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Spadaccia Gianfranco - 31 gennaio 1972
Partito Radicale e "partito laico"
di Gianfranco Spadaccia

SOMMARIO: Il Partito Radicale si pone come obiettivi di crescita organizzata per il 1972 mille militanti ed un bilancio annuo minimo di venticinque milioni. Dal fatto se essi saranno o meno raggiunti dipenderà la continuazione o meno dell'esperienza politica ed organizzativa radicale. Il partito radicale deve infatti farsi carico interamente del "partito laico" che esiste nel Paese, cioé della domanda di adeguate iniziative di lotta che sorge dal Paese ed a cui né i partiti della sinistra né i sindacati danno risposta.

(LA PROVA RADICALE N.2, BENIAMINO CARUCCI EDITORE, Inverno 1972)

Mille militanti e un bilancio annuo minimo di venticinque milioni: queste cifre, certamente ridicole e insignificanti se messe a raffronto con le macro-organizzazioni burocratiche, costituiscono gli obiettivi di crescita organizzata che il Partito Radicale si è fissato per il 1972. Dal fatto che essi saranno sostanzialmente conseguiti o meno il Partito farà dipendere la risposta alla domanda posta da Marco Pannella nella sua relazione introduttiva al Congresso: se esistono le condizioni per continuare l'esperienza politica e organizzativa del Partito Radicale.

L'alternativa posta da Pannella al Congresso, e la scelta della chiusura del Partito per la quale dichiarava di propendere, non erano un artificio congressuale, ma nascevano da una analisi fondata della situazione politica in cui il Partito Radicale si trova ad operare. Lo stesso tema del Congresso (»Senza il partito laico non si costruisce né l'alternativa di sinistra né la società socialista e libertaria ) ha fornito al dibattito un necessario elemento di chiarezza. Si è detto nel congresso che l'espressione »partito laico doveva intendersi nella stessa accezione che in genere si attribuisce nel linguaggio politico ad analoghe espressioni quali »partito americano o »partito russo , »partito agrario o »partito vaticano ; schieramenti politici, cioè, che passano attraverso le frontiere organizzative dei singoli partiti per unificare - sulla base di comuni scelte, comuni interessi, comuni valori - i comportamenti di alcuni settori della classe dirigente. Sulla ipotesi della esistenza o della possibilità di

questo più vasto »partito laico si è mosso per anni, il Partito Radicale in un rapporto dialettico e costruttivo, anche se spesso necessariamente polemico, con le altre forze politiche e con i vertici dello schieramento parlamentare. E' stata una ipotesi valida, se ha reso possibile la vittoriosa battaglia del divorzio fino al punto di unificare tutte le forze laiche del paese nel confronto e nello scontro con la Democrazia Cristiana e con il potere temporale della Chiesa e se, dietro questa battaglia, ha consentito l'ampliamento della lotta per i diritti civili con conseguenze importanti anche a livello legislativo e istituzionale (basti pensare all'operato della Corte Costituzionale negli ultimi due anni). Senza queste condizioni politiche e parlamentari, non sarebbe stato possibile neppure imporre al paese come temi di dibattito nazionale i problemi del clericalismo e del Concordato, della gestione della assistenza e della sanità, del militarismo e dell'obiezione di coscienza, della liberazione della do

nna e dell'aborto, e gli altri problemi che nascono dalle nuove forme di discriminazione e di sfruttamento di classe che proletariato e sottoproletariato incontrano fuori dal luogo di lavoro, nella casa e nella famiglia, negli ospedali, nella scuola, nel tempo libero, nella giustizia.

Non v'è dubbio che, rispetto a quella situazione, vi sono stati nel 1971 profondi cambiamenti. Proprio il successo della battaglia del divorzio ha determinato una nuova chiusura, una vera e propria reazione di rigetto da parte della classe dirigente della sinistra italiana nei confronti della tematica e delle lotte laiche, libertarie e per l'affermazione dei diritti civili. Abbiamo tutti presente ciò che è accaduto per il divorzio, come si è comportata la sinistra di fronte alla richiesta di referendum popolare per l'abrogazione degli articoli fascisti del Codice Rocco, la ricerca affannosa di convergenze unitarie con la DC sulla revisione del Concordato e sul diritto di famiglia; abbiamo documentato su questa rivista quale atteggiamento rinunciatario abbia assunto la sinistra nei confronti dell'obiezione di coscienza, una lotta per la quale il nostro compagno Roberto Cicciomessere sta per andare in galera insieme ad altri antimilitaristi; troverete in questo numero una documentazione sull'aborto e alcuni st

