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Bandinelli Angiolo - 31 gennaio 1972
Aborto: un confronto inevitabile
di Angiolo Bandinelli

SOMMARIO: Due posizioni contrastanti sono state assunte nel corso del dibattito sulla legalizzazione dell'aborto (provocato da una iniziativa del MLD): quella cattolica e quella comunista. I rispettivi punti di vista sono stati riportati su l'"Osservatore Romano" e "Civiltà Cattolica" per la Chiesa Cattolica e su l'"Unità" e "Rinascita" per il PCI.

Fondamentale perl'autore è che il dibattito promosso dal Movimento di Liberazione della Donna non si esaurisca.

(LA PROVA RADICALE N.2, BENIAMINO CARUCCI EDITORE, Inverno 1972)

L'iniziativa avviata dal Movimento di Liberazione della Donna, per la legalizzazione dell'aborto nell'ambito di un ampio confronto sui temi dei diritti civili della donna e della società, ha finalmente provocato e fatto aprire, su questo tema, un dibattito nel quale sono intervenute forze politiche, culturali e sociali le più diverse: dalla stampa ai parlamentari spintisi fino a presentare specifici disegni di legge, dagli uffici femminili dei partiti alla chiesa cattolica.

Se è vero quanto insospettabili testimoni hanno ammesso o confermato - essi stessi quasi increduli dinanzi alla constatazione - che cioè la scienza ufficiale italiana, le burocrazie sanitarie, avevano fino a ieri evitato di effettuare persino i primi essenziali rilievi sociologici e statistici sul problema, se è ugualmente vero che le »grandi associazioni femminili dei partiti hanno delegato per anni alla sola AIED di De Marchi la denuncia del peso e del costo, sulla condizione femminile, della »tassa dell'aborto, non si può non riconoscere che una prima, essenziale, battaglia radicale è stata vinta dall'MLD. Ai modelli e ai comportamenti di una società contadina nella quale la praticona ed il ferro da calza coloravano di orrore il tabù dell'»involto rosso , la iniziativa dello MLD sta sostituendo, e speriamo definitivamente, quelli di una società che responsabilmente si interroga sulla questione e la affronta, in un dialogo ed in un confronto laico ed aperto a tutti, in primo luogo alle donne; e nella qua

le il bene comune, nonché non manipolato da chierici di nessun colore, diviene e si afferma affare pubblico.

Nel dibattito, l'indicazione della legalizzazione dell'aborto si è scontrata, duramente, soprattutto contro due posizioni, quella cattolica e quelli di associazioni ed esponenti della sinistra, in special modo comunista. Si erano in più riprese occupati di aborto, ovviamente per negare fin la possibilità di concepire una legislazione civile in materia, l'"Osservatore Romano" e la "Civiltà Cattolica". E' infine di ieri l'intervento meditato e pesante - probabile preludio ad altri e più autorevoli - dei vescovi italiani, un documento del Consiglio permanente della CEI reso pubblico il 17 gennaio scorso. Su l'"Unità" e su "Rinascita" sono apparsi in varie riprese interventi tutti di tono polemico (tranne uno, almeno a nostra memoria, di Laura Conti, su l'"Unità", intelligente e largamente condivisibile) contro quello che veniva sostanzialmente definito come il »malthusianesimo piccolo borghese del femminismo dell'MLD, mentre la commissione femminile del PCI rispondeva, al primo avvio della campagna radicale, r

ifiutando questo obiettivo politico, con la giustificazione che esso non sarebbe stato »compreso dalle »masse femminili cattoliche .

Che il dibattito cresca ancora e si sviluppi ampiamente, ecco il primo nostro augurio. Esso contribuirà a dissipare gli equivoci e, sopratutto, in notevole misura, quel »senso di colpa che circonderebbe altrimenti - e di fatto circonda - il procurato aborto tra donne che finora hanno dovuto risolvere un problema di tale delicatezza nel buio di una coscienza impossibilitata al colloquio, e quindi angosciata ed oppressa: dalla condanna »rituale , »sacra (la stessa che in società più antiche ed anche in società ecclesiali contemporanee investiva ed investe, non dimentichiamolo, persino le »regole mensili) passiamo dunque ad un confronto che è liberatore esso stesso.

