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Mellini Mauro - 15 gennaio 1972
Divorzio e controriforma
di Mauro Mellini

SOMMARIO: Con la battaglia divorzista, i radicali hanno offerto al paese e alle altre forze politiche una "prospettiva" di allargamento della lotta "ai grandi temi dei diritti civili", al "taglio" del concordato, ecc. Ma l'offerta dei radicali era una "ingenuità". Le forze "laiche" sono state attanagliate dalla "paura di vincere" e non hanno mancato di additare i radicali, per la loro insistenza, come dei "pericolosi estremisti". A questo punto, il Vaticano ha potuto far "scattare" "l'operazione referendum". La "questione divorzio" poteva servire come merce di scambio su molti temi ("rinnovo del Concordato", ecc.). Così, mentre i radicali si opponevano al referendum per "non rimettere in discussione la vittoria ottenuta", gli altri laici hanno mostrato di essere disponibili a "rimettere in discussione" il divorzio pur di non affrontare il referendum.

Di qui, le proposte di "compromesso" inventate per "evitare lo scontro", tra cui la "mistificatoria" proposta di legge Carettoni. Si è così arrivati allo scioglimento delle Camere, e a una campagna elettorale inquinata dalla questione divorzista, con l'alleanza tra DC e destre ecc. "L'unico modo per tener fuori l'ipoteca clericale...da queste elezioni, sarebbe stato...di rimettere definitivamente la questione al referendum della primavera del '73", senza ulteriori cedimenti.

Intanto, mentre appare fallita la politica berlingueriana dell'"incontro" con i cattolici, il Vaticano porta avanti la sua "controriforma montiniana". I laici per parte loro rispondono bocciando le candidature elettorali laiche, come quella di Gianmario Albani.

(»SOCIALISMO '70 , gennaio 1972)

Nel suo congresso a Napoli, il 1, 2, 3, novembre 1970, il partito radicale poteva offrire a tutto l'arco dei partiti laici una prospettiva per dopo il divorzio, che sarebbe stato approvato definitivamente dalla Camera alla fine del mese. Una prospettiva di sviluppo della lotta che aveva portato alla vittoria, l'allargamento di essa ai grandi temi dei diritti civili, al taglio del nodo del concordato, che era stato il più duro a superare nella lunga battaglia. Una prospettiva in cui la difesa del divorzio rimaneva un dato centrale, perché la prosecuzione della lotta contro l'apparato clericale veniva individuata come il mezzo migliore per impedire ritorni confroffensivi, già previsti e sbandierati nel ricorso alla Corte Costituzionale e nel referendum abrogativo.

Non era frutto, questa offerta, di ingenuità e di miopia ottimista.

I radicali erano stati i primi, nella crisi dopo il voto a sorpresa del Senato il 1· ottobre 1970, a vedere nel compromesso, che doveva portare il nome di Leone, non già un necessario sacrificio per superare l'ultimo ostacolo e consolidare definitivamente la vittoria, ma un pericoloso cedimento della tensione che aveva sorretto il fronte laico, una prima manifestazione della paura di vincere, dello sgomento di vedersi per la prima volta in veste di vincitori contro l'apparato clericale. E nello stesso tempo uno stimolo per la DC, per il Vaticano e per i clericali a tenere ancora aperta la partita con espedienti e colpi bassi, alla ricerca di ulteriori vantaggi raggiungibili con ulteriori compromessi.

Dopo il 1· dicembre 1970, la paura di aver vinto doveva attanagliare un po' tutte le forze laiche, che appena approvato il divorzio vollero lanciarsi nel tentativo di farne rientrare la vicenda nella logica della coesistenza pacifica con il regime clericale. C'è stato un periodo, tra dicembre ed aprile, in cui i radicali, la lega per il divorzio, Pannella, e dopo un po' anche Fortuna, non venivano più nominati dalla stampa comunista, e da buona parte di quella di regime, se non per essere additati quali estremisti, provocatori al pari degli ultras clericali di Gabrio Lombardi.

E' a questo punto che è scattata l'operazione referendum. La decisione del Vaticano di dare il via alla raccolta delle firme con la mobilitazione delle parrocchie, degli ospizi etc., è venuta ai primi di gennaio del 1971, quando è stato chiaro che oramai i partiti laici avrebbero evitato lo scontro, cercando di addossarne le responsabilità a gruppi estremisti cattolici e regalando così un alibi prezioso alla gerarchia.

E, soprattutto, quando si è constatato che c'era un ampio margine per una trattativa, aperta con l'offerta di rinnovo del concordato, è apparso chiaro negli ambienti vaticani che sarebbe stato un pessimo affare chiudere la questione del divorzio, lasciando cadere la carta del referendum, escludendola così dal pacchetto delle trattative.

La condiscendenza dei laici ha contribuito a rimettere in giuoco il divorzio con la richiesta del referendum più assai dell'intransigenza di sparuti gruppetti di ultras clericali, commoventi nella loro insipienza.

Convinti che il referendum dovesse ritenersi incostituzionale, sia perché diretto a rimettere ad un giudizio di maggioranza un diritto inalienabile della persona umana, sia perché a promuoverlo non era un gruppo di elettori, ma un ente, la Chiesa cattolica, con una precisa posizione e precisi privilegi che malgrado tutto le sono ancora riconosciuti e garantiti dal concordato, i radicali hanno sostenuto nella LID e fuori di essa la necessità di una azione decisa per impedire il referendum. Un'azione che sarebbe stata in realtà possibile, solo che i partiti laici avessero mostrato di essere disposti a reagire all'iniziativa clericale interrompendo le trattative per la revisione confermativa del concordato ed iniziando immediatamente una dura campagna per vincere la prova. Ma se i radicali e la LID non volevano il referendum per non rimettere in discussione la vittoria ottenuta, le altre forze laiche hanno mostrato ben presto di essere invece disposte a rimettere in discussione il divorzio ed il significato del

la sua conquista per non affrontare il referendum.

E' storia recente quella delle proposte di un compromesso per »evitare lo scontro . E' una storia poco edificante di mistificazioni piccole e grosse con le quali si è ritenuto di poter coprire la vergognosa realtà di una resa senza lotta e senza onore, per allontanare pericoli che invece sono stati così aggravati, se non addirittura resi reali, mentre erano puramente immaginari.

Si è cominciato col dare ad intendere che sarebbe bastato »modificare la legge Fortuna per evitare che scattasse il referendum; poi si è cominciato ad ammettere che occorreva sostituirla, »migliorandola . Si è così dato fiato alle trombe per conclamare, accettando concetti e luoghi comuni fino ad allora cari agli antidivorzisti più beceri, pretesi »difetti della legge sul divorzio. E si è cominciato ad affermare che, d'accordo con i cosiddetti cattolici (cioè con gli antidivorzisti clericali), si sarebbe potuto ovviare ai supposti inconvenienti, »allargando, così, il consenso popolare all'istituto del divorzio , come se i cattolici non clericali avessero veramente bisogno di »modifiche per poter accettare e sostenere, come hanno fatto e fanno, la legge Fortuna, e come se ai clericali importasse qualcosa di certi miglioramenti, che non siano semplicemente dei bastoni tra le ruote del meccanismo del divorzio, ad esclusivo beneficio della concorrenza dei tribunali ecclesiastici, resa più efficace ed agguerri

ta con il motu proprio di Paolo VI.

I radicali hanno denunziato subito il carattere mistificatorio della cosiddetta proposta Carrettoni, definendola »proposta attaccapanni per gli emendamenti distruttivi che democristiani e fascisti non avrebbero mancato di appendervi e che i laici avrebbero dovuto accettare per »evitare lo scontro se ne fosse iniziata la discussione in Senato. Certo è che la crisi, che sulla questione del referendum e del divorzio si è voluta far esplodere, sarebbe stata ancora più drammatica e rovinosa per i laici e per le istituzioni, se fosse iniziata la discussione della legge truffa della Carrettoni. Un'iniziativa concepita per evitare che con il referendum fosse provocata un'alleanza tra DC e fascisti, avrebbe visto realizzata quella alleanza alla prima votazione su di un qualsiasi emendamento. E, procedendo in Parlamento alla demolizione del divorzio e alla vera utilizzazione del referendum per gli scopi per i quali è stato chiesto, clericali e fascisti avrebbero potuto gridare alla truffa contro il paese reale, defr

audato del diritto di esprimere il voto.

Con lo scioglimento delle Camere le cose non sono certo andate troppo meglio. Non uno dei »pericoli del referendum è stato evitato, e neppure allontanato: i vescovi imperversano oggi in vista delle elezioni, come non avrebbero potuto fare con il referendum, quando avrebbero dovuto cercare di restare dietro le quinte per cercare di gabellare la tesi della iniziativa »laica contro il divorzio. La destra, che sulla questione del divorzio presa in sé è tutt'altro che unita e disposta a marciare, è oggi invece in linea compatta con l'apparato clericale. All'interno della DC, la prospettiva di una rimessa in discussione del divorzio nella prossima legislatura, cui non rinunziano con ostinazione degna di miglior causa, sia i comunisti che altri laici, tra i quali, ad esempio, De Martino, opera come un ottimo pretesto per una selezione a favore dei clericali più smaccati, appoggiati dalla gerarchia ecclesiastica.

L'unico modo per tener fuori l'ipoteca clericale con il pretesto del divorzio da queste elezioni, sarebbe stato quello di prendere atto del fallimento del tentativo di compromesso e di rimettere definitivamente la questione al referendum della primavera del '73. Insistendo nella rovinosa politica di compromesso sul divorzio, malgrado i calci in faccia ricevuti dai clericali, i laici ottengono tutto ciò che volevano evitare, con in più il referendum per il prossimo anno, probabilmente dopo altri avvilenti e deleteri tentativi nella prossima legislatura.

Intanto la politica neoconcordataria, portata avanti nel PCI dal gruppo di potere di Enrico Berlinguer e subìta più o meno passivamente dalle altre forze laiche, è definitivamente fallita. I laici potranno continuare a cedere, ad offrire compromessi, a rinunziare ad ogni velleità di reagire al potere clericale, ma questo, è oramai chiaro, non è disposto a cedere nulla di sostanziale. L'incontro storico con i »cattolici (che tutti sapevano dover essere, in realtà, con le gerarchie dell'apparato clericale) non ci sarà. Il Vaticano preferisce tornare alla sua politica tradizionale del bastone e della carota, usando cinicamente la carta del ricatto fascista.

Libero dalla preoccupazione di dover subire pericolosi attacchi ai suoi privilegi concordatari e rassicurato dal rinnovato rifiuto del »vieto anticlericalismo da parte dei suoi timidi antagonisti laici italiani, il Vaticano porta avanti, intanto, la sua controriforma montiniana, per spazzare via ogni resistenza interna alla svolta a destra nella chiesa.

I laici rispondono bocciando la candidatura di Albani cattolico anticoncordatario, e cercano di far fuori uno dopo l'altro tutti i parlamentari che si sono mostrati troppo »indisciplinati rifiutando l'abrogazione della legge Fortuna e la conferma del Concordato.

Come sette anni fa, all'inizio della battaglia per il divorzio, a difendere certi valori laici non c'è oggi che un'azione di minoranza. Una minoranza la cui intransigenza non è fisima moralista, ma realismo senza evasioni.

 
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