ralci del documento introduttivo di un convegno dell'UDI dedicato a questo problema, un convegno che è stato la proiezione delle decisioni prese alcuni mesi fa dalla »commissione femminile del PCI, per la quale l'aborto era un ostacolo all'intesa fra masse femminili cattoliche e comuniste (come se non fossero comuniste e cattoliche in massima parte quei milioni di donne che ogni anno ricorrono all'aborto illegale, lasciando sui tavoli operatori di medici speculatori o nelle case delle »mammane diecine di migliaia di vittime); sappiamo ormai quali sono state le conseguenze che questa politica, non »conciliare ma neoconcordataria, sostenuta con particolare settarismo e intransigenza dal gruppo dirigente del PCI e dalla nuova fallimentare "leadership" di Berlinguer ma sostanzialmente condivisa da tutti i vertici dei partiti laici, abbia prodotto sul piano politico generale. Non c'è dubbio che, per effetto di questa chiusura generale, di questa reazione di rigetto della classe politica, i confini del »partito

laico nel parlamento e nel paese si restringono ormai fino quasi a coincidere con le strutture militanti del Partito Radicale e con le organizzazioni ad esso federate e ad esso politicamente collegate. Muta necessariamente di conseguenza la funzione politica del Partito Radicale, per il quale non sono più possibili azioni di sorpresa o di guerriglia politica che troverebbero oggi il muro della chiusura e della ostilità delle organizzazioni politiche e sindacali (un muro che si sta stringendo anche intorno alle minoranze radicali che esistono nei partiti di sinistra e nei loro gruppi parlamentari). Il Partito Radicale deve suo malgrado farsi carico interamente, con i propri militanti e la propria organizzazione, del »partito laico che esiste nel paese, cioè della domanda di adeguate iniziative di lotta che sorge dal paese e a cui né i partiti della sinistra, né i sindacati, accettando questo canceroso equilibrio politico del regime, danno risposta. E' stato quindi un atto di responsabilità collettiva quell

o a cui ha richiamato Marco Pannella: chiedersi cioè se questa ambizione - così sproporzionata alla consistenza e alle concrete possibilità del Partito - non fosse velleitaria; se non esistesse il pericolo, nella impossibilità di far fronte ai numerosi impegni di lotta che crescono intorno a noi, di trasformare oggettivamente il PR in un »dosatore del regime, in una sorta di imbuto che seleziona e frena le lotte, anziché rafforzarle e accrescerle; se non fosse più onesto, dopo i successi ottenuti, prendere atto di questa sproporzione delle forze e di questa impotenza.

Il Congresso ha approfondito questi problemi in un dibattito che è stato fra i più ricchi che il Partito abbia conosciuto in questi anni, ed alla fine ha rifiutato di dare una risposta a tavolino, sia pure nel vivo di una discussione congressuale. Questa scelta non sarebbe stata possibile, o sarebbe stata solo il frutto di un superficiale atto di orgoglio, se non avessero concorso a formularla numerosi elementi di crescita e di potenziamento del Partito: in primo luogo il costituirsi fuori di Roma per la prima volta di centri autonomi di iniziativa radicale in diverse città; la risposta, non ancora massiccia ma soltanto per ora sintomatica, data da alcuni compagni con l'iscrizione o il concorso all'autofinanziamento; una certa consistenza del fenomeno della »doppia tessera che altri compagni appartenenti ad altri partiti hanno compreso nel suo giusto valore di strumento di dissoluzione del »partito-chiesa e come indicazione dal basso per il superamento degli steccati organizzativi e burocratici che continu

ano a dividere in Italia il partito del socialismo e il movimento democratico; la risposta avuta dal primo numero de "La Prova Radicale" che rappresenta il Primo tentativo di dare, anche sul piano editoriale, espressione concreta alla nostra politica alternativa e alle nostre lotte. Altri elementi di valutazione hanno spinto verso questa scelta: innanzitutto la necessità di »verificare se la chiusura denunciata dal Congresso da parte delle forze del regime sia davvero così definitiva ed irreversibile (ed abbiamo visto invece più di una volta scricchiolare in questi mesi equilibri politici che sembravano fortissimi); inoltre la necessità di misurare ciò che le lotte libertarie, laiche, per i diritti civili hanno creato e radicato nel paese e nella stessa sinistra italiana. Infine ciò che di questa esperienza non poteva lasciarsi cadere a cuor leggero era il tentativo parzialmente riuscito di dar vita ad una organizzazione laica e libertaria, un problema con cui sono alle prese senza averlo risolto - dopo le

ventate »assembleari del Movimento studentesco e dopo i brevi ritorni paleomarxisti, paleo-leninisti e neostaliniani - le forze più vive degli altri movimenti extraparlamentari, in primo luogo "Il Manifesto".

Mille militanti iscritti e venticinque milioni di bilancio annuo sono la condizione minima che il Partito ha ritenuto necessaria per poter far fronte alla sua azione politica. Cifre irrisorie, come si è detto, rispetto alle centinaia di migliaia di iscritti e ai miliardi di bilancio annuo delle organizzazioni di massa. Ma è un fatto che le »basi dei partiti della sinistra sono ormai il piedistallo di un potere di vertice, il supporto passivo di una politica e di una selezione dei quadri che sfuggono completamente a qualsiasi controllo democratico e che producono "leadership" e dirigenze funzionariali estranee ormai a qualsiasi esperienza di lotta. La paura della solitudine spinge la gente verso le grandi organizzazioni; ci si sente più forti quando si è insieme e in mezzo alle grandi masse, alle loro speranze, alle loro esigenze di lotta. Noi non abbiamo bisogno di partecipare ai grandi raduni antifascisti, o di contare il numero di voti che De Martino ha raccolto durante venti scrutini nel corso delle elez

ioni presidenziali, per sapere che la sinistra è forte nel Parlamento, e lo è ancora di più nel paese. Sappiamo che questa forza non viene utilizzata o viene indirizzata verso obiettivi sbagliati, che le assemblee di sezione dei grandi partiti vanno deserte, che le energie militanti crescono fuori delle organizzazioni ufficiali. Ciò di cui la sinistra ha bisogno è di militanti che abbiano il coraggio della solitudine, di organizzazioni anche modeste, di mezzi che abbiano la capacità di far sopravvivere, nell'interesse di tutti, ciò che altri tenta di soffocare e di ammazzare. Ciò che è in gioco nel prossimo anno è dunque la capacità del Partito Radicale di diventare, per tutti coloro che hanno questa volontà, un adeguato centro di resistenza, fornito di autonomi strumenti e di autonoma forza politica.

I cento e più congressisti che hanno deciso per questa »verifica non hanno certo inteso dilazionare una scelta, ma al contrario hanno dimostrato la volontà di andare avanti ben oltre la scadenza formale di questa verifica. Tuttavia la risposta definitiva non dipende solo dai militanti già iscritti, ma dalla risposta che quanti condividono le nostre analisi della situazione politica, quanti sono impegnati nelle stesse nostre lotte, quanti anche iscritti ad altri partiti avvertono la stretta che le loro classi dirigenti fanno sempre di più pesare sulle loro aspirazioni, sapranno dare con noi ad un problema che non è soltanto nostro.

La direzione del Partito Radicale, nella sua prima riunione all'inizio di gennaio, ha tratto le logiche conseguenze dalla mozione congressuale: confrontarsi come forza politica con le classi dirigenti della sinistra, farsi carico del »partito laico che esiste nel paese, e proporsi di dargli espressione, comporta anche la necessità di una autonoma presenza elettorale. Quando la direzione ha deliberato in questo senso, non si sapeva ancora che il problema si sarebbe presentato con tanta urgenza e a così breve termine. Un ulteriore problema, certo non marginale, si viene ora ad aggiungere ai nostri numerosi impegni di lavoro e di lotta, e rappresenta un'altra conferma della serietà e validità dell'alternativa che era stata proposta al Congresso radicale. Il Segretario nazionale e la Direzione, tutti radicali, dovranno valutare responsabilmente nei prossimi giorni e nelle prossime settimane quali possibilità esistono di affrontare con forza adeguata questa scadenza che l'attualità politica ci impone.

Per una forza radicale la presenza elettorale non è tanto necessaria per portare qualche deputato in Parlamento, quanto come momento e occasione per comunicare con le grandi masse. Proprio qui tuttavia le forze del regime ci oppongono un ostacolo che sembra insormontabile. Il regolamento elettorale della TV, stabilito dalla commissione parlamentare di vigilanza, è in tutto simile a quello di »Tribuna politica , limitato cioè alle forze politiche già rappresentate in Parlamento e precluso alle forze extraparlamentari, a cui sono riservate trasmissioni minori di carattere regionale e nelle ore di minore ascolto. E' un regolamento con il quale il Parlamento repubblicano è scaduto al livello della Camera dei fasci e delle corporazioni e i partiti che dovrebbero animare il confronto democratico del paese si sono trasformati in vero e proprio cartello dei partiti di regime. Il Partito Radicale, come il Manifesto, come il Movimento Politico dei Lavoratori, quanto di nuovo esiste nella lotta politica italiana, viene

tagliato fuori arbitrariamente dai mezzi di comunicazione di massa, riservati invece a vecchi rottami come Covelli. Il diritto di presentazione alle elezioni, che è il fondamento di ogni democrazia, diventa un semplice alibi.

Dalla possibilità concreta di condurre una lotta unitaria per rimuovere questo ostacolo, oltre che dalle possibilità organizzative del Partito, dipendono le decisioni definitive che dovremo prendere. Ma intanto anche questa è occasione di »verifica . Non è indifferente per noi sapere quanti amici, anche di altri partiti, sono disposti a firmare la presentazione di liste radicali, quanti altri sono disposti, se se ne presentasse l'opportunità, a far parte delle liste stesse, vincendo la naturale ritrosia per un atto che la nozione della »politica come cosa riservata agli »addetti ai lavori determina nel comune lavoratore e nel comune cittadino.

 
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