Liberatore anche per la società religiosa. La stessa presa di posizione dell'episcopato, per la complessità dell'argomentare, per la casistica ed i problemi che affronta, per le contraddizioni che finisce col fare emergere nelle tesi del mondo cattolico e nello stesso mondo cattolico (come un intervento di Ruggero Orfei su "Settegiorni" mette in luce) è un omaggio alla società civile ed al diritto all'informazione, ai valori del dibattito, dello scontro ideale e di principi. Il documento della CEI oltre a pronunciarsi, senza anatema e scandalo, su argomenti moralmente opinabili come le »ragazze madri , o la »validità teorica (finalmente riconosciuta, vivaddio) del principio della »tolleranza civile »per il quale non ogni trasgressione di una norma morale deve essere necessariamente perseguita penalmente , tocca problemi quali - citiamo testualmente - »la mortalità da pratiche clandestine, la facile speculazione di sanitari compiacenti, il rischio dell'eccessivo aumento della popolazione , o quelli relativi

alle difficoltà »nelle quali la gestante o la futura prole vengono a trovarsi in alcuni casi, la violenza subita, la giovanissima età, la paura del disonore, il pericolo grave della madre, la diagnosi precoce di malformazioni del nascituro e così via. Il documento della CEI è così molto superiore al pur autorevole articolo di Vittorio Marcozzi, S.J., apparso su "La Civiltà Cattolica" del 3 aprile 1971, nel quale si ripete l'attacco, già da noi ascoltato per il divorzio e di sapore medioevale, ad »alcune nazioni, ritenute `progressive' che sarebbero in testa alle statistiche »quanto al numero di aborti legali, di divorzi, di suicidi, di figli illegittimi, di produzioni pornografiche ; un testo, questo, che in nessuna di quelle nazioni cui allude nessun nunzio o vescovo oserebbe diffondere, perché né l'opinione pubblica né forse la legge glielo consentirebbero.

E tuttavia non v'è dubbio che il documento ufficiale dei vescovi italiani ribadisca una assoluta preclusione contro ogni forma di legalizzazione dell'aborto procurato, anche nell'insufficiente ed ambigua misura rappresentata dai due progetti di legge di origine socialista. E' prevedibile anzi - come voci giornalistiche hanno riferito - che questo primo, più sfumato intervento sia preludio di una più drastica ed autorevole presa di posizione.

Sarebbe facile avviare una seria discussione per rispondere puntualmente alle tesi dei vescovi. Non è però questa, perché troppo limitata, la sede. Da una parte, perciò, ci limitiamo a rilevare che le ragioni addotte da quanti sono contrari alla legalizzazione non devono essere né convincenti né efficaci, visto che non sono riuscite ad impedire che misure liberalizzatrici anche avanzate, venissero prese in paesi e da legislatori anche cristiani e forse cattolici. Dall'altra invece dobbiamo puntualizzare o ripetere alcuni dati essenziali. L'attuale legislazione punitiva dell'aborto volontario e procurato è una colossale finzione, di cui sono tutti perfettamente consapevoli, medici, autorità sanitarie, autorità giudiziaria ed opinione pubblica. Restano impigliate in essa, paradossalmente, solo quelle donne che siano incorse, durante l'aborto, in serie difficoltà mediche e ginecologiche che le abbiano condotte al rischio di morte. Quel che vige, dunque, è una pratica assolutamente discrezionale e casuale, che d

i per sé contrasta con quell'imperativo della certezza che deve essere proprio della legge. Né è il caso di insistere sulle caratteristiche classiste della discriminazione da essa favorita. Ciò che ci preme sottolineare è che l'attuale legislazione punitiva rappresenta un dato giuridico di tipo »rituale anche esso, che non ha mai avuto efficacia normativa e coattiva sulla coscienza comune, sul comportamento collettivo, sulla individuazione di un senso morale davvero vivente. L'orrore dell'aborto e le discriminazioni nei confronti della donna che lo pratica hanno avuto, al massimo, la forza di dettare certi comportamenti sociali, tipo »buona creanza , non certamente di influire nelle scelte etiche di milioni di donne e di uomini di ogni tempo e condizione sociale. Ovunque, l'aborto è stato ed è praticato, a livelli difficilmente quantificabili ma sicuramente elevatissimi. Lo stesso svilupparsi e radicarsi di un vero e proprio »rituale dell'aborto procurato presso le classi meno colte, nelle campagne e così

via, sta a testimoniare dell'ampiezza e della quotidianità del fenomeno (e non è serio né morale che nel suo intervento su "La Civiltà Cattolica" del 15 gennaio 1972, Salvatore Lener S.J. giunga ad assumere toni da ottocentesca dama da carità quando afferma che »è solo presso i più disperati ambienti del sottoproletariato, vivente in grotte e baracche, che si confessa sfacciatamente e magari si accresce per muovere a pietà gli assistenti sociali, un numero quasi inverosimile di aborti procurati ).

»In questo quadro - come ha ricordato al congresso romano dell'UDI Liliana Merlini, dell'MLD - l'aborto clandestino crea la scappatoia che rende possibile un mito insostenibile; il divieto legale funge da rinforzo al mito. Tutto al suo posto, come peccato e confessione: senza l'arrangiamento di una confessione assolutoria, che senso avrebbe un insostenibile divieto? Semplicemente non sarebbe rispettato. La perpetuazione di una mentalità colpevole, di un regime confessionale e autoritario ha un suo ruolo importante. L'aborto è funzionale purché non sfugga al controllo del potere, avvenga solo quando esso lo impone e sia sempre eventualmente perseguibile per essere oggetto di più o meno diretti ricatti... .

Una legge che sarebbe perfettamente inutile se non servisse a creare - solo ed esclusivamente - un clima di ricatto e di rifiuto alla presa di coscienza collettiva e sociale è dunque una legge sbagliata, contraddittoria ed iniqua. Se questo non suggerisce nulla all'episcopato, è per lo meno strano che non sia elemento di giudizio valido per le forze della sinistra. Forse cominciano a rendersene conto le burocrazie dell'UDI, almeno stando ai resoconti, pubblicati dall'"Unità", del loro recente convegno romano del 29-30 gennaio. Pur attraverso un dibattito largamente negativo e controllato, nel suo svolgimento, da una rigida prassi settaria, sembra si sia fatta viva almeno l'esigenza di una »depenalizzazione dell'aborto eseguito negli »istituti sanitari pubblici e di una »modifica del »sistema di controlli e di sanzioni, in modo tale che siano colpiti solo »coloro che intendessero ancora strumentalizzare l'aborto per speculazione o per coprire interessi .

Che sia, questo, uno spiraglio ancora insufficiente, lo prova la genericità della sua formulazione e, soprattutto, l'andamento del dibattito e dei lavori, dove astratte considerazioni sono state fatte su una presunta contrapposizione tra il »valore sociale della maternità e un non meglio chiarito »individualismo (naturalmente »malthusiano ). Tuttavia, l'ammissione è importante. Resta ora da fare il più, investire del problema le responsabilità pubbliche, in primo luogo il legislatore. Occorre in sostanza che si formi anche su questo punto un largo schieramento di forze che valga a respingere gli insufficienti disegni di legge di origine socialista ed avviare il cammino parlamentare del progetto che meglio finora sembra corrispondere alle esigenze della società, il progetto del MLD.

 
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