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Bugno Federico - 31 gennaio 1972
La corporazione del gazzettieri
di Federico Bugno

SOMMARIO: Il processo fiorentino di Marco Pannella ha permesso di rilevare le posizioni "repressive" del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti. Mentre l'articolo 2 della legge sull'Ordine sostiene che "è diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica...", l'ordine serve di fatto solo a difendere una concezione angusta del mestiere del giornalista. E' stato un giornalista di destra Ignazio Contu, a indicare quali e quanti pericoli l'Ordine dei giornalisti abbia in sé.

(LA PROVA RADICALE N.2, BENIAMINO CARUCCI EDITORE, Inverno 1972)

Probabilmente le prese di posizione dell'Ordine dei giornalisti toscani non sono documenti cui si debba dare valore. Certamente non rispecchiano l'orientamento della maggioranza dei giornalisti perché, in questo caso, ci sarebbe da presumere che la classe giornalistica di quella regione, arroccata a difesa di interessi particolari, è completamente dimentica del ruolo e della funzione (parole loro, si intende) del giornalismo quale strumento di democrazia e di libertà.

Veniamo al fatto. In occasione del processo fiorentino di Marco Pannella un gruppo di giornalisti si rivolse al Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti e agli Ordini regionali romano e toscano per sollecitare una »non cauta né equivoca presa di posizione della categoria contro una prassi giudiziaria inaccettabile che pretende la condanna del giornalista per fatti e notizie cui è completamente estraneo. A suo tempo, infatti, Pannella prese la direzione del periodico "Lotta continua" per assicurare, contro una legge iniqua, l'uscita del giornale di cui dichiarò esplicitamente di non condividere posizioni politiche e ideologiche. Oggi Pannella, per il magistrato, dovrebbe rispondere non solo della pubblicazione del giornale ma anche di tutto quello che, sotto l'etichetta di "Lotta continua", si è ciclostilato o stampato in ogni parte di Italia.

Già la semplice lettura delle risposte che il consiglio nazionale e i due Ordini regionali hanno dato alla sollecitazione del gruppo di giornalisti è di per sé istruttiva: tanto sono difformi tra loro e preoccupate, per la maggior parte, più della forma che della sostanza. Ad avviso dell'Ordine nazionale il problema esiste, ma intervenire ogni volta che si ripresenta (e sembra di capire che succede spesso) sarebbe bassa demagogia. Per l'Ordine toscano, addirittura, il problema non si poneva: le accuse contro Pannella si configuravano come »reati comuni . A Pannella il compito di dimostrare il contrario nell'aula del tribunale.

Solo l'Ordine di Roma ha creduto d'intervenire con un suo comunicato e lo ha fatto, dobbiamo riconoscere, nel modo più onesto, superando, presumiamo, anche indecisioni e resistenze interne. Ma lo ha fatto ed è stato comunque l'unico ad assumere una posizione chiara.

Noi si tratta di un episodio marginale. A nostro avviso, anzi, è esemplare per meglio cercar di comprendere cosa succede nel giornalismo italiano e nelle sue corporazioni: anche le differenze di opinione e i contrasti sono salutari (e possono essere sollecitati) quando promuovono un dibattito; no davvero, quando possono rappresentare e in effetti solo l'abile pretesto per chiusure ancora maggiori e per perpetuare una situazione di illiberalità di fatto. Tempo addietro l'Ordine di Milano, di quella stessa città, per intenderci, in cui nacque il Comitato contro la repressione e per la libertà di stampa, rendeva nota una sua deliberazione in cui si condannava la stampa pornografica e si additavano al disprezzo i giornalisti che lavorano nei cosiddetti »giornali per soli uomini . L'argomento non è certo dei più facili a trattarsi e persino "Il Manifesto", quando è costretto a parlarne, maschera con difficoltà le sue "pruderies", piccolo-borghesi: ma proprio la stampa pornografica ha rappresentato, negli ultimi a

nni, uno dei crinali su cui si è difesa, nel nostro paese, la libertà d'informazione in particolare e, più in generale, la libertà senza nessuna specificazione. La presa di posizione dell'Ordine di Milano si salda così - repressivamente - con tutte le iniziative della magistratura dirette di fatto a soffocare la libertà di stampa (esempi: l'arresto, sempre a Milano, dell'editore Balsamo e la pazzesca accusa di associazione a delinquere che la procura di Roma ha mosso agli editori di "Men", "Playmen" e "Menelik"). L'equazione tante volte sottolineata - pornografia uguale divorzio uguale aborto uguale aumento della criminalità uguale rifiuto della divisa - colora di un significato inequivocabile questi interventi giudiziari. E il nesso causale logico che la destra attribuisce a queste manifestazioni non è meno irrilevante. E' grave che le corporazioni dei giornalisti non abbiano sentito questa stretta connessione immergendovisi, in alcuni casi, completamente.

