovanile senza esercitarsi contemporaneamente contro i partiti della sinistra, il PCI in primo luogo, avrebbe mancato un'ottima occasione, e la stampa reazionaria è difatti ben lesta nel non lasciarsela sfuggire. Più che eloquenti a questo riguardo questi commenti che stralciamo dagli articolo del Tempo: »cominciato sulle rive del Tevere l'incendio minaccia di propagarsi ad ambienti ben noti, politicamente caratterizzati come comunisti o filocomunisti ... »gratta gratta quando c'è da trovare un legame tra il vizio e la droga spunta invariabilmente un comunista ... »si deve colpire dappertutto senza timore. E non bisogna avere paura se i comunisti gridano. I dirigenti del PCI hanno legato la loro responsabilità alla tolleranza troppo spesso accordata alle bande di giovinastri senza coscienza e senza patria che hanno cominciato a diffondere tra i nostri ragazzi la moda della droga, assieme a quella dei capelli incolti e degli a

tteggiamenti asociali. La droga è un altro più sottile ed insidioso strumento del PCI per sovvertire dalle radici più profonde la nostra società .

All'appuntamento con "Il Tempo" erano accorsi naturalmente i giornali »fratelli ben disposti ad ingigantire la speculazione. »Trentanove anarchici e maoisti sono stati sorpresi a Milano in due sexyfumerie - informa "Lo Specchio" - dove fervevano festini all'insegna di slogans rivoluzionari. Evidentemente la via della droga passa attraverso i pensieri di Mao e le arringhe di Bakunin. Meglio ancora "il Borghese": »Il sottomondo della droga è una sorta di colonia marxista governata da alcuni impegnatissimi intellettuali e popolata da turbe di ragazzi e ragazze che contestano questa società, ne disprezzano i miti ed i tabù e poi si consolano con una zolletta di zucchero all'LSD, con una iniezione di paradiso in fiale e con qualche sigaretta di hashish . Stupisce allora che di fronte a questo battage reazionario la sinistra non abbia sentito l'esigenza di controbattere ben più duramente di quanto non abbia fatto, denunciando la pur evidentissima speculazione connessa a quella campagna antidroga. Alla campagna »p

olitica del fascista Tempo e degli altri organi reazionari non vi è stata da parte dei giornali di sinistra una adeguata risposta politica: qualche lamentazione (Unità), molta sociologia accompagnata da articoli e servizi »scientifici (Paese Sera). In genere scialbi ed alquanto paternalistici ammonimenti, limitandosi a mettere in guardia contro la droga ma non anche contro chi di questa si serve per organizzare la caccia alle streghe. Ciò spiega il completo successo dell'operazione droga-boat.

Nel giugno del 1970, partorito dall'allarmismo scatenatosi con la scoperta del droga-boat, nasceva il nucleo antidroga dei carabinieri, istituito presso il ministero della Sanità e comandato dal colonnello Di Chiara. Ma già precedentemente, nell'ambito della compagnia di viale Mazzini, il capitano dei carabinieri Servolini aveva costituito una speciale squadra antidroga che poi ritroviamo regolarmente a fianco del nucleo »ufficiale di De Chiara impegnata in moltissime delle operazioni antidroga ed »anticapellone . Il capitano Servolini, che era alla testa degli uomini che irruppero nel barcone, aveva poi organizzato nei giorni e mesi successivi l'»operazione interrogatorio , un momento essenziale della più generale operazione anti Movimento studentesco. Effettuata con centinaia di interrogatori di genitori, convocati nelle caserme di viale Mazzini nei momenti più assurdi e »lavorati a puntino sui pericoli e rischi di avere dei figli troppo indipendenti. Le indagini del PM Franco Marrone avrebbero poi limit

ato gli arresti a venti, ridotti un anno dopo a nove nella sentenza del giudice istruttore Squillante. Dei nove rinviati a giudizio solo tre hanno venti anni: tutti gli altri sono ultramaggiorenni: evidente allora che in quell'affare ai carabinieri fossero imputabili perlomeno grosse esagerazioni di comodo.

C'è inoltre un sospetto più grosso. Con troppa esattezza "Il Tempo" aveva preparato il suo piano di sostegno all'azione dei carabinieri sul barcone, prevedendo addirittura tempi e situazioni. Esso stesso ci informa che le indagini conclusesi con l'irruzione nella fumeria duravano da un mese: c'era quindi tutto il tempo per essere imbeccati in anticipo su quanto si preparava, per poter poi titolare trionfalmente l'intero paginone della cronaca: »"Era purtroppo fondato il nostro grido di allarme!" .

Non mancano del resto altri episodi a conferma di ambigue connivenze tra certe forze dell'ordine e stampa reazionaria. Sempre al tempo delle indagini sul droga-boat il settimanale fascista "Il Borghese" pubblicava alcuni passi del diario di Graziella Scotese, giovane intellettuale di estrema sinistra implicata nell'affare, sequestrato dai carabinieri durante una perquisizione effettuata nell'abitazione della ragazza e poi misteriosamente scomparso. I carabinieri avrebbero in seguito sostenuto di non aver mai avuto tra le mani quel quaderno né il magistrato preposto alle indagini, Marrone, lo trovò tra i documenti consegnatigli. Eppure il Borghese aveva avuto modo di pubblicarne ampi stralci dimostrando inequivocabilmente che per occulte, ma non forse tanto, vie, il diario era finito sul tavolo dei suoi giornalisti, utilissima pezza d'appoggio per montare un'ulteriore speculazione. Un'operazione non dissimile deve essere stata imbastita con tutta probabilità dal Tempo. Questo quotidiano è notoriamente legato

agli ambienti fascisti: un suo redattore Pino Rauti è uno dei noti dirigenti del MSI e di Ordine Nuovo. E il capitano Servolini è citato nella Strage di Stato per una dichiarazione di Evelino Loi: »In varie occasioni ho conosciuto degli ufficiali di polizia, dei carabinieri e dell'esercito che frequentavano le sedi del MSI... Ricordo il capitano dei carabinieri Servolini che in più occasioni ho visto parlare con alcuni funzionari della sede di via Quattro Fontane . Non è fuori luogo allora data l'omogeneità politica pensare ad una sorta di preventivo accordo di massima per colpire duramente, col pretesto della droga tutta la fascia dei nuovi movimenti di sinistra. Tanto più che (è sempre la Strage di Stato a suggerirci il collegamento tra gli episodi) la droga si è prestata ancora, dopo gli attentati »anarchici del dicembre '69, a strane operazioni di polizia: a far togliere di mezzo forse il più scomodo testimone dell'attentato romano, teste d'accusa per i fascisti ed a discarico per gli anarchici. Si trat

ta di Udo Lemke, un capellone tedesco studente di chimica che la sera dell'attentato, uscito dopo lo scoppio dalle grotte sotto l'Ara Coeli dove dormiva, riconobbe tre giovani siciliani che tre mesi prima gli avevano proposto di compiere attentati dimostrativi dietro ricompensa. Presentatosi volontariamente dai carabinieri per testimoniare, le sue parole ponevano sotto accusa ambienti e personalità di destra ben identificabili: uno dei tre siciliani sarebbe Stefano Galatà, capo dei volontari MSI di Catania. Ma si trattava di una testimonianza scomoda perché a tutto svantaggio dell'istruttoria in senso antisovversivo che si era deciso nel frattempo di costruire. Nessuna meraviglia allora che durante una perquisizione di carabinieri (erano anche questa volta quelli del capitano Servolini?) dalla piccola stanza d'albergo del tedesco saltassero fuori dieci chili di droga. Dopo due mesi di carcere Lemke veniva messo fuori circolazione col trasferimento nella clinica neuropsichiatrica di Perugia dove si trova tutt

ora.

L'allarmismo, più o meno abilmente strumentato, non ha mancato di coinvolgere in piani assurdi e repressivi le stesse autorità preposte alla formulazione delle operazioni di prevenzione. Prese al laccio da un certo tipo di propaganda, esse si sono trovate ad appoggiare, spesso loro malgrado, le macchinazioni degli elementi reazionari. Nonostante gli avvertimenti delle sinistre che, pur non avendo particolarmente brillato in simili circostanze, hanno saputo almeno individuare la speculazione. Quando nel gennaio del '71 il consiglio comunale di Roma decide di spendere 15 milioni per organizzare una campagna antidroga ufficiale, i consiglieri comunisti e psiuppini votano contro lo stanziamento richiesto dall'assessore all'igiene e sanità Marcello Sacchetti - sollecito nel firmare la petizione de "Il Tempo" - denunciando quella che verrebbe a configurarsi come una vera e propria campagna repressiva della gioventù. Ma grazie all'appoggio delle destre di opposizione lo stanziamento sarebbe stato approvato ugualmen

te. Il comune di Roma avrebbe potuto quindi dar via alla sua campagna, giovandosi anche dei fondi reperibili attraverso la gigantesca nostra mercato organizzata da 650 artisti (tra gli altri Fazzini, Messina, Purificato) per impiantare a Roma un centro antidroga. Un ideale encomiabile ma, al solito, della iniziativa viene pubblicizzato soprattutto la partecipazione delle opere di Enrico Pizzomiglio, il ragazzo rimasto mutilato nell'attentato di piazza Fontana. Palesando quindi il vero significato della mostra: la vittima di un crimine dei sovversivi si adopra perché uno degli strumenti della sovversione della gioventù la droga, venga eliminato.

Che la campagna antidroga come la intendono i responsabili romani del settore sia ben lungi dall'essere improntata in chiave davvero educativa lo dimostra chiaramente un episodio: in gennaio nella sede del CNLD (Centro Nazionale Lotta alla Droga) a Roma vengono presentati alcuni documentari contro la droga realizzati dal dott. Alessandro Simeone capo dell'ufficio centrale stupefacenti del Ministero della Sanità, definito nei comunicati »uno dei massimi esperti nel settore . Alla riunione sono presenti varie autorità ma nessun farmacologo, psicologo e sociologo: forse per evitare critiche troppo accese dato che il documentario sarebbe stato unanimemente giudicato dai giornalisti presenti approssimativo e convenzionale, ascientifico, e terroristico, in misura tale da giustificare le profonde riserve espresse sull'opportunità di presentarlo alle scolaresche. Per la scelta e l'elaborazione dei materiali presentati nel documentario - il quale proclama tra l'altro che la droga »abbonda tra prostitute, lenoni ed in

vertiti e che »porta alla pazzia sfrenata - il dott. Simeoni si sarà probabilmente valso dell'identica metodologia seguita dai suoi colleghi USA. Al museo comunale di New York si è tenuta in questi ultimi mesi la prima mostra antidroga del mondo, costituita principalmente da foto di drogati repellenti a grandezza naturale con corredo stereofonico di grida strazianti e gemiti di drogati in preda ad allucinazioni. Il Ministero della Sanità si dichiarava estraneo al fallimentare esperimento dei documentari e qualche giorno dopo Mariotti nominava il dott. Capasso, ispettore generale chimico, capo dell'ufficio centrale stupefacenti in sostituzione del Simeoni.

Nel giro di pochi mesi il CNLD avrebbe comunque cessato la propria attività. Quasi contemporaneamente, alla metà dell'aprile 1971, il ministro Mariotti con una breve lettera indirizzata al comando generale dell'arma liquidava il nucleo antidroga dei carabinieri, trasferendo gli incarichi delle ricerche ed analisi all'ufficio centrale narcotici del Ministero della Sanità. Anche se non più alle dipendenze del Ministero della Sanità il nucleo antidroga dei carabinieri continuava a funzionare: si è trasferito in una sede autonoma ed è stato anzi notevolmente potenziato.

Oltre che dall'intento di alleggerire il clima di tensione creato nell'opinione pubblica dalla grossolana durezza delle operazioni repressive connesse alle campagne antidroga, quel provvedimento era stato favorito dagli stessi funzionari della Sanità, costretti a segnalare al nucleo i casi di tossicomania a loro conoscenza ma per la maggior parte contrari a questa metodologia perché controproducente. La chiusura del Centro nazionale di lotta alla droga e la liquidazione del nucleo dei carabinieri potrebbero essere sintomatiche dell'avviarsi della contenzione del fenomeno a sistemi più razionali e meno vessatori. Ma se nella fase del recupero del tossicomane si deborda dal consueto e dal tradizionale scattano di nuovo le molle dell'intolleranza: basta prestare attenzione al vero e proprio ostruzionismo riservato a chi intervenga nel settore con proposte »nuove ma giudicate pericolosamente libertarie. Si dà così il più ampio risalto al »servizio assistenza drogati istituito dall'Ufficio di igiene del comune

di Roma, mentre ha corso il rischio di chiudere i battenti il »Centro per le tossicosi da stupefacenti e da farmaci psico attivi dove il prof. Cancrini da tre anni portava avanti una iniziativa rivoluzionaria per il recupero dei giovani tossicomani, tra ostilità ed incomprensioni di ogni genere, soprattutto la parte degli enti preposti alla cura ed all'incentivazione del centro. In luglio, al convegno organizzato a Torino sul lavoro del gruppo, un rapporto redatto dall'equipe coordinata da Cancrini sul tema »I fattori sociologici della farmacodipendenza dei giovani ha illustrato i risultati di questo primo faticoso tentativo di indagine sulle effettive motivazioni sociali del comportamento tossicomane degli adolescenti. Oggetto della ricerca, che ha coinvolto nell'esame 142 famiglie di drogati, tutti i casi di tossicomania curati a Roma nell'arco di un anno. L'esperimento più interessante - ma anche quello subito guardato con maggior sospetto - era stato la creazione della »comune di piazza Bologna, nata

perché il medico potesse vivere quotidianamente a contatto con i giovani tossicomani instaurando con loro un rapporto di amicizia e di spontaneità, nel tentativo di sostituire la repressione psichiatrica imperante di solito nelle terapie di recupero. La morte per suicidio di due giovani ospiti, unita a tutte le altre difficoltà oggettive, aveva però segnato la fine della »comune , peraltro già condannata in anticipo dalla viva ostilità del mondo clinico ufficiale e dalle autorità. »Abbiamo dovuto lavorare contro l'autorità di pubblica sicurezza - denuncerà Cancrini al convegno di Torino - e sentirne la presenza soltanto attraverso le intercettazioni telefoniche. Vederci offrire un rifiuto silenzioso da parte di autorità così valide nel propagandare con comunicati stampa le loro intenzioni non realizzate . Ed ora, per mancanza di fondi, ma soprattutto per disinteresse del Ministero, nel momento in cui il problema droga viene ad assumere gravi dimensioni, si trova in difficoltà l'unico centro che sperimentasse

nuove vie di intervento ma che aveva il torto di riuscire sgradito a chi imposta questi problemi solo dal punto di vista della repressione. Sempre al convegno di Torino un solerte magistrato milanese aveva tenuto a precisare che, a norma di legge, l'intero gruppo di ricerca avrebbe potuto essere incriminato per istigazione a delinquere, favoreggiamento continuato di detentori di stupefacenti ed omissione di denuncia. Né è mancata la calunnia e la diffamazione.

Il settimanale "Gente" - dell'editore Rusconi, un intraprendente reazionario da poco cimentatosi anche nel lancio dei più retrivi tromboni filosofico-politici - ha pubblicato in Agosto una intervista con le famiglie dei due ragazzi suicidatisi nel periodo in cui erano ospiti della »comune di piazza Bologna. L'articolista non fa il nome di Cancrini ma informa che i due ragazzi erano capitati »in una comunità hippie che li aveva distrutti fisicamente e moralmente ; in essa »si alimentava l'uso e la diffusione della droga da parte di persone senza scrupoli intenzionate a sfruttare lo spirito di rivolta degli infelici ragazzi contro le famiglie e la società . »Gli si erano messi intorno certi medici ed assistenti sociali che avevano teorie stranissime - confida del resto la madre di uno dei ragazzi - quando andavamo ai colloqui, davanti a Massimo che era drogato e ribelle e odiava la famiglia c'era un medico che dava la colpa a noi insomma ci faceva sentire imputati e colpevoli . Così è presentata al lettore la

tecnica delle interviste famigliari ed a tanto si riduce il programma di psicoterapia intensiva, per un complesso di circa 300 sedute, cui l'equipe Cancrini ha sottoposto 20 famiglie di giovani tossicomani! Una »maledetta comunità dove operava anche »la figlia di un noto parlamentare di estrema sinistra (Marisa Malagoli Togliatti) e dove, a detta della madre del secondo ragazzo suicida, »il dottore mi sembrava drogato anche lui . Se questi giudizi aberranti possono anche spiegarsi nella mente sconvolta dal dolore di una madre è veramente inqualificabile l'atteggiamento di chi ne strumentalizza gli sfoghi incoerenti per servirsene come appoggio alle proprie tesi. Che, nel caso dell'articolo in questione, non per nulla intitolato »Li plagiano per drogarli , è quella di accusare la »comune , e di conseguenza l'equipe, di »plagio chimico verso i ragazzi »con la scusa di riadattarli .

Assai lentamente e tra molte incertezze il mondo giuridico sembra comunque volersi orientare verso una ristrutturazione della legge; in tal senso si è espresso il discorso dell'avvocato generale Cesare Saviotti per l'inaugurazione dell'anno giudiziario a Roma: »sarebbe opportuno che il legislatore mantenesse le severe pene previste dalla legge soltanto per i trafficanti . La VI sezione penale del Tribunale di Roma ha inoltre accolto la questione di legittimità costituzionale delle norme relative all'uso e detenzione di stupefacenti sollevata nel gennaio scorso dagli avvocati Adolfo Gatti e Giorgio Angelozzi, difensori di alcuni giovani del giro della modella Janine Cavallaro suicidatasi nel 1970. La legge 22 ottobre n. 1041, sostiene l'eccezione, è costituzionalmente illegittima perché prevede un'unica pena per fatti e comportamenti completamente diversi (uso e traffico) creando una situazione di disparità legislativa in contrasto con l'art. 3 della Costituzione per cui tutti i cittadini sono uguali davanti

alla legge. Recependo questo principio il giudice Squillante dell'ufficio istruzione del Tribunale di Roma ha accolto in Giugno l'istanza di libertà provvisoria presentata dal difensore di una diciassettenne trovata in possesso di una dose di LSD. Nell'ordinanza, fino ad ora senza precedenti, il magistrato ha praticamente operato la distinzione tra detentore e trafficante: muovendo dal presupposto che la ragazza potrebbe esser condannata al minimo della pena e che, essendo incensurata verrebbe a beneficiare delle attenuanti generiche e del perdono giudiziale, il giudice ha ritenuto che sarebbe stato ingiusto far rimanere la ragazza in carcere fino alla conclusione del processo al termine del quale avrebbe riacquistato sicuramente la libertà. Ci sono poi le proposte di legge giacenti che tendono ad adeguare la legislazione italiana alle risultanze scientifiche, in modo da condurre la lotta alla droga attraverso, interventi di prevenzione e di cura. Non sembra comunque che, restando immutati gli altri termini

della situazione, la posizione del »drogato davanti all'autorità appaia in pratica suscettibile di concreti miglioramenti. Soprattutto perché abbondano coloro che ritengono esiziale per la buona salute del paese le leggi »demagogiche che restringono i poteri della polizia: una normativa permissiva verso i consumatori di droga porterebbe secondo costoro ad una esplosione di criminalità anche in questo settore. Non affermava il colonnello Gibellini, comandante del I gruppo di sezione della guardia di finanza, che una delle maggiori difficoltà per arginare l'uso della droga è data »dalle attuali leggi molto democratiche e dal risvolto per noi negativo della procedura penale che tende a proteggere l'individuo al di là di ogni ragionevole dubbio? Difendendo poi la legge 1041 Gibellini aggiungeva: »nonostante la si consideri eccessivamente severa ed anche ingiusta io ritengo che possa costituire un valido freno per chiunque abbia intenzione di avvicinarsi alla droga. Come spacciatore o semplice consumatore .

»Un grammo di droga od un quintale per la legge è lo stesso - dichiarava da parte sua il giudice Verasano al tempo del caso di Carol Berger - io sono contro quella frangia di sinistra che tenta di sovvertire lo Stato interpretandone le leggi. Il giudice che interpreta le leggi è un anarchico . Un giudizio, questo ed il precedente, condivisi da numerose questure e non parrebbe azzardato di conseguenza prevedere che anche nel caso di una modifica della legge essa conserverebbe i suoi caratteri liberticidi proprio perché c'è il rischio, se non addirittura la certezza, che la discrezionalità di stabilire la distinzione tra spacciatore e detentore, ai fini dell'applicazione delle norme, resti alla polizia, che potrebbe quindi continuare a servirsi della droga per mettere al bando gli indesiderati del sistema. Come continua a fare anche nell'attuale fase di vigilia della democratizzazione della legge, che dovrebbe perlomeno indurre a maggior cautela nelle operazioni. Al contrario la caccia all'hippy ed al capellon

e, al contestatore ed all'anarchico, condotta all'insegna della droga prosegue incessante. A Torino, nei ghetti dove si ammassano gli immigrati di Agnelli, la Stampa e la polizia si sono in Agosto associate per bonificare la città. I cronisti della Stampa si sono spinti tra l'altro in un edificio fatiscente dove vivono decine di famiglie del sottoproletariato, non per denunciare all'opinione pubblica »topi, rigagnoli delle fognature, cartacce e cumuli di immondizie , ma il fatto ben più scandaloso che nelle soffitte dello stabile si annidava un »covo di giovani drogati .

Eccitata dai fatti criminosi che spesso si collegano realmente alla droga, buona parte del pubblico sarà sempre facilmente strumentalizzabile da parte di chi sia sollecito ad indicarle in ogni »sbandato un »drogato , quindi potenziale delinquente. Dopo che nel maggio scorso il giovane tedesco Manfred Becker ebbe ucciso una donna in un negozio romano, durante un »viaggio LSD nel corso di un grossolano tentativo di rapina, in un'assemblea di commercianti furono raccolte proposte punitive nei confronti di tutti i »giovani vagabondi degne delle SS »Scacciamoli - propone tra gli altri una donna - andiamo subito a piazza di Spagna, per gli assassini ci vuole la pena di morte; facciamola rimettere . Il giovanotto di Dortmund aveva certamente sbagliato a credere di risolvere i propri problemi imbottendosi di LSD e rapinando i magazzini. E' anche vero però che sia la droga che i problemi gli erano stati offerti, tragicamente complementari, da un certo tipo di sistema: »Manfred - riferirà la sorella - era fuori dal

nostro giro. Aveva rotto da un pezzo con noi. Non voleva farsi stritolare. Parlava di riscatto e di evasione. Rifiutava la fabbrica ed era ossessionato dall'idea della scuola... Ci sono ancora ritratti di gente che non conosco in cima al suo letto .

 
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