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Spadaccia Gianfranco - 31 gennaio 1972
Dove porta la paura del referendum
di Gianfranco Spadaccia

SOMMARIO: Spadaccia critica duramente la paura dei partiti laici di affrontare la prova del referendum sul divorzio. La LID, il Partito Radicale, il Movimento Laico, sono stati lasciati soli sulla strada della lotta aperta al clericalismo. I vertici dei partiti laici pur di evitare il "pericolo" del referendum, hanno proposto prima di modificare, poi di abrogare la legge Fortuna nella ricerca di un impossibile compromesso con la DC. Quest'ultima di fronte al nuovo progetto di legge Bozzi ha dichiarato che non avrebbe mai accettato una legge divorzista comunque formulata. Questa paura del confronto e della lotta è generata dal fatto che le classi dirigenti dei partiti laici, divise su tutto, convergono solo su una cosa: la prospettiva di continuare a collaborare con la DC nel governo del Paese.

(LA PROVA RADICALE N.2, BENIAMINO CARUCCI EDITORE, Inverno 1972)

I partiti laici, con la loro volontà di evitare a tutti i costi la prova del referendum, si sono cacciati in una strada che ha solo due sbocchi: o il più disonorevole dei cedimenti di fronte alle pretese clericali, o lo scioglimento delle Camere e il ricorso ad elezioni anticipate. Mentre scriviamo non siamo in grado di prevedere quale sarà lo sbocco finale della crisi - se il cedimento dei laici o lo scioglimento delle Camere, anche se il secondo sembra ormai certo - ma sappiamo che l'uno o l'altro rappresenteranno ugualmente un epilogo drammatico di una indegna commedia politico-parlamentare durata sei mesi.

Siamo stati lasciati soli - noi della LID, del Partito Radicale, del Movimento Laico - a percorrere la strada della lotta aperta ed intransigente, prima contro le prevaricazioni clericali compiute nelle parrocchie, negli ospedali, nelle scuole per la raccolta delle firme, poi per sostenere e far valere la incostituzionalità della richiesta di referendum. E' una strada che abbiamo percorso fino all'ultimo appuntamento - quello davanti alla Corte costituzionale - con la memoria presentata, a nome della Presidenza della LID, dall'amico avv. Mauro Mellini. I fatti hanno dimostrato che avevamo ragione, che se quella battaglia fosse stata combattuta da tutte le forze laiche del paese, sarebbe alla fine risultata vincente. Ce lo ha confermato lo stesso dibattito avvenuto all'interno della Corte, e il testo della sentenza che, pur dichiarando ammissibile la richiesta di referendum, non chiude definitivamente la questione di costituzionalità proposta dalla LID, ma al contrario ammette esplicitamente che essa potrà in

seguito essere risollevata, anche a referendum avvenuto, ed esaminata nel merito dalla suprema magistratura costituzionale.

I vertici dei partiti laici hanno invece preferito, per evitare il »pericolo del referendum, proporre essi stessi l'abrogazione e la sostituzione della legge Fortuna con una nuova normativa comunque peggiorativa, nella ricerca di un impossibile compromesso con la DC e con la Chiesa e mostrando di non accorgersi che, così facendo, offrivano proprio alla DC e alla Chiesa impensate armi di pressione di ricatto. Portato avanti in questi termini, il problema del divorzio e del referendum ha finito per condizionare ed avvelenare i rapporti fra i partiti e lo svolgimento della crisi di governo come in precedenza aveva avvelenato e condizionato l'intera vita politica italiana nell'imminenza delle elezioni presidenziali.

Dalla prima offerta di modificare la legge Fortuna, fatta ai clericali dal senatore Bufalini nel settembre del '71 al convegno comunista delle Frattocchie, abbiamo assistito con indignazione ai diversi atti di questa commedia politico-parlamentare di vertice, senza rassegnarci al ruolo impotente di spettatori, ma informando l'opinione pubblica di quanto avveniva nel chiuso di alcune stanze di Montecitorio, denunciando il comportamento dei rappresentanti dei partiti laici, e incontrando in questa nostra azione il sostegno delle basi popolari e degli stessi gruppi parlamentari di questi partiti.

E' una intera classe dirigente che esce, purtroppo, ridicolizzata e sconfitta da questi avvenimenti. Nessuno dei partiti dello schieramento laico, che pochi mesi prima aveva portato alla vittoria parlamentare la legge Fortuna, si è sottratto alla trappola tesa dai clericali. Abbiamo visto PSDI e PLI prima denunciare i patteggiamenti »conciliari PCI-DC e poi diventare, con gli on. Orlandi e Bozzi i principali mallevadori del progettato pateracchio. Abbiamo visto l'on. Reale e il PRI prima affermare che ogni iniziativa politica per evitare il referendum doveva partire non dai partiti divorzisti ma dalla DC e poi accettare di partecipare, insieme agli altri partiti laici, alla formulazione del nuovo progetto di legge destinato ad abrogare e sostituire la legge Fortuna. Abbiamo visto la direzione del PSI smentire e contraddire, nel giro di ventiquattro ore, le decisioni del proprio gruppo parlamentare della Camera che si era espresso a grande maggioranza contro la formulazione e la presentazione di un nuovo tes

to legislativo.

Nessuna deliberazione ufficiale della DC, nessuna dichiarazione dei "leaders" del partito clericale autorizzava a sperare in un compromesso decente. E allora su cosa si fondava questa iniziativa autolesionista e suicida dei partiti parlamentari dello schieramento laico? Forse l'atto più ridicolo di questa commedia è stato proprio quello degli incontri segreti con un emissario dell'on. Forlani, il deputato Cossiga, che non aveva alcuna veste ufficiale e alcun potere per trattare. Si è arrivati al punto che mentre alcuni negoziatori laici accettavano di trattare, in incontri che non erano ormai per nulla segreti, il presidente del gruppo dei deputati DC, Andreotti, smentiva e ridicolizzava la »missione Cossiga. Tutto questo non è stato sufficiente a far desistere i negoziatori laici dai loro propositi. Si è così arrivati alla formulazione di un nuovo progetto di legge, la così detta »bozza Bozzi, e alla sua presentazione alla DC perché su di essa esprimesse il proprio parere. La DC rispondeva esprimendo un »

positivo apprezzamento per gli sforzi messi in atto dai partiti laici per modificare la legge Fortuna, ma confermava che non avrebbe mai potuto concorrere a votare una legge divorzista comunque formulata. L'unica garanzia che la DC era disposta a dare era quella di non ostacolare l'iter parlamentare del nuovo progetto di legge, ma anche soltanto per questo chiedeva ulteriori e radicali modifiche alla legge sul divorzio. Perfino in questa deliberazione della DC, poi confermata nel corso della crisi di governo, i dirigenti del PCI hanno però ritenuto di trovare elementi positivi per andare avanti nell'iniziativa. Così la "bozza Bozzi" diventava il progetto di legge presentato al Senato dalla sen. Carettoni, una »dipendente di sinistra che si è guadagnata in questa maniera la rielezione per un'altra legislatura nelle liste comuniste.

Siamo stati fatti oggetto di una vera e propria campagna di linciaggio da parte della stampa comunista per non esserci mai stancati di ripetere, nel corso di quelle assurde negoziazioni, che non si stava migliorando ma peggiorando la legge Fortuna. Pretendere di migliorare la legge Fortuna d'accordo con la Chiesa e con il partito clericale è come pretendere di migliorare la lotta al fascismo d'accordo con Almirante! Dopo mesi di vera e propria disinformazione e di trattative condotte al di fuori di ogni possibilità di controllo dell'opinione pubblica, i giornali comunisti, in seguito alla presentazione in Senato della legge Carettoni si sono impegnati in grandi campagne propagandistiche in difesa del nuovo testo legislativo. Campagne violente condotte, nei confronti dei critici del progetto, in base agli insulti. Ma una cosa i difensori ad oltranza del progetto Carettoni non hanno potuto negare: che la nuova legge, se fosse giunta alla approvazione, avrebbe reso enormemente più lunghi e costosi i procediment

