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Coletti Alessandro - 31 gennaio 1972
Col pretesto della criminalità
di Alessandro Coletti

SOMMARIO: Gli allarmati sermoni dei Procuratori Generali sono accomunati dal tema della necessità di contrapporre una più drastica repressione all'aumento della criminalità. Ma i termini in cui si è parlato di aumento della criminalità non sono corretti: bisogna infatti considerare la tendenzialità dell'andamento. Se è vero che il settore dei delitti contro la proprietà è aumentato, anche in relazione alla trasformazione economica della nostra società, gli omicidi, le estorsioni, i reati sessuali sono percentualmente diminuiti. La "criminalità dilagante" è sempre stato uno dei temi di fondo di qualsiasi campagna condotta dallo schieramento conservatore nel tentativo di correggere il senso autoritario una formula di governo giudicata troppo sbilanciata a sinistra. La strategia dell'allarmismo mira a condizionare l'opinione pubblica anche se le forme di repressione si fanno più sottili moderne ed efficienti.

(LA PROVA RADICALE N.2, BENIAMINO CARUCCI EDITORE, Inverno 1972)

Le inaugurazioni dell'anno giudiziario, nella prima metà del gennaio scorso, sono state caratterizzate dagli allarmati sermoni dei procuratori Generali accomunati dal tema: necessità di contrapporre una più drastica repressione all'impressionante aumento della criminalità.

A Roma, »capitale del crimine , il procuratore Generale della cassazione Ugo Guarnera, lamentando l'esautoramento della polizia giudiziaria e deprecando il politicizzarsi a sinistra dei giudici, suggerisce: »Per porre rimedio a questo male, estremo limite cui giunge non solo nel nostro paese una umanità paga soltanto dell'oggi, negatrice dei valori universali e perenni (...) mi sembra necessario applicare con maggiore severità le pene, rinunziare ad elargire amnistie, potenziare quanto è possibile la polizia .

Sullo stesso tono, tranne l'intervento di Bianchi D'Espinosa a Milano, i pronunciamenti degli altri procuratori Generali, incentratisi a Napoli sul dilagare della delinquenza organizzata, a Genova sull'encomio alle forze dell'ordine giustamente severe, a Palermo, Venezia, Cagliari su una generale levata di scudi a favore della repressione. Ripetuti "ad abundantiam", naturalmente, i dati responsabili di tanto allarmismo, quelli che starebbero a comprovare il preoccupante moltiplicarsi della delinquenza italiana. Nel periodo 1· luglio 1970, 30 giugno 1971 sono stati denunciati 993.604 delitti: 102.132 in più rispetto all'anno precedente, con un incremento dell'11,4 per cento. In particolare i reati contro il patrimonio sono saliti da 456.248 a 577.144, il 22% in più; le rapine, estorsioni e sequestri di persona da 2752 a 3482. Gli omicidi infine sono aumentati del 7,1%.

Cifre esatte, il cui significato va però ampiamente ridimensionato considerato il valore del tutto relativo di comparazioni statistiche che prendano in esame periodi di tempo così ravvicinati. Non è corretto cioè parlare di aumento della criminalità, nei termini in cui il fenomeno è stato presentato, per il solo fatto che i dati odierni risultano eccedenti rispetto a quelli dell'anno precedente. E' la tendenzialità dell'andamento che conta e questo, considerato relativamente ad un più ampio arco temporale, non giustifica affatto l'attuale interessato pessimismo.

Recenti statistiche elaborate dall'ISTAT e studi della direzione generale di Pubblica Sicurezza dimostrano del resto che rispetto a quaranta anni fa tutti i reati sono in diminuzione, ad eccezione dei furti, per i quali esiste oggi in Italia una tendenza all'aumento rilevabile anche negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, nella Repubblica Federale, in Francia. Nel 1930, quando la popolazione italiana contava quaranta milioni di unità, le rapine, le estorsioni, i sequestri di persone erano 6 per ogni centomila abitanti, nel 1970, con una popolazione di circa 54 milioni di unità, il rapporto è ridotto a 5.7.

Il regresso della criminalità assume dimensioni vistose soprattutto per gli omicidi ed i reati sessuali. La diminuzione degli omicidi è assai più rilevante: da 4.9 per ogni centomila abitanti sono scesi a 2.1 con un calo del 57%. E' migliorata inoltre la situazione dei reati contro la moralità ed il buon costume e di quelli sessuali: da 27.51 per ogni centomila abitanti nel 1930 essi sono diminuiti nel 1970 a 17.59, vale a dire il 36.06% in meno. Esaminando la tabella relativa all'andamento della criminalità negli ultimi quarant'anni si nota a prima vista, anche considerando i soli valori assoluti, la tendenza alla decrescenza delle categorie di reati più significativi. Un fenomeno tanto più notevole se si tien conto che contemporaneamente la popolazione è aumentata di 14 milioni di unità. In percentuale la diminuzione del fenomeno criminoso risulterà dunque ancor più evidente.

GIUSTIZIA PENALE E CRIMINALITA'

Reati oggetto di un primo provvedimento da parte dell'Autorità giudiziaria

Omicidi Delitti contro Rapine

ANNI volontari la moralità Furti estorsioni

preterint.li pubblica e il e sequestri

e infanticidi buon costume di persona

1931 2.260 13.858 205.781 2.623

36 1.779 7.880 241.630 1.623

1941 924 5.689 232.103 975

46 6.352 6.715 674.775 18.382

1951 2.380 7.671 271.588 3.753

56 1.748 7.946 247.240 2.752

1961 1.610 10.781 314.614 3.293

65 1.355 9.640 360.245 2.866

Il settore dei delitti contro la proprietà è aumentato, anche qualitativamente in questo campo, in relazione alla trasformazione economica operatasi nella nostra società; la vecchia delinquenza grossolana ed artigianale si è data una veste di raffinato ed assai più efficiente tecnicismo. Preoccupazioni e ricerche di rimedi non sono allora fuori di luogo purché le une e le altre prospettate da un'angolazione diversa dall'usuale. Di per sé stesso funzionale solo ad operazioni repressive, l'allarmismo va infatti corretto nella consapevolezza che questo tipo di criminalità è in aumento non perché la collettività, priva della guida autoritaria dello Stato, abbia smarrito la via del giusto vivere sociale, ma in quanto spia delle drammatiche contraddizioni oggi esistenti nella nostra società. Lo sviluppo della società consumista ha moltiplicato negli individui le aspettative sulle porzioni di un'opulenza assurta a simbolo, ma il meccanismo socioeconomico capitalista non garantisce a tutti gli strumenti ed i beni pe

r soddisfare i bisogni sollecitati. L'irritazione dell'escluso - come pure la diseducazione sociale del »ladro per vizio - crescono proporzionalmente al perpetuarsi dell'ingiustizia classista. E salgono di pari passo gli indici statistici degli attentati alla proprietà.

Escluso comunque questo particolare settore, le statistiche relative alle »voci tipiche del fenomeno criminoso - omicidi, estorsioni, rapine, reati sessuali - contraddicono l'allarmismo dei corifei reazionari, si levi esso da Montecitorio, dalle aule giudiziarie o dalle colonne dei giornali benpensanti. Il fatto è che quello della »criminalità dilagante è sempre stato uno dei temi di fondo di qualsiasi campagna condotta dallo schieramento conservatore nel tentativo di correggere in senso autoritario una formula di governo giudicata troppo sbilanciata a sinistra.

In questo clima il delitto del marito cornificato, lo scippo alla vecchia, la casa squillo col semaforo divengono anch'esse altrettante occasioni per severe reprimende a una pubblica autorità talmente compromessa nella ricerca di equilibri più avanzati da trascurare il deplorevole stato di abbandono in cui verserebbe la sicurezza del cittadino. Dalla stampa benpensante all'intervento del promotore di comitati di salute pubblica è tutta una girandola di pistolotti a scorza moralistica ma sostanzialmente di una precisa connotazione politica. Da qualunque pretesto l'adirata critica prenda le mosse, sempre questo è l'assunto che vuol dimostrare: abbandonata al proprio libero arbitrio e incoraggiata nella sua rilassatezza morale, la popolazione non può sfuggire ai malanni verso i quali la sospingono teorie politiche che, sotto l'etichetta della giusta rivoluzione sociale, contrabbandano il propellente per lo scatenarsi della violenza a livello individuale e di massa. Non è vero del resto che i »sovversivi hanno

tutto l'interesse a veder intaccata, anche attraverso l'aumento della criminalità, la pacifica laboriosità dello Stato borghese in nome del »tanto peggio tanto meglio ? Denunciate dal sistematico stravolgimento delle regole sulle quali dovrebbe basarsi la convivenza sociale, si ripete, aumento della delinquenza e diminuita efficienza della pubblica autorità vanno di pari passo. All'allarmismo si accomuna il rimprovero agli organi dello Stato, incapaci di contrastare il passo alla delinquenza: il parlamento anzitutto, largo di mano in amnistie e troppo zelante nel denunciare l'impronta fascista dei codici; e accanto a lui il governo, che nella crisi della giustizia vede riflessa la crisi della propria autorità. In tanta deprecazione è implicito tra l'altro il malcelato desiderio di tornare a quel concetto di giurisdizione penale sistematicizzato dal fascismo come pugno di ferro contro ogni turbativa dell'ordine costituito. L'attuale leggero attenuarsi di questa concezione - e, proporzionalmente, la suaccennat

a diminuzione della criminalità stessa - ha portato nell'ultimo periodo ad una costante flessione della curva statistica relativa al numero complessivo dei condannati in giudizio. Come si rileva ad esempio dall'esame del quindicennio 1951-1961.

CONDANNATI

--------------------------------------------------

ANNI All'erga- Alla

stolo ed alla multa Totale

reclusione

1931 128.003 40.682 169.695

36 126.261 47.784 174.045

1941 81.087 21.899 102.986

46 114.541 60.910 175.451

1951 153.948 47.850 201.798

56 92.329 42.898 135.227

1961 85.352 34.907 120.259

65 71.487 30.709 102.196

Bisogna invece, affermano gli allarmisti, imprimere una correzione in ascesa alla curva, con una più intensa e severa opera di repressione. Altrimenti, ammoniscono, sarà il caos definitivo; e basta guardarsi intorno per rendersene conto.

La criminalità dilaga, le leggi si fanno sempre più demagogiche, la magistratura si politicizza e getta alle ortiche la sua indipendenza per abbracciare la causa dei sovversivi, ai sindacati ed alla sinistra in genere tutto è permesso. E intanto, dichiarava in una recente intervista l'ex ministro di Grazia e Giustizia Gonella, »e intanto continua il discredito della polizia dileggiata come reazionaria; continua l'oltraggio alla legge considerata come imposizione classista; continua l'apologia del reato intesa come libertà d'opinione; continua il disprezzo dell'ordine pubblico considerato come il bene illusorio di una società superata. Quante volte le forze di polizia chiamate per ricercare ladri o bloccare responsabili di rapine si dichiarano nell'impossibilità di agire essendo occupate per la tutela di quell'ordine pubblico dal quale le guardie rosse vorrebbero escluderle? . Dopo essersi dilungato sullo scadere dei valori morali nella nostra società, alla domanda: »ma moralità a parte, lei crede che una del

le ragioni del diffondersi della criminalità debba essere individuata in un certo tipo di propaganda che tenta di contrabbandare o quanto meno di giustificare il crimine come mezzo di rivolta sociale contro le ingiustizie sociali? , a questa domanda Gonella rispondeva: »Certamente. La quotidiana insistenza sulle ingiustizie sociali, la diffusione della dottrina secondo la quale ogni proprietà è un furto non possono non favorire i reati contro la proprietà, di cui l'omicidio spesso è solo un complemento .

Su questa stessa lunghezza d'onda si sono sintonizzate le dichiarazioni dei Procuratori Generali, cui prima accennavamo. Ecco allora che a Firenze Mario Calamari sintetizza il compito del magistrato nel »porre un argine alla ventata di anarchia che sta dilagando turbinosamente e che si concreta in un ostinato disprezzo della legge . Un argine che va posto attraverso la restaurazione dei valori morali di base: »questi valori, espressi in un linguaggio millenaristico, potrebbero essere così riassunti: Dio, patria, famiglia, ordine. Ordine soprattutto e prima di tutto .

Non diverso, a Torino il linguaggio del Procuratore Generale Colli: la situazione attuale è caratterizzata da »brutale criminalità, orrore, bestiali delitti, protervia degli autori , per cui »la lotta alla delinquenza assume il ruolo della politica sociale ... »Bisogna sgomberare il campo dalla favola dell'uomo buono rovinato dalla società ed operare per porre rimedio alla crisi della legalità, determinata anche »dalle pericolose remore nell'applicazione della legge nei conflitti di lavoro , dall'interpretazione evolutiva delle leggi, dai magistrati che strizzano l'occhio ai partiti di sinistra. Le lotte dei lavoratori, ha concluso Colli - ed è emersa la sua volontà di collegare lo sviluppo della lotta operaia all'aumento della criminalità - possono considerarsi in parte giustificate ma purtroppo ormai abitualmente degenerano in azioni eversive dell'ordine pubblico.

Risulta così evidente, già da questo primo approccio alla questione, il tentativo di screditare l'opposizione di estrema sinistra: è infatti assai più facile battere l'avversario politico associandolo al delinquente comune. Pur se palesemente contraddetto dalla realtà dei dati, lo schieramento politico conservatore e di destra usa la strategia della »criminalità dilagante come manovra a lungo raggio. Tutta una vecchia metodologia viene così rispolverata.

Non è una novità ogni qualvolta emergono nuovi fermenti civili e sociali i suoi avversari, tra gli altri rimedi, si servono dall'allarmismo che spaccia per vera la equazione: governo a sinistra=via libera ai criminali. Presentato come componente essenziale dell'incremento degli indici della delinquenza, l'»estremismo della sinistra può servire a giustificare presso l'opinione pubblica il ripristino del governo forte, i provvedimenti repressivi, le leggi speciali, gli stati di emergenza, inducendo parallelamente le masse più sprovvedute a simpatie ed adesioni nei confronti dei partiti dell'ordine. Una metodologia che emerge in tutti i momenti nodali nella storia politica dell'Italia moderna; abbondantemente sperimentata nel corso dei decenni, con così rare variazioni in tema di procedure da far apparire tra loro connessi per identità di struttura anche gli episodi più distanziati nel tempo. Di qui l'utilità di una rapida ricognizione dei momenti più significativi, al fine di una migliore interpretazione dei

fatti oggi in discussione.

Con l'ascesa della sinistra storica al potere, dopo la »rivoluzione parlamentare del 1876, si fanno più pesanti i maneggi della reazione che, reclamando maggior durezza nei confronti dell'opposizione politica, non lesina i rimproveri allo stesso ministro dell'Interno Zanardelli, colpevole di tollerare il disordine ed il disgregarsi dello Stato. »Venuta la sinistra al potere - scrive nel marzo del 1879 "La Gazzetta d'Italia", portavoce dei più retrivi strati sociali fiorentini - si volle scherzare con le materie incandescenti che minacciavano una tremenda eruzione ed era naturale che questa avvenisse. Lo spaventevole aumento dei delitti e dei misfatti è un sintomo abbastanza evidente del pericolo in cui versa la società. Risponda l'on. Zanardelli e vedano i lettori a chi spetti la trista responsabilità dei fatti che funestano l'Italia . Gli organi dello Stato che non avevano visto di buon occhio il cedere della Destra alla Sinistra non ignoravano che per giungere ad una ristrutturazione in senso autoritario

della formula di governo era necessario indurre chi di dovere ad usare il pugno di ferro contro la sovversione politica, in nome della sacrosanta difesa della popolazione dalla delinquenza. Si moltiplicano allora gli episodi delittuosi, spesso precostituiti dalle stesse questure, per diffondere l'impressione di una recrudescenza della criminalità e per consentire al tempo stesso l'arresto su vasta scala dei sovversivi più attivi, specie gli affiliati all'Internazionale.

»L'Internazionale è una forma di quel morbo sociale la cui perniciosità si estende per ogni dove. Dal suo seno pullulano maldeterminate aspirazioni verso un ignoto avvenire ed a lei fanno capo spostati e delinquenti ("L'Opinione", 6-XI-1878). »Qual è l'ufficio del ministro dell'Interno, qual è l'ufficio, quale il dovere di una ben organizzata ed attiva polizia se non di prevenire i reati, di tenere a bada le classi pericolose, di mantenere la pubblica tranquillità? ("La Gazzetta d'Italia", 25-VI-1878). Su questo tono martellano instancabili gli editoriali della stampa conservatrice, per convincere la popolazione che gli organi di governo progressisti sono responsabili di lassismo, se non di larvata connivenza, nei confronti delle »classi pericolose . Per l'ideologia dominante dell'epoca il reato è difatti non tanto il prodotto dell'intera società quanto la caratteristica espressione spontanea delle classi sottoposte, per loro stessa natura ricettacolo di disordine e criminalità. Un concetto che stenta anco

r oggi a morire presso tanta parte dell'opinione pubblica benpensante e della magistratura. Composte per la maggior parte da coloro che dalla rivoluzione industriale avevano guadagnato solo il massimo asservimento, le classi del proletariato e del sottoproletariato costituivano in effetti una riserva di rancore e scontento facili a trasformarsi in rivolta verso quel tipo di ordine costituito man mano che venivano acquistando coscienza politica. Di qui il vecchio esorcismo che le dipinge come razza a parte, avvezza a vivere violando i princìpi di civile convivenza di una società ben ordinata.

Con la svolta autoritaria giustificata dalla necessità di reprimere e prevenire il »disordine - vale a dire le rivendicazioni, popolari - ed i »delitti - cioè la ribellione delle classi sottoposte - il periodo crispino non fu meno spregiudicato dei precedenti nel colpire, col pretesto della lotta alla delinquenza stimolata dalla »criminalità sovversiva , gli avversari politici in un momento di rapido sviluppo per i fermenti democratici. Mentre i socialisti raccolgono adesioni sempre più vaste, la classe al potere prende le sue precauzioni: nel 1894 la politica di Crispi si volge a frenare con decisione l'avanzata delle organizzazioni e delle rivendicazioni proletarie con le tristemente note »leggi eccezionali a difesa dell'ordine pubblico. Quelle norme erano state disposte per bloccare la pretesa avanzata del crimine sovversivo ma in realtà la loro elasticità permise di interpretarle estensivamente contro i socialisti e le associazioni operaie. Grazie a loro Crispi poté operare centinaia di arresti tra so

cialisti e repubblicani, sciogliere circa duecento associazioni politiche sgradite al sistema, sospendere la maggiore parte delle loro pubblicazioni. Sempre per tutelare la popolazione dalla delinquenza! All'inizio del periodo fascista, con il vecchio Stato liberale posto in crisi dal crescente fermento delle rivendicazioni popolari, non era ignota agli uomini d'ordine l'importanza strategica di sfruttare al servizