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Pergameno Silvio - 31 gennaio 1972
La »roba clericale (II)
Il potere temporale negli anni '70: l'assistenza.

di Silvio Pergameno

SOMMARIO: Con un breve excursus storico l'autore illustra il rapporto Chiesa-Stato nell'ambito assistenziale dall'unità d'Italia ad oggi. Si parte dalla legge del 1862 per passare poi ai lavori della Costituente nel '46-48 ed arrivare alla situazione attuale. L'articolo è corredato da dati e cifre che tuttavia confermano l'impossibilità di farsi un'idea seppur approssimativa sulla consistenza delle strutture assistenziali in Italia. E' comunque dimostrato che gran parte degli istituti assistenziali italiani è retta da religiosi e che quindi l'assistenza è il vero pilastro del regime clericale.

(LA PROVA RADICALE N.2, BENIAMINO CARUCCI EDITORE, Inverno 1972)

Si può dire quotidianamente, sin dagli anni sessanta, attraverso le sue lotte - in primo luogo la battaglia divorzista - studi, inchieste e indagini, il partito Radicale è venuto chiarendo e approfondendo la convinzione che ogni analisi della realtà italiana che prescinda dalla chiave »anticlericale sia irreparabilmente manchevole, che ogni pretesa di riforma che non si proponga di colpire le strutture e gli interessi clericali che si celano dietro fondamentali articolazioni ed essenziali istituti dell'aggregato sociale del nostro paese sia destinata a rapido fallimento.

Senza la chiave anticlericale resta poi comunque un mistero la realtà stessa della democrazia cristiana, un partito che apparentemente presenta le contraddizioni e dilacerazioni più forti, ma che a ben vedere resta sostanzialmente unito nella difesa delle proprie fonti di potere; che avoca a sé il governo del paese sin dal dopoguerra e insieme è riuscito a coinvolgere le forze di sinistra in una politica di riforme (preponderante economia pubblica con cui il potere confindustriale deve venire a patti o addirittura integrarsi, indirizzo di programmazione economica, nazionalizzazione dell'industria elettrica, rottura del latifondo meridionale, creazione della Corte costituzionale e delle regioni, approvazione dello statuto dei lavoratori) caratterizzata e insieme ambigua.

Pur tuttavia sempre più diffusa è - anche in altri ambienti - la sensazione che in questi ultimi venticinque anni il paese sia stato in buona sostanza interessato da una colossale operazione trasformistica, la ristrutturazione appunto del potere temporale nell'ambito di una società moderna e industrializzata, Questo discorso viene di solito proposto in termini diversi, attraverso i quali se ne coglie un aspetto particolare: si stenta cioè a riconoscere nella DC dei tecnocrati dirigisti degli anni settanta l'erede del vecchio partito popolare dei notabili forti del monopolio delle situazioni locali, a stento tenuti a bada dai prefetti del nuovo »Regno d'Italia . In realtà ciò è avvenuto con un lungo cammino, non privo di incertezze, tentennamenti, contraddizioni e immancabili disavventure, ma anche fornito - occorre notarlo - di una logica evolutiva di sviluppo: scontata l'ineluttabilità e la definitività della fine dello stato pontificio iniziò dapprima quel lungo lavorìo intorno a banche, leghe, società, co

operative, sindacati, che caratterizza il reinserimento cattolico nel tessuto civile del nuovo stato nel primo ventennio del '900 e al quale si deve la conquista di una grossa rappresentanza parlamentare nel 1919; c'è poi tutta la fase del vigile e interessato sostegno alla dittatura fascista, cui si strappa un vantaggioso concordato. e infine la raccolta dell'eredità del ventennio mussoliniano e l'edificazione della presente società industriale di neocapitalismo »sociale , fornita tuttavia di connotati peculiarissimi, piena di timori per ogni novità che comunque interessi scuola, esercito, tribunali, codici, famiglia, e quindi, insieme, estremamente vigile nel riservare i poteri a mani sicure, nel dosare le informazioni, nell'evitare qualsivoglia controllo davvero pubblico e democratico.

Nel primo numero di questa rivista si è tentata una certa indagine su alcune caratteristiche della gestione del bilancio dello stato e dell'economia pubblica, sullo sterminato patrimonio immobiliare degli enti religiosi, sul rivolo d'oro dei pubblici finanziamenti, sul sistema delle esenzioni fiscali che costituiscono un vero »diritto tributario ecclesiastico , sui »complementi di un sottogoverno che ogni giorno, nonostante la legge dell'omertà riesce a pervenire agli onori della cronaca nera.

Ma altrettanto significative caratteristiche presenta il grosso corpo delle strutture assistenziali in Italia, di cui tentiamo, nelle pagine che seguono, di illustrare alcuni aspetti che ci sono apparsi rilevanti, tenendo sempre presente quella che possiamo definire la proposta di ristrutturazione e di ammodernamento che dal loro interno emerge, anche se contraddittoriamente. In tale proposta si delinea infatti la prospettiva per una candidatura ad una gestione decorosa, ma sempre sostanzialmente autoritaria, di una società industrialmente progredita, una direttiva - insomma - per altri cinquant'anni di paternalismo »pubblico (anche se l'esasperato corporativismo e vischiosità del settore rende assai poco credibili perfino certe aperture).

Diamo innanzitutto un'occhiata al documento programmatico preliminare del Ministero del bilancio e in particolare (1) alle indicazioni del quadro complessivo della spesa e degli impieghi sociali. Lasciamo parlare il documento: »Le azioni programmatiche di seguito considerate hanno lo scopo di rendere più adeguata la risposta pubblica alla `domanda collettiva' di servizi civili e sociali. I settori di intervento della pubblica amministrazione sono numerosi. Essi possono essere sinteticamente compendiati nelle seguenti categorie: formazione e cultura; sicurezza sociale; abitazioni e sviluppo urbano; trasporti e comunicazioni; tutela dell'ambiente naturale e storico. Si debbono poi [teniamo ben conto di questo `poi'; n.d.r.] ricordare altri importanti settori di intervento della Pubblica amministrazione: la giustizia, la pubblica sicurezza, la difesa; le attività pubbliche inerenti ai settori produttivi; i servizi generali dello stato, delle regioni, degli enti locali. In questo documento sono individuate e pro

spettate le azioni programmatiche concernenti il primo gruppo di settori (spesa sociale) nonché le attività pubbliche inerenti ai settori produttivi. Il piano dovrà naturalmente indicare anche le azioni programmatiche relative agli altri settori di intervento [...] per tali settori si è preferito per ogni limitarsi a un'indicazione globale delle risorse ad essi destinate rinviando alla fase delle consultazioni con le competenti amministrazioni l'individuazione delle azioni programmatiche .

Il linguaggio è chiarissimo, la sottolineatura evidente. Il primo posto spetta all'erigendo sistema della sicurezza sociale; le attività produttive sono già meno qualificanti; giustizia, polizia, esercito sono i settori che in qualche maniera bisogna pur tirarsi dietro. La beneficenza caritativa delle vecchie »opere pie si apre a nuovi orizzonti.

Alcuni dati sulla proprietà immobiliare ecclesiastica a Roma

L'Assemblea ecclesiale romana, in cui convergono i cattolici del dissenso attivi nella capitale, ha di recente rielaborato i dati - forniti dal settimanale "Il Mondo" nel 1957 - concernenti le proprietà fondiarie di Enti religiosi a Roma e dintorni. Riportiamo tali dati:

Dallo schedario degli Enti religiosi del Catasto rustico di Roma risultano appartenere agli Enti stessi circa 51 milioni di mq.

I più rappresentativi. Indicazioni sulle ubicazioni:

Compagnia di Gesù mq. 16.653.128 Via Aurelia mq. 2.654.472

Propaganda Fide 15.054.339 Via Aurelia Antica 462.379

Collegio Crivelli 2.761.510 Pineta Sacchetti 177.751

Salesiani 2.663.773 Via Trionfale 1.005.145

Capitolo di S. Pietro 1.891.872 Via Cassia 264.413

Trappisti 1.529.070 Via Flaminia 48.040

Capitolo S. Maria Maggiore Via Gianicolense 118.180

Terz'Ordine Francescano 598.850 Via del Casaletto 349 376

S. Sede 500.086 Via di Bravetta 606.960

Buon Pastore 302.450 Via Portuense 440.974

Fratelli scuole cristiane 336.092 Viale Aventino 173.678

Figlie della carità Via Ostiense 1.776.416

S. Vincenzo de' Paoli 289.830 Via Appia Antica 453.496

Pontif. opera

preservazione fede 273.814 Via Latina 112.369

Sorelle poveri S. Caterina Via Appia Nuova 192.297

Siena 156.610 Via Tuscolana 1.731.389

Ancelle S. Cuore di Gesù 138.730 Via Casilina 1.177.653

Fatebenefratelli 215.140 Via Prenestina 55.800

Congregazione Fraternità Via Tiburtina 1.045.397

Sacerdotale 130.894 Via Nomentana 98.888

Congregazione Figli Immacolato Via Salaria 124.419

cuore B. Vergine Maria 136.615 in campagna 36.334.236

Dall'"Unità" del 16 e 25 7.1971: vendute la Casa generalizia dei Cappuccini in Via Boncompagni e la clinica delle Figlie della Sapienza, rispettivamente per 6 e 4 miliardi.

Da sottolineare l'importanza delle aree »in campagna , cioè nelle zone di urbanizzazione in conseguenza dello sviluppo della città.

Il breve excursus storico varrà a meglio comprendere la rilevanza della posta. La lungamente sospirata realizzazione delle regioni a statuto ordinario e i tentativi di riforma sanitaria hanno riportato l'attenzione su quella che rimane ancora la legge fondamentale in materia assistenziale, cioè la legge Crispi del 1890. Non sembra tuttavia che qualche attenzione abbia destato la vastissima mole dei lavori parlamentari che precedettero tale legge. Il Problema era all'ordine del giorno fin dal tempo dell'unità, dal 1861; una prima legge del 1862 era stata interpretata e applicata nel senso di dare piena autonomia alle opere pie, quando viceversa l'indirizzo della legge era proprio quello di sottoporre le opere stesse alla tutela degli enti locali e alla supervisione ministeriale. E' chiaro che proprio l'avere affidato la tutela agli enti locali, sui quali fortissima era l'influenza dei notabili del posto e cioè delle forze clericali (di qui l'anticentralismo del primo neoclericalismo), aveva frustrato gli scop

i della legge. Dopo vari tentativi di riforma (Cantelli, Nicotera) Depretis promosse nel 1880 l'istituzione di una Commissione parlamentare, della quale furono chiamate a far parte personalità di rilievo (Cesare Correnti, che la presiedeva, Luigi Luzzatti, Paolo Mantegazza); i suoi lavori si protrassero per nove anni lungo due direttive: da una parte il censimento delle opere pie esistenti e dall'altra l'individuazione dei criteri di gestione di erogazione dei fondi. Furono diramate decine di migliaia di questionari predisposti dalla Direzione generale di statistica a fini di censimento; 232 Comitati locali lavorarono per il controllo delle dichiarazioni redatte dai dirigenti degli Istituti sottoposti al censimento; i dati ricavati furono alla fine elaborati e raggruppati in tabelle riassuntive e fornirono un quadro, senza dubbio non completo e perfetto, ma sufficientemente preciso, della situazione.

Alla fine del 1880 le opere pie censite erano circa 22.000, con un patrimonio - denunziato - di 1 miliardo e 700 milioni (2), entrate complessive per oltre 135 milioni, spese per beneficenza di circa 85 milioni. Le più numerose erano le congregazioni di carità (2025). le opere pie elemosiniere (4215), gli istituti di donazione (2916), le opere pie per cure a domicilio (1995), le opere pie di culto e beneficenza (3416), la istituzioni di culto (2368), gli ospedali (1221), gli orfanotrofi e collegi (903), gli asili infantili (773), i sussidi per istruzione (501), le scuole elementari e superiori (268); i manicomi erano 16. Altri settori di intervento assistenziale erano quelli per vedove, il baliatico, le puerpere, i detenuti e liberati dal carcere, i rachitici, il trasporto di ammalati, il seppellimento dei defunti, la maternità (13), i bambini abbandonati (91), gli asili per lattanti, i riformatori, le pie case di industrie, i sordomuti, ciechi, i catecumeni. Non vennero considerate nel censimento le opere p

ie del credito, i monti di pietà, i monti frumentari, le casse di prestanze agrarie (tutte queste opere erano comunque 2690), Furono compilati specchi per regioni, e classificazioni secondo lo scopo, i patrimoni, gli incrementi patrimoniali nel periodo 1861-1880, le rendite (dei fondi, del debito pubblico, di crediti vari), gli oneri per imposte e spese, la percentuale degli oneri di culto in rapporto alle entrate (dal 2% circa in Piemonte al 14% in Campania) e in rapporto alle spese per beneficenza (dal 3% circa in Piemonte, al 31% in Campania e al 36% negli Abruzzi e Molise), i lasciti ottenuti. Una indagine particolare fu poi svolta sulla così detta carità legale, cioè sulle spese per beneficenza dei Comuni e delle province: circa 52 milioni nel 1880 e circa 60 nel 1886; per 8127 opere si rilevarono i dati concernenti le strutture interne amministrative (rappresentanze, inventari, tesorieri, cassieri, cauzioni); rimasero invece escluse da ogni indagine le nuove grandi organizzazioni pubbliche che sorgeva

no in sostituzione delle disciolte corporazioni industriali, cioè sodalizi di mutua assistenza, previdenza. cooperazione. credito (ad esempio le casse di risparmio) (3).

Un lavoro analogo fu poi compiuto per le confraternite; ne risultarono censite 11707, di cui 3220 senza patrimonio (cioè attive per mezzo dei soli contributi degli associati e altri proventi non patrimoniali); le loro spese complessive erano di circa 8 milioni e 900 mila lire. di cui circa 4,3 milioni per amministrazione, imposte, pesi vari e altre consimili, oltre 3.4 milioni per spese di culto e infine 1,2 milioni per beneficenza (nell'ambito delle spese per fini istituzionali, cioè, il 75% erano per il culto e il restante 25% per beneficenza, con varianti naturalmente a seconda delle diverse regioni).

Una inchiesta così ampia, articolata, penetrante non è stata successivamente più compiuta e i risultati delle parziali e incerte indagini che oggi pure si compiono valgono poco più di un qualsiasi »si dice . Addentrarsi negli aspetti tecnici della legge del 1890 non ha rilevanza in questa sede, una volta che se ne sia rilevato il carattere decisamente »prefettizio , tutto crispino, che la ispirava, proprio quello che allora turbava la consapevolezza »autonomistica dello spirito caritativo dei cattolici, la loro coscienza »sociale mortificata e repressa dal centralismo reazionario di governi anticlericali, giurisdizionalisti... e proprio quello stesso che oggi si vuole salvare in condizioni mutate (e quanto!), oggi che ministri e prefetti e organi centrali sono la più sicura garanzia della conservazione del nuovo potere temporale. Vale invece la pena di sottolineare come la legge rimase, pur con tutta la sua vigilanza i suoi controlli e le tutele e le incompatibilità, le norme di amministrazione, gli interv

enti per fusioni, trasformazioni, soppressioni ecc. ecc., largamente inoperante (4); un fatto tutt'altro che misterioso nelle sue motivazioni di fondo.

Già la legge del 1862 non aveva raggiunto le sue finalità e proprio Crispi, nella relazione al suo disegno di legge, lo dichiarava senza reticenze. Quanto alla nuova legge, essa veniva in essere in un momento nel quale le opere pie come tali erano già un fatto in via di superamento sul piano tecnico (la nuova fase della assistenza - non più tanto di beneficenza infatti si poteva ormai parlare - prendeva le vie della mutualità, con carattere obbligatorio per categorie sempre più vaste di lavoratori e via via con la prospettiva dell'intervento sempre più importante dello stato); ancora più superata poi essa doveva rivelarsi sul terreno più propriamente politico.

Crispi, ufficialmente, parlava di necessità di riorganizzazione delle opere pie perché erano in stato di abbandono, perché erano fonte di sperperi immensi, perché erano in balìa di amministratori incontrollati e spesso corrotti. Ma la stessa natura di alcune indagini compiute, le accanite resistenze alla legge da parte dei cattolici - per i quali quanto attiene a carità e beneficenza è strettamente riservato al potere spirituale - l'avere posto tanta enfasi nelle ricerche sulle spese di culto, l'avere svolto particolari accertamenti, sia pure soltanto per circa 2/5 delle opere censite, per conoscere se le leggi di soppressione degli enti religiosi avevano prodotto nelle istituzioni di beneficenza una diminuzione delle spese di culto e se tali istituzioni soddisfacevano oneri di culto per i quali non esisteva - a termini dei rispettivi statuti - correlativo obbligo giuridico, tutto ciò ampiamente chiarisce come la legge ambisse a svolgere un ruolo di completamento delle così dette leggi »eversive , mirasse a

colpire la presenza clericale nel paese, ad affermare in concreto l'autorità del nuovo stato unitario. L'iniziativa cadeva peraltro in un momento politico nel quale la borghesia liberale postrisorgimentale si trovava a dover affrontare un compito completamente nuovo, la pressione delle nuove forze socialiste. Erano i tempi nei quali aveva inizio tutto quel lavorìo di avvicinamento al conservatorismo cattolico, che dal canto suo la Chiesa, oramai avvertita della necessità di abbandonare i sogni di impossibili restaurazioni e sempre più convinta dell'opportunità di battere nuove strade, non poteva e non voleva rifiutare. Spirito sociale e popolarismo cattolico trovavano così le premesse per una nuova espansione: si gettavano, come abbiamo ricordato, le basi per la grande affermazione elettorale del 1919 (5).

A questo punto si tratta di capire e definire il ruolo del Concordato. La premessa politica è ovviamente il riconoscimento implicito della rinnovata potenza della Chiesa nel paese; non si stipula un accordo, paritario sul piano giuridico e pagato a caro prezzo sul piano sostanziale, con forze di scarso rilievo: quanto meno non avere avversarie tali forze era ritenuto un bene prezioso per il regime fascista e le sue fortune politiche. Vale poi la pena di ricordare che, nella premessa al trattato, la S. Sede e l'Italia esplicitamente riconoscevano la necessità di eliminare ogni ragione di dissidio tra loro esistente, e sappiamo benissimo come ogni benché minimo tentativo di toccare comunque anche la più secondaria fonte di potere, di intromettersi in qualsivoglia competenza »spirituale , o supposta tale, divenga per la parte cattolica ipso facto un vero e proprio casus belli. Con queste premesse qualunque intervento amministrativo in istituti o opere comunque rientranti nella sfera »religiosa veniva ad essere

automaticamente escluso e lo stato era destinato ormai a collaborare al fine di dare le approvazioni necessarie alla costituzione e all'operato delle associazioni e fondazioni religiose al fine di renderne possibile giuridicamente l'esistenza e la capacità operativa nel proprio ordinamento (artt. 27 e 29 del concordato), rispetto alle gestioni immobiliari soprattutto, e a garantire il privilegio fiscale, con esclusione di ogni controllo rispetto alle attività esercitate, di culto o non di culto, cioè in sostanza quelle di natura assistenziale.

Recita infatti espressamente l'art. 30 del concordato: »La gestione ordinaria o straordinaria dei beni appartenenti a qualsiasi istituto ecclesiastico od associazione religiosa ha luogo sotto la vigilanza ed il controllo delle competenti autorità della Chiesa, escluso ogni intervento da parte dello stato italiano e senza obbligo di assoggettare a conversione i beni immobili . Dopo il concordato infatti entrano a vele spiegate nel settore assistenziale gli enti religiosi, le associazioni religiose in senso stretto, forti del loro diritto di respingere ogni indebita intrusione di indiscreti ficcanasi.

Se la stipulazione dei patti lateranensi rappresenta la codificazione legislativa del nuovo quadro politico di rinnegamento delle ispirazioni risorgimentali, la precisazione delle condizioni giuridiche di fondo, dello status degli organismi religiosi in Italia; un'altra fase particolarmente significativa si apre con i lavori della costituente nel 1946-1948: quella della definizione delle prospettive e delle direttive in materia assistenziale nel nuovo stato democratico. E' al riguardo interessante seguire la genesi di alcune disposizioni della suprema carta, relative all'assistenza.

Il secondo comma dell'art. 31 della costituzione dispone che la Repubblica »protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo . La chiave di tutto il discorso sta proprio in quel »favorendo , soprattutto ove lo si raffronti con il testo originariamente proposto in sede di Commissione dei 75, che recava invece al suo posto il termine »istituendo . La differenza è sostanziale ed evidente: nel primo caso la gestione del settore assistenziale considerato non è pubblica e lo stato deve svolgere un compito di aiuto, di sostegno, deve limitarsi in parole povere a fornire gli opportuni finanziamenti; nel secondo si ipotizza invece una gestione pubblica diretta. Nel corso della discussione in Commissione, l'on.le La Pira suggerì un'integrazione della primitiva espressione (»istituendo ), proponendo l'aggiunta di un »favorendo (6). Nel progetto coordinato dalla Commissione dei '75 per essere poi discusso dalla Assemblea la formula era »favorendo e istituendo .

Il problema in realtà non fu molto avvertito dalle altre parti politiche, e anche alcuni comunisti (come ad es. Nadia Gallico Spano), che pure si soffermarono sulle gravissime condizioni degli istituti per la maternità e l'infanzia, denunciarono soltanto le carenze dell'»iniziativa privata , sia pure di »diverse tendenze , anche se postularono l'esigenza di riformare l'ONMI, attraverso un controllo democratico e popolare. Ad essi interessava comunque portare avanti anche il discorso degli aiuti »materiali oltre che morali alle libere e democratiche associazioni giovanili, cosa di cui si incaricò Giuliano Pajetta, con evidente riferimento ai Fronti della gioventù (7).

Conclusasi la discussione generale, il testo venne rielaborato da un »Comitato di redazione e giunse in aula in una nuova formulazione nella quale l'»istituendo era sparito ed era rimasto il solo »favorendo . che passò poi nel testo definitivamente approvato.

Considerazioni analoghe valgono per la genesi dell'art. 38 della Costituzione, che detta i fondamentali princìpi in tema di assistenza in generale. I Primi testi furono elaborati dalla 1ª e dalla 3ª delle sottocommissioni in cui si era suddivisa la Commissione dei 75; nella 1ª si discusse soprattutto della natura della assistenza, con un determinante intervento dell'on.le Basso (non previdenza assicurativa e ancor meno beneficenza, ma diritto all'assistenza, come garanzia fornita dallo stato della possibilità di vita a chiunque non è in condizione di poter lavorare); il lavoro principale fu comunque effettuato nella 3ª sottocommissione e qui va rilevato come da parte democristiana (Fanfani, Taviani) si insistette in un primo tempo per stabilire che all'assistenza e alla previdenza doveva provvedere non »lo stato , ma - con termine assai più equivoco e onnicomprensivo - »la collettività . Successivamente, nel corso della discussione, l'attenzione andò spostandosi e il discorso cominciò a precisarsi e tecniciz

zarsi, si prese in considerazione il problema della maternità e dell'infanzia e proprio da parte dell'on.le Fanfani fu proposta una formula che ebbe poi fortuna: »Istituzioni scolastiche, assistenziali e previdenziali, integrate, ove occorra, dallo stato, devono tutelare la vita e lo sviluppo di ogni bambino ; Fanfani perfezionò poi ancora la sua proposta suggerendo la formula »create o integrate dallo stato.

Il progetto, coordinato dalla Commissione dei 75 e presentato per la discussione generale dell'Assemblea costituente, recava per la parte dell'assistenza nel suo complesso un articolo (art. 34 del progetto) semplificato, in quanto la parte relativa alla maternità e all'infanzia era stata concentrata in altra disposizione. Per quanto concerneva le strutture dell'assistenza tale articolo conteneva un comma così formulato: »All'assistenza e alla previdenza provvedono istituti ed organi predisposti ed integrati allo stato (8). Era chiaro che una norma di tale tenore non poteva essere accettata dalla democrazia cristiana. L'on.le Terranova della DC (dopo una proposta di Medi: »lo stato promuove e favorisce l'assistenza e la previdenza sociale ) svolse un'accorata difesa dell'assistenza non statale. Almeno si dovrebbe dire predisposti »o integrati dallo stato, così egli sostenne, facendo salvo ovviamente un esplicito riferimento agli enti fuori dello stato ed agli aiuti che lo stato avrebbe dovuto loro fornire p

er integrarne le possibilità. La formula usata invece, lamentava Terranova, vuole abrogare o quanto meno lasciare senza tutela l'assistenza e la beneficenza privata, non statale. Ha lo stato i mezzi, ha la possibilità di garantire l'esecuzione di un'attività assistenziale che abbraccia numerosi settori, che include forme molteplici e che esige una spesa enorme? Se mi si dice che possono esserci - affermò l'on.le Terranova - allora io dico »che il tipo di stato e di società in cui quella ipotesi dovrebbe verificarsi, non sono indubbiamente lo stato italiano e la società italiana, quali stiamo costruendo ; una costituzione di grande respiro sociale, sì; uno stato socialista, no. E il discorso continuava con l'asserzione che lo stato non aveva il diritto di sostituirsi »a quelle attività assistenziali che la beneficenza privata svolge con tanto fervore e con così devono sentimento di solidarietà umana e senza dimenticare che »i malumori che la legge Crispi suscitò in molti ambienti cattolici non sono ancora de

l tutto dissipati [...] una legge che [...] limitò molte di tali istituzioni, ne ostacolò gli sviluppi, frenò iniziative ed assopì energie benefiche .

Nello schema che l'on.le Terranova proponeva (dopo un excursus sul significato religioso e sovrannaturale della carità) la beneficenza pubblica teneva soltanto il terzo posto, dopo quella totalmente privata e quella sostenuta dallo stato. La questione venne risolta con la presentazione di un testo emendato, alla cui redazione parteciparono: Laconi (PCI), Cevolotto (demo-laburista), Targetti (PSI), Moro e Taviani (DC). In tale testo l'originario »predisposti ed integrati diventava »predisposti od integrati (secondo la precisa richiesta proveniente dalla DC) ed in più veniva aggiunto il comma: »L'assistenza privata è libera . Entrambe queste modificazioni entravano nel testo costituzionale definitivo.

Va in particolare ricordato che l'on.le Foa, che aveva presentato un emendamento per togliere l'»integrati , poi lo ritirò e che i repubblicani Camangi e Zuccarini (con maggiore precisione il primo) proponevano che alla organizzazione e gestione della previdenza e dell'assistenza dovessero partecipare i lavoratori direttamente interessati; o quanto meno tali settori dovevano essere assoggettati ad un loro controllo. Nessuno li seguì su questa strada, anche perché lo schema era delineato nell'ambito di una concezione strettamente privatistica; soltanto Di Vittorio mostrò di apprezzare il valore della loro proposta e dichiarò che votava l'emendamento Laconi intendendo affermare che i lavoratori dovevano partecipare alle gestione dei servizi di previdenza e assistenza sociale, in via diretta, con rappresentanti democraticamente eletti. La devoluzione della materia della beneficenza e dell'assistenza alle regioni (art. 117 della costituzione) non dette praticamente luogo a dibattito, né in sede di commissione de

i 75 (2ª sottocommissione) né in sede di discussione assembleare; furono avanzate soltanto parziali riserve, dovute però o a motivi antiregionalistici o a ragioni tecniche particolari (9). Altre osservazioni comunque vengono spontanee seguendo i lavori della Costituente, soprattutto quando si legge che i cattolici accettano, anzi essi stessi impostano, per bocca dell'on.le Togni (nella 3ª sottocommissione) il quadro dell'assistenza come diritto e non come »discrezionalità più o meno patetica di beneficenza e carità , condividono il principio che alle situazioni determinate da particolari esigenze di carenza economica deve corrispondere la collettività: in un dibattito politico, ispirato dalla particolare tensione del momento storico in cui esso aveva luogo, le sollecitazioni di una modernizzazione di certe aspirazioni sociali investono il partito della democrazia cristiana; essa però, come si è visto, non riesce a sradicarsi dai suoi fondamenti conservatori.

Si gettano così delle premesse che, se all'epoca potevano rivelarsi come istintivi tentativi di salvaguardia di vecchie e consolidate situazioni in una condizione politica che sembrava caratterizzata da un dinamismo accentuato, dopo un ventennio e più di monolitica gestione del potere da parte della DC si svolgeranno in una direzione decisamente trasformistica; nel momento in cui diventerà chiaro che i grandi problemi dello stato assistenziale non possono essere affrontati puramente e semplicemente con la S. Vincenzo de' paoli o con i Fatebenefratelli, non si scarterà a priori l'idea di una razionalizzazione del sistema assistenziale; sempreché si riesca a definire e salvaguardare il nuovo ruolo degli enti religiosi e delle opere pie, e sempre colla riserva comunque, che ove ci sia una possibilità di rinvio, di diluizione nel tempo, l'occasione non deve essere mancata. A sinistra viceversa manca una consapevolezza di questi problemi e si è piuttosto portati a sottolineare la nuova unità di intenti e volontà

di collaborazione da parte di tutte le forze popolari uscite dalla Resistenza, il superamento dello stato borghese, il definitivo abbattimento di storici steccati, l'accantonamento dell'anticlericalismo...

Dal 1945 ad oggi molte centinaia di leggi in materia di assistenza sono state varate, tutti provvedimenti a carattere parziale attraverso con i quali, in ogni modo, è stato portato fino alle sue estreme implicazioni il carattere corporativo del sistema mutualistico-assistenziale pubblico, fatto di provvidenze per settori e per categorie e di interventi necessitati; parallelamente si è venuto precisando il ruolo dello stato e degli enti parastatali, rispetto agli istituti privati, cioè una sempre più ampia strumentazione dei bilanci pubblici per finanziamenti sempre più cospicui e continuativi in favore di opere assistenziali, organizzazioni sanitarie, scuole, sodalizi di beneficenza, talora con specifiche leggi di autorizzazione, talaltra mediante semplici stanziamenti in appositi capitoli dei bilanci ministeriali (in aperto contrasto con l'art. 81 della costituzione) molto spesso attraverso il concreto operare delle gestioni amministrative (ad esempio le convenzioni degli enti mutualistici con le case di cu

ra, di ricovero, le colonie o i rapporti con l'industria farmaceutica) (10).

Calcolare la spesa o per dire meglio l'onere che la collettività nazionale sopporta per la previdenza e l'assistenza è assolutamente impossibile; soltanto un lungo lavoro da parte di un'équipe specializzata potrebbe cominciare a fornire dei dati significativi; è chiaro comunque che ove si considerino le erogazioni dello stato e degli enti previdenziali (INPS, INAM, INAIL...), dirette e indirette, ci si muove nell'ordine di molte migliaia di miliardi, soprattutto ove si considerino anche gli oneri pensionistici. Anche a volersi limitare alle erogazioni legate al bilancio dello stato, i soli bilanci del Tesoro e del Lavoro superano i duemila miliardi; ai fini della presente indagine queste cifre astronomiche hanno comunque un valore molto relativo e indiretto (1150 miliardi ad esempio li vediamo assorbiti di colpo dalle pensioni di guerra e dal contributo all'INPS per il »Fondo sociale ). La difficoltà di fornire dei dati sta spesso nella individuazione delle »voci di bilancio che possono interessare. Prendia

mo ad esempio il capitolo 6047 (bilancio del 1971) del Ministero del Tesoro; vi sono stanziati oltre 26 miliardi per »Annualità di rimborso dei certificati di credito emessi per il finanziamento di interventi nel campo sociale ; tale spesa è definita obbligatoria, ma nessuna legge è citata a giustificazione dello stanziamento; con identica motivazione il capitolo 2813 stanzia ancora 31 miliardi, mentre il successivo capitolo 2814 prevede una spesa di 32 miliardi e mezzi per »interessi e spese sui mutui contratti con il Consorzio di credito per le opere pubbliche per la copertura degli oneri derivanti dalla revisione degli ordinamenti pensionistici e dalle norme in materia di sicurezza sociale ai sensi della legge 153 del 1969 . E ancora il capitolo 2712, sempre del bilancio 1971 del Tesoro: 120 milioni per spese assistenziali di carattere riservato (senza legge che autorizzi tale spesa).

Non ripetiamo qui gli interrogativi che già ci siamo posti nel primo articolo su »La roba clericale , comparso sul n. 1 di questa rivista, relativi a stanziamenti del bilancio statale, ai quali facciano tout court espresso rinvio, ma riteniamo ad esempio che prima di concludere qualsiasi discorso in materia di riforma assistenziale e sanitaria occorrerebbe conoscere (ad esempio attraverso le registrazioni della Corte dei conti) le esatte destinazioni degli oltre 70 miliardi di cui il Ministero dell'Interno dispone per interventi assistenziali (capitoli 2343, 2344, 2481, 2482, 2483, 2484, 2485, 2489, 2492, 2496, 2498, 2500, 2502, 2503, 2504, 2505, 2507, 2508, 2529, 2530, 2531, 2591) nonché i rendiconti della gestione di altri 31 miliardi assegnati agli enti Comunali di assistenza e ai Comitati provinciali di assistenza e beneficenza, senza dimenticare i 30 miliardi circa che la Pubblica Istruzione eroga a privati (di essi 24 sono per asili e scuole non statali, in barba all'art. 33 della Costituzione che escl

ude oneri a carico dello stato per scuole e istituti di educazione privati); i capitoli interessati del bilancio della P.I. sono comunque i seguenti: 1321, 1322, 1433, 1436, 1437, 2242, 2282, 2301, 2321, 2322, 2564, 2565, 2566.

Le possibilità di impegno di spesa sui detti capitoli sono spesso amplissime, in assenza di precise disposizioni e di formulazioni normative in molti casi estese e sfumate; talora per interi capitoli o parte di essi mancano le leggi che giustificano gli stanziamenti e le somme sono attribuite alla competenza ministeriale in relazione alle finalità di carattere generale che un determinato settore dell'Amministrazione deve perseguire istituzionalmente; non sono infrequenti gli storni. Sovente la stessa Corte dei conti non riesce a conoscere al di là di sigle e denominazioni chi siano in realtà gli enti destinatari delle assegnazioni, né tanto meno poi come questi enti impieghino i fondi erogati in loro favore. Il Ministero dell'Interno, ad esempio, è restio a fornire qualsivoglia dato all'organo di controllo, ed è in questo atteggiamento opportunamente aiutato da disposizioni di legge e di bilancio che gli riconoscono una discrezionalità estremamente ampia.

La Corte dei conti - per quanto concerne la sola e famosa Amministrazione per le Attività Assistenziali Italiane e Internazionali (ex Amministrazione per gli Aiuti Internazionali - AAI) - riesce al massimo a controllare la gestione del personale e le erogazioni provenienti in senso stretto dal Bilancio del Ministero dell'Interno, e molto a stento; ma su tutto il complesso della gestione, che è forte di molte altre entrate, nessun controllo viene esercitato (e d'altro canto, se un controllo si fosse voluto, sarebbe stato inutile creare un ente "ad hoc", così come inutile sarebbe stato creare tutti gli altri enti pubblici, con giustificazioni più o meno tecniche, tutte comunque poco credibili; sarebbe stato sufficiente riformare convenientemente la vecchia legge sulla contabilità dello stato e prevedere un controllo della Corte dei conti volto non tanto a far perdere tempo alle Amministrazioni - e a costituire in realtà un paravento per le loro responsabilità - quanto sostanzialmente a rendere possibile una pi

ena e chiara informazione per il parlamento e l'opinione pubblica, senza alcuna pretesa repressiva o pseudorepressiva). La potenza dell'AAI comunque è tale che nel 1964 essa ha potuto presentare al Parlamento - in annesso al bilancio di previsione del Ministero dell'Interno (11) - una relazione sulle proprie attività nella quale non figura alcun preventivo o consuntivo e si fornisce una sola cifra relativa alle erogazioni effettuate: circa 11 miliardi, senza neanche dire quali spese si effettuavano per le sue molteplici altre attività (12).

Diventa a questo punto importante cercare di farsi un'idea almeno approssimativa sulla consistenza delle strutture assistenziali in Italia. E' anche questa una impresa disperata, al punto che gli stessi ambienti confessionali più avveduti avvertono essi stessi l'esigenza di un po' di ordine in una sistema cresciuto su sé stesso, sotto la spinta di interessi particolari, di esigenze elettoralistiche, di necessità contingenti e disparate. I dati sulla situazione attuale sono pertanto quanto mai incerti e la domanda quanti siano gli enti, gli istituti, le associazioni che si occupano di assistenza è destinata a rimanere pressoché senza risposta. Dalla relazione al Parlamento della Corte dei conti (1968) risulta che il Ministero dell'Interno esplica la sua vigilanza su circa 23.000 enti; ma ad esempio la relazione al piano 1965/70 parlava di circa 40.000 enti complessivamente. Il dossier redatto dalla Comunità ecclesiale romana (da cui abbiamo stralciato già parecchi dati) rilevava poi che su 4500 istituti assis

tenziali per l'infanzia in Italia, 3000 sono di proprietà di organizzazioni religiose, di cui 300 operano nella sola Roma e che la scuola materna delle suore ospita già 1.300.000 bambini, mentre quella statale può ospitarne circa 70.000.

Secondo dati forniti dal Ministero dell'Interno invece le cifre sarebbero meno preoccupanti. In tutto gli istituti assistenziali sarebbero un po' meno di 23.000, ivi compresi 8.052 enti comunali di assistenza (uno per comune); gli enti assistenziali privati poi sarebbero 12.284, una cifra molto vicina a quella data dalla POA per gli enti che alla stessa fanno capo (vedi quadro fornito a parte). Il Ministero dell'Interno conta poi nella cifra indicata 16.000 asili infantili, che però a suo dire non dovrebbero essere classificati come enti assistenziali, in quanto, pur conservando caratteristiche di istituti di assistenza e beneficenza, dovrebbero però più correttamente rientrare tra gli enti operanti nell'orbita della scuola, in quanto concorrono a realizzare la finalità sociale dell'educazione e dell'istruzione della popolazione minorile.

Tolti gli Enti comunali di assistenza e gli asili infantili. resterebbero circa 8000 enti, di cui nemmeno 3500 privati, da considerare come assistenziali in senso proprio: ricovero e mantenimento di minori, adulti inabili e vecchi centri vari di ospitalità. E' chiaro che non vengono quindi considerati tutti gli enti ospedalieri, le case di cura e simili; le istituzioni scolastiche, che poi fungono anche da enti assistenziali, le case gli istituti i centri facenti capo a ordini religiosi o parrocchie. In apposito quadro riportiamo anche dei dati desunti da annuari statistici dell'Istat.

L'Unione Italiana per la promozione dei Diritti del Minore, in un Bollettino del giugno 1969, ha compiuto un meritorio lavoro di indagine su molti aspetti delle strutture assistenziali italiane; secondo l'Unione, gli Enti assistenziali pubblici sarebbero oltre 40.000 (32.000 o poco più sono già costituiti, in ragione di uno per ognuno degli 8000 comuni, dagli ECA, dagli assessorati comunali di assistenza, dai Comitati di patronato scolastico, e dai Comitati Comunali ONMI) e le istituzioni private oltre 20.000. Va comunque rilevato che cifre dell'ordine di quelle indicate sono accettate da parte cattolica, anche se, come vedremo più avanti, con opportune considerazioni e motivazioni. In realtà si tratta di un settore in cui si naviga completamente nel buio, così come accade anche per ogni calcolo relativo al numero degli assistiti, dei periodi cui l'assistenza si riferisce, del tipo di prestazioni ricevute, dei ricoveri ecc. ecc.

Da un'indagine compiuta dall'Assemblea ecclesiale romana

Fanno capo alla pontificia opera di assistenza (POA) - secondo dati riferentisi al 1965, n. 13.027 enti, così classificabili:

Natura degli enti:

Enti di assistenza generica 1870

Enti di assistenza sanitaria senza ricovero 225

Enti di assistenza all'infanzia senza ricovero 7786

Enti di ass. all'infanzia e alla gioventù con ricovero 3641

Enti di assistenza ad adulti e vecchi con ricovero 460

Enti di assistenza sanitaria in istituti di ricovero 197

Riconoscimento civile

Hanno riconoscimento civile 3969

Non hanno riconoscimento civile 4661

Non indicato 4397

Riconoscimento canonico

Hanno riconoscimento canonico 8324

Non hanno riconoscimento canonico 4661

(dati desunti da »Le istituzioni caritative e assistenziali - POA - 1965)

Gli istituti per bambini anormali in Italia

Dal volume dello stesso titolo, a cura della Lega italiana di igiene e profilassi mentale - Sezione lombarda, abbiamo tratto ed elaborato alcuni dati rifondendoli nel seguente schema:

Regioni Numero privati

istituti pubblici religiosi o incerti

Piemonte 19 3 13 3

Valle d'Aosta - - - -

Lombardia 54 4 38 12

Liguria 16 3 11 2

3 Venezie 24 1 21 2

Emilia 16 2 6 8

Toscana 14 1 13 2

Marche 8 2 4 2

Umbria 2 - 2 -

Lazio 8 - 5 3

Abruzzi 1 - 1 -

Molise - - - -

Campania 7 - - 7

Puglie 4 - 1 3

Basilicata - - - -

Calabria 3 - 2 1

Sicilia 4 - 3 1

Sardegna 5 - 5 -

Si sono considerati religiosi gli istituti che richiedono il certificato di battesimo, o sono retti da religiosi, o hanno personale tutto religioso. Su 185 istituti 125 sono religiosi e 46 privati laici o incerti.

Dal suddetto volume si ricavano anche altri dati interessanti.

Le rette sono in genere comprese tra le 1000 e le 2000 lire al giorno; rare quelle sulle tremila; un paio sulle 4000 e uno (a Eboli) 1. 7000. I posti vanno da poche decine a parecchie centinaia, come è il caso di quasi tutti quelli della Campania e Puglie (dove ce n'è uno per 1300 posti). Il grosso comunque, specialmente al nord, ospita meno di sessanta-settanta ragazzi; molti comunque sono anche quelli tra i cento e i duecento.

Il volume contiene infine pubblicità per 18 prodotti farmaceutici, di cui 12 psicofarmaci.

Dall'Annuario statistico dell'Assistenza e della Previdenza sociale - 1968

(Istat - Roma 1970) (dati 1967)

Istituti privati di recezione diurna di minori 9845 di cui

riconosciuti per la legge del 1890 2113

non riconosciuti per la legge del 1890 1906

di enti religiosi riconosciuti in base al concordato 2872

di enti religiosi non riconosciuti in base al concordato 2954

concordato

Brefotrofi 104

Orfanotrofi 881

Minori poveri o abbandonati 356

Anormali sensoriali 97

Minorati fisici 23

Minorati psichici 96

Vecchi indigenti 1808

Altri ricoverati 353

Con varie categorie di assistiti 1848

Colonie estive con pernottamento POA e Enti religiosi 918

Colonie estive con pernottamento Centro ital. femminile 190

Colonie estive con pernottamento altri (esclusi Comuni,

patronati, ECA) 824

Colonie estive diurne POA e enti religiosi 189

Colonie estive diurne CIF 73

Colonie estive diurne altri (esclusi c.s.) 96

Dall'annuario di statistica sanitaria 1968 - (Istat-Roma-1971)

Ospedali, sanatori, ospedali

neuropsichiatrici pubblici 1392 (dati 1968)

Ospedali, sanatori, ospedali

neuropsichiatrici privati 1022 (dati 1968)

N.B.: Nel 1967 di fronte a 9845 »asili privati ce n'erano 6875 pubblici; i corrispondenti dati per il 1965 erano 9452 privati e 7301 pubblici. Le colonie comunali, ECA, e patronati erano in tutto 434. Per le altre categorie di enti assistenziali non ci sono indicazioni separate per quelli pubblici e quelli privati.

Note

(1) Parte 2ª: Le azioni programmatiche; programma 1971-75. pp. 9 e segg.

(2) La cifra, come quelle che seguono, si riferisce a lire dell'epoca; per riportarsi valori attuali occorre moltiplicare per 1000/1300 volte e considerare che l'economia aveva allora un carattere assai arretrato, agricolo, poco monetario.

(3) Quando ci si occupa di questioni istituzionali riferentisi al secolo passato, occorre fare bene attenzione a non incorrere in errori di valutazione in ragione della terminologia usata, che ha portata diversa da quella attuale. »Pubbliche istituzioni erano allora tutte le associazioni e fondazioni che svolgevano la loro attività per il pubblico (non cioè nell'ambito di cerchie determinate di persone, di famiglie o gruppi di famiglie bene individuati); si trattava cioè di istituti che oggi sarebbero considerati nella maggior parte di natura privatistica. Attualmente, infatti, per l'influenza anche del c.d. positivismo giuridico nell'evoluzione del diritto amministrativo, l'accezione del termine »pubblico è assai più ristretta e vale ad individuare organismi sostanzialmente inseriti nelle amministrazioni statali, parastatali, di enti locali. Interpretare pertanto la legge Crispi secondo metri attuali equivale a conferirle una portata enormemente più limitata di quella che in effetti essa voleva avere e re

nde assolutamente incomprensibili i motivi delle polemiche e delle opposizioni che a suo tempo suscitò.

(4) Vedi la voce »Opere pie nel Nuovissimo digesto italiano, Torino 1965, vol. XI, p. 1013.

(5) La voce »Opere pie nel Digesto italiano del 1907 (un vero trattato di 250 pagine formato 1/4) registra, dopo l'entrata in vigore della legge del 1890, concentrazioni e raggruppamenti interessanti circa 5000 opere; tali mutamenti avevano però riguardo soltanto a mutamenti nell'ordinamento amministrativo degli istituti (attuazione di un »regime pubblicistico di gestione). Le vere trasformazioni, cioè le riforme interessanti lo scopo, con esplicazione di reali ingerenze eversive, colpirono un migliaio di enti, con reddito complessivo di circa un milione (si trattò, nella massa, di piccoli enti).

Dalla citata voce si ricava anche che fino al 1903 erano sorti numerosi nuovi istituti assistenziali, ed in particolare 103 ospedali, 440 asili infantili, 115 ricoveri di mendicità (queste le categorie più numerose); le nuove istituzioni di beneficenza furono 30 e quelle di culto solamente 3.

La voce »Opere pie del Nuovo digesto italiano del 1939 (ridotta a una cinquantina di pagine) e quella del nuovissimo digesto italiano del 1965 (in tutto circa venti pagine) trattano di fusioni e raggruppamenti, concentrazioni e trasformazioni come astratte figure giuridiche, senza alcun riferimento a statistiche circa l'attività amministrativa al riguardo, ormai ovviamente inesistente.

(6) Verbali dei lavori della Costituente. 1ª sottocommissione, pag. 356 segg.

(7) v. Atti Costituente, vol. IV p. 2965 e p. 3091.

(8) Per la parte innanzi esposte v.: Lavori della Costituente - Commissione dei 75; 3ª sottocommissione, pp. 20 sgg.

(9) Può essere interessante ricordare le motivazioni con le quali da parte cattolica - per bocca dell'on.le Piccioni - fu motivato il regionalismo; vi si ritrova in pieno l'eco di antiche polemiche giusnaturalistiche contro lo stato che, travalicando i limiti che gli sono propri, vuole sopraffare nuclei e organismi »naturali , la cui esistenza è anteriore a quella dello stato stesso, in primo luogo le regioni e i comuni. Da parte cattolica, di recente, il discorso è stato ripreso anche e specificamente per le istituzioni di natura caritativa, benefica e assistenziale.

(10) Quanto vale l'iscrizione di un medicinale nell'elenco delle specialità a totale o parziale carico dell'INAM?

(11) Vedi documento Senato della repubblica, 1964. n. 1343/7.

(12) Luigi Rodelli, segretario dell'Associazione per la libertà religiosa in Italia, nel saggio »Le strutture clericali (Dall'Oglio 1970) concorda nel ritenere che l'assistenza è il vero pilastro del regime clericale e che dei 700 miliardi che egli stima che lo stato destina ogni anno all'assistenza, una grossa aliquota prende la via delle casse degli istituti religiosi.

 
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