i di divorzio danneggiando proprio i ceti più poveri della popolazione. E' stato costretto a riconoscerlo anche il comunista on. Spagnoli, che era stato in passato uno dei protagonisti della lotta parlamentare per l'approvazione della legge Fortuna, che porta anche il suo nome, ed è divenuto in seguito uno dei più accaniti sostenitori del "divorzio-bis". Il deputato comunista si è difeso affermando che non si può pretendere di risolvere con la legge sul divorzio un problema di carattere generale, come è quello di garantire a tutti uguaglianza di accesso alla giustizia, per il quale è necessaria invece una riforma legislativa. Certo, il problema non riguarda soltanto il divorzio. Ma la legge Fortuna aveva fatto sì che gli inconvenienti della nostra »giustizia di classe fossero almeno in parte limitati nei procedimenti di divorzio. E i gruppi parlamentari comunisti non hanno speso per la riforma sollecitata da Spagnoli neppure un decimo dell'impegno che hanno messo nel peggiorare la legge Fortuna per andare i

ncontro alle pretese dei clericali.

Siamo stati inoltre accusati di menzogna e di denigrazione per aver dato credito ad alcune notizie di stampa, che a noi risultavano fondate e che attribuivano al PCI l'intenzione di introdurre nella legislazione divorzista una discriminazione fra matrimoni civili e matrimoni religiosi. Si parlava infatti di riconoscere un diritto di opposizione al coniuge cattolico non consenziente e di rinviare, in questi casi, i procedimenti ai tribunali ecclesiastici. Non si è arrivati a tanto. Non si è arrivati al punto di trasformare i tribunali dello Stato in procacciatori di affari della Sacra Rota e dei tribunali ecclesiastici. Ma da qui a dire che le nostre erano solo menzogne e denigrazioni ce ne corre. Il diritto di opposizione per il coniuge non consenziente si ritrova infatti nella legge Carettoni e può essere fatto valere »per particolari motivi di ordine familiare e morale con il risultato di determinare da parte del giudice un rinvio della causa che può durare anche un anno e mezzo. Provate a sommare il temp

o necessario per ottenere la sentenza di separazione, i cinque anni che devono decorrere per poter iniziare il procedimento di divorzio, il tempo ordinario del procedimento, il potere discrezionale del giudice di rinviare fino ad un anno la causa per esperire nuovamente il tentativo di conciliazione, l'ulteriore dilazione prevista in caso di opposizione di coscienza, ed avrete un divorzio quasi decennale: un divorzio punitivo dunque, ma anche una legge che si muove nella direzione di favorire in ogni modo i procedimenti ecclesiastici di annullamento. Questa intenzione non risulta soltanto indirettamente dal confronto fra la defatigante lunghezza del divorzio civile e i procedimenti-lampo consentiti dal "motu proprio" di Paolo VI. Nella relazione al suo progetto di legge-truffa, la sen. Cerettoni si pone il problema »se tra i motivi morali, quelli di ordine religioso debbano essere esplicitamente considerati : un'affermazione che è un monumento di ipocrisia. La norma che prevede il diritto di opposizione »per

motivi morali deve essere infatti collegata all'altra norma del progetto in base alla quale, in caso di sopravvenuta sentenza di annullamento ecclesiastico, la causa di divorzio prosegue soltanto per i provvedimenti relativi ai rapporti patrimoniali fra i coniugi e all'affidamento della prole. In un recente dibattito promosso dal Movimento Salvemini, un altro sostenitore della legge-truffa, il prof. Barile (un giurista che ha evidentemente dimenticato l'insegnamento di Piero Calamandrei di cui fu allievo), ha riconosciuto che questo collegamento fra le due norme esiste e tende a consentire ai due coniugi, nelle more della causa di divorzio, di avviare e concludere il procedimento di annullamento. Questa affermazione di Barile fa giustizia delle spiegazioni ipocrite fornite, nella sua relazione, dalla sen. Carettoni che è arrivata a presentare questa norma come una conquista laica, dettata dall'esigenza di coprire il vuoto legislativo che si apre nell'ordinamento giuridico italiano di fronte a una sentenza

di annullamento. Ma la norma non può essere isolata dal contesto della legge, dal prolungamento artificioso delle cause di divorzio, dal confronto che essa impone con il contemporaneo snellimento delle cause di annullamento. Altro che menzogne e denigrazioni! Già oggi questo testo legislativo realizza "di fatto" una discriminazione fra matrimoni religiosi e matrimoni civili e la prevalenza dei procedimenti ecclesiastici rispetto a quelli instaurati davanti ai tribunali dello Stato.

La nostra opposizione ad ogni tentativo di abrogazione e sostituzione derivava però soprattutto da un'altra considerazione che si è rivelata esatta. Ogni volta che ci si pone sul terreno del cedimento di fronte alle pretese dell'avversario, non si possono porre limiti alle concessioni. La legge Carettoni, con i suoi peggioramenti, non poteva essere di conseguenza considerata un punto d'arrivo, ma un punto di partenza. Era, come disse Fortuna al congresso della LID la »culla della legge che sarebbe nata, nel corso dell'iter parlamentare, dalle intese fra partiti laici e partito clericale, intese che avrebbero snaturato l'istituto del divorzio riducendolo a una buffonata. Che questa valutazione fosse giusta lo ha confermato la DC chiedendo »radicali modifiche al regime del divorzio; lo ha confermato l'on. Nilde Jotti affermando che il progetto Carettoni non doveva essere considerato un testo ultimativo ma modificabile; lo ha confermato la direzione del PSI chiedendo ripetutamente alla DC di far conoscere le

proprie richieste. Dunque, anche la legge Carettoni era trattabile. Si conosceva il punto di partenza, un brutto punto di partenza, già posto molto più in basso della legge vigente; non si poteva sapere dove si sarebbe arrivati, fin dove si sarebbe scesi. Ma la DC è troppo alle prese con il tentativo di recupero a destra per impegnarsi in una trattativa e in richieste precise, ed ha preferito evitare il referendum creando le condizioni di elezioni anticipate. Il comportamento della DC non meraviglia. Meraviglia invece che altre forze politiche, protagoniste negli anni passati della lotta contro il »partito della crisi , come il PSI e il PCI, abbiamo preferito in questa occasione trasformarsi esse stesse in partito della crisi piuttosto che affrontare la grande battaglia del referendum.

Nessuno dei motivi che i vertici dei partiti laici parlamentari hanno messo avanti per giustificare la »paura del referendum ha il minimo fondamento. Non lo hanno né il timore comunista di perdere voti nelle campagne e nel mezzogiorno, né il timore della classe dirigente sindacale di una »spaccatura all'interno delle masse operaie, fra comunisti e socialisti da una parte e cattolici dall'altra. Alla base di questi timori c'è una errata analisi della situazione sociale in cui operano i partiti di sinistra e i sindacati. Non c'è dubbio che le migliaia di sezioni comuniste disseminate in altrettanti paesi spesso al di sotto dei cinquemila abitanti, se da una parte fanno del PCI l'unica grande forza organizzativa che si muova su una scala paragonabile a quella delle parrocchie, dall'altra finiscono per influenzare l'ideologia e le scelte politiche del partito. E' qui probabilmente che trovano, se non la base sociale, certo il terreno e la giustificazione per affermarsi sia l'ideologia cattolico-comunista, che

sembra tornata in auge con Berlinguer, sia una concezione puritana ed oleografica della famiglia (qualcuno l'ha definita ironicamente una concezione »silvo-pastorale per dire che è assai più adeguata alle condizioni della famiglia in un paese agricolo e sottosviluppato che in un moderno paese industriale). Sono ideologie e concezioni che hanno trovato espressione sia nel famoso articolo pubblicato da Berlinguer il 6 dicembre '70, sei giorni dopo l'approvazione del divorzio, sia nella relazione del cattolico-comunista Tatò al convegno delle Frattocchie. Ma esse sono ben lontane dal comprendere e rappresentare le condizioni reali delle grandi masse del proletariato e del sottoproletariato urbano e trascurano di considerare le ripercussioni che sulla famiglia, anche nelle campagne e nella montagna, hanno avuto i fenomeni migratori degli ultimi venti anni, che insieme all'influenza dei mezzi di comunicazione di massa hanno ovunque creato un diverso atteggiamento e imposto una scala di valori profondamente diver

sa da quella tradizionale del clericalismo. Quanto alla paura dei sindacati essa investe molto di più il pericolo di una frattura con i vertici sindacali della CISL che non di una frattura all'interno delle masse operaie.

Né maggior fondamento ha la giustificazione del PSI, fatta propria anche da La Malfa, secondo la quale lo scontro sul referendum avrebbe impedito al governo quadripartito, una volta che fosse stato ricostituito, di realizzare le riforme e di procedere alla politica di risanamento economico del paese. E' un tema polemico che, in altra forma, è stato portato avanti anche dal PCI: il referendum sarebbe stata una distrazione rispetto ai motivi reali dello scontro di classe e del confronto fra i partiti. Strana logica, davvero, quella delle classi dirigenti dei partiti laici! Per attuare le riforme, che finora non si è riusciti a strappare alla DC si decide di annullare e di svendere l'unica riforma civile che, con un vasto consenso di massa nel paese, si è riusciti a conquistare. Come se i fatti non avessero dimostrato a sufficienza in questi anni quale peso determinante abbiano avuto nella mancata attuazione delle riforme in tutti i settori, dalla scuola, all'urbanistica, dalla sanità all'assistenza al tempo li

bero, le resistenze derivanti dagli interessi e dal potere clericale!

In realtà si trattava e si tratta di pretesti.

Hanno certamente agito sulla scelta dei partiti laici e soprattutto del PCI, del PSI e del PRI anche calcoli di altro genere: per il PCI la tentazione di togliere al Manifesto e al Partito Radicale un anno di tempo per sviluppare la propria organizzazione e prepararsi adeguatamente alle elezioni; per il PSI la speranza di poter concludere rapidamente l'opera di recupero elettorale a sinistra prima che l'evoluzione della situazione politica lo costringa a nuovi umilianti compromessi; per il PRI infine la speranza di approfittare dello scontento dell'elettorato moderato. Ma questi motivi non sarebbero stati determinanti se, alla base di tutto, non avesse agito la paura del referendum. Non era in gioco la paura di perdere questo confronto popolare, ma puramente e semplicemente la paura di affrontarlo, al limite la paura di vincerlo e di dover poi gestire coerentemente, nel parlamento e nel paese, la vittoria ottenuta nel referendum.

Perché, questa paura del confronto e della lotta, questa paura di vincere? Perché le classi dirigenti dei partiti laici sono state in questi anni divise su tutto, tranne che su una cosa: la prospettiva di continuare a collaborare o di tornare a collaborare con la Democrazia Cristiana nel governo del paese. Quando una intera classe dirigente - dal PCI al PLI - affida a questa unica prospettiva la propria azione politica, è naturale che finisca per considerare come un grave pericolo, come una grave jattura ogni ipotesi di confronto che possa tradursi in una sconfitta o in una umiliazione della Democrazia Cristiana. Così coloro che dovrebbero essere i naturali antagonisti del partito clericale, finiscono per trasformarsi nei principali difensori delle posizioni maggioritarie, dei rapporti di potere e degli equilibri politici che consentono alla Democrazia Cristiana e alla Chiesa di mantenere la loro egemonia sul nostro paese.

L'indagine compiuta dall'Istituto di ricerche »Demoskopea ha dato un quadro preciso degli orientamenti dell'opinione pubblica sul problema del divorzio. Il 96,5% degli interpellati ha risposto di essere a conoscenza della Legge Fortuna-Baslini e già questo dato è indicativo del valore della battaglia condotta in questi anni dalla LID, una battaglia »laica soprattutto quanto ha saputo fornire a tutti i cittadini gli elementi di valutazione e di giudizio su un grande problema di riforma civile. Il 51,9 per cento degli interpellati si è espresso a favore della legge e soltanto il 37,6% contro (10,5% le risposte degli incerti). Questa maggioranza sale al 68,0% se invece di considerare soltanto i cittadini che hanno diritto di voto, si considerano anche quelli dai sedici anni ai ventuno: la tendenza a favore del divorzio si rafforza dunque in prospettiva: ogni mese che passa, con il rinnovarsi del corpo elettorale, diminuisce la presa clericale sull'elettorato. Solo gli elettori dai 55 anni in su si esprimono i

n maggioranza contro la legge. L'inchiesta smentisce l'opinione che le donne siano contrarie al divorzio: le donne interpellate si sono espresse per il 49,4% a favore della legge, per il 41,3% contro e per il 9,3% incerte (il rapporto fra gli uomini interpellati era invece rispettivamente del 58,7%, del 28,9% e del 12,4). Queste percentuali salgono di molto quando si chiede di esprimere il parere sulle singole ipotesi di scioglimento del matrimonio. Una domanda dell'inchiesta rivolta specificamente agli incerti, dimostra inoltre che una parte consistente si orienterebbe, nel referendum, a favore del mantenimento della legge (sommando le risposte degli incerti che voterebbero »probabilmente a favore della legge alle altre la maggioranza divorzista sale al 58,4%). Ma altri due dati dell'inchiesta sono rivelatori della situazione reale del paese. La grande maggioranza degli interpellati, non soltanto gli antidivorzisti ma anche una cospicua parte dei divorzisti si è dichiarata favorevole allo svolgimento del r

eferendum. Il 69,8% degli interpellati ha infine risposto positivamente alla domanda »si può essere buoni cattolici ed essere favorevoli alla legge sul divorzio? : una risposta indicativa delle tendenze esistenti fra coloro che praticano la religione in Italia e che sempre di più imparano a distinguere la fede religiosa dagli interessi di una politica clericale.

C'è voluta la "Demoskopea" e la televisione tedesca che ha commissionato a questa società l'indagine demoscopica, per venire a conoscenza di questi dati. Ma era già indicativo il silenzio della semiufficiale "Doxa" (diretta dal clericale prof. Luzzatto-Fegiz) che ogni anno prima della approvazione del divorzio aveva fatto una o due indagini sull'argomento e che, dopo l'approvazione della legge, ha scelto invece di non fare inchieste o di non renderne noti i risultati. E' però più probabile, delle due ipotesi, la seconda: e quindi con ogni probabilità da alcuni mesi i risultati di quelle inchieste erano chiusi nei cassetti di chi le aveva commissionate e si è ben guardato dal renderle pubbliche. La Chiesa, la Democrazia Cristiana, la Presidenza del Consiglio sapevano quindi il vento che tirava nel paese. Gli unici che mostravano di ignorarlo erano i vertici dei partiti laici.

Stando così le cose, è davvero pensabile che le forze clericali vogliano correre il rischio del referendum? Una sconfitta ridurrebbe per la prima volta ufficialmente la Chiesa (e non soltanto la DC) a forza storica di minoranza del nostro paese. Il Vaticano farebbe carte false pur di non giungere a questo risultato. E la prima di queste »carte false è già stata mostrata, pochi giorni dopo i risultati dell'indagine, ad opera di un certo numero di »intellettuali cattolici che hanno indicato »la terza via dell'astensione dal referendum. E' sintomatico che questa sortita abbia avuto tanto rilievo di stampa sui giornali clericali. Che altro è se non un espediente tartufesco - come lo ha giustamente definito Labor - di »intellettuali cattolici bene abbarbicati al potere clericale e al regime? Un primo alibi offerto alla Chiesa per sganciarsi da un disastroso confronto politico e di civiltà che si aprirebbe nel nostro paese con la chiamata degli elettori alle urne per il referendum.

La Chiesa non avrà però bisogno, probabilmente, di alibi di questo genere. Gli bastano quelli che gli offrono gratuitamente i partiti laici. Non voleva il referendum, e infatti il referendum non si farà perché si faranno le elezioni anticipate. Si perde così la possibilità di un confronto che dislocherebbe su posizioni laiche una parte dell'elettorato cattolico e che spaccherebbe l'elettorato moderato e fascista. Si perde l'unica occasione che la situazione politica italiana offre per rimontare la spinta a destra. Con quali conseguenze? Che il confronto sarà probabilmente rinviato e il dilemma - compromesso o referendum - si ripresenterà immutato nella prossima legislatura. Se si punterà al compromesso c'è il rischio che almeno al Senato l'equilibrio politico parlamentare si presenti più favorevole alla DC. Se si arriverà al referendum, sarà più difficile isolare il problema del divorzio dal contesto più generale della crisi delle istituzioni. All'aggravarsi di questa crisi, con la loro assurda paura del con

fronto e della consultazione popolare, i partiti laici hanno arrecato in questi mesi un contributo non indifferente.

In definitiva la lotta per la difesa del divorzio non è conclusa né sta per concludersi. Altre prove ci attendono.

 
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