Senza richiami alla Costituzione, ma fermandoci alla vigente legge sull'Ordine, si legge (art. 2) che »è diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dalla osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui "ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti", osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede . Quel che si dice un codice deontologico. Proprio a questo proposito, vorremmo chiedere all'Ordine di Milano così sollecito contro i Pornografi, o al consiglio nazionale così preoccupato di apparire demagogo, se essi hanno mai promosso procedimenti disciplinari contro giornalisti che abbiano volutamente distorto i fatti o omesso un'informazione camuffando in questo modo la realtà e la verità di una notizia. Esempi ce ne sono a iosa, dapertutto.

Ecco allora che il discorso sulla realtà e legalità dell'Ordine torna di nuovo attuale. A chi giova la sua esistenza?

Se rispondessimo tenendo presente gli esempi appena citati dovremmo dire che l'Ordine serve solo per reprimere. E' contrario alla Costituzione nonostante una famosa sentenza della Corte costituzionale; impedisce a molti di poter praticare l'attività giornalistica chiudendo al massimo gli accessi alla professione; non pretende dai suoi iscritti il »rispetto della verità (perché in pratica non lo chiede) ma in compenso vigila (art. 11) sulla loro »condotta e sul loro »decoro . Ma anche a pretendere in considerazione episodi di segno positivo che qualche volta si sono succeduti, si può al massimo rispondere che l'Ordine serve soltanto a difendere una concezione angusta e particolare del mestiere del giornalista, fornendo a questa concezione quegli strumenti legali che il Parlamento ha disposto, ed in pratica impedendo, con la sua stessa esistenza, la formazione di una ben più apprezzabile coscienza professionale che si acquista soltanto nella milizia sindacale e nel confronto continuo con gli editori e i pote

ri costituiti.

E' naturale che la prima proposta di legge che ha rotto la indifferenza e l'inerzia delle forze politiche su questo problema abbia scatenato le proteste del presidente nazionale dell'Ordine dei giornalisti, il clericale Guido Gonella. Una opposizione che non ha sorpreso nessuno, conoscendo tutti molto bene l'evoluzione democratica del deputato democristiano (sostenitore dell'Ordine, nemico dei pornografi e naturalmente del divorzio, dell'aborto, dell'obiezione di coscienza e via dicendo).

Maggiore sorpresa ha invece destato il tiepido, tiepidissimo, quasi inutile appoggio che il Movimento dei giornalisti democratici e la Federazione della stampa italiana hanno dato all'iniziativa, al punto da destare il sospetto che la proposta del PRI incontri anche qui, più che un appoggio tiepido, una sostanziale resistenza: non dovuta, per carità!, a questioni di principio ma solo alla difficoltà (sempre la stessa difficoltà) di far capire a tutti quanto l'abolizione dell'Ordine sia un obiettivo da perseguire.

Ed è per questo che preferiamo a questo punto citare un giornalista di destra, redattore del quotidiano del pomeriggio milanese "La notte", ed anche segretario dell'Ordine dei giornalisti di Roma, Ignazio Contu.

Perché è stato proprio Contu in una lucidissima esposizione alla Casa della cultura a indicare quali e quanti pericoli l'Ordine dei giornalisti abbia in sé. E ci è venuto proprio da quest'esponente della destra giornalistica, l'indicazione precisa di quale strumento repressivo l'Ordine possa diventare nelle mani di un governo o di una magistratura che volessero di fatto impedire la libertà di stampa. Gli strumenti ci sono, pronti per essere usati. Bastano pochi uomini al posto giusto e il meccanismo liberticida scatterebbe da sé. Contu, naturalmente, è per una sostanziale revisione della legge sull'Ordine. Ma gli altri? i democratici? Davvero non restano impressionati, non si preoccupano? O forse credono che basti firmare un manifesto per indirizzare in un senso invece che in un altro il corso politico?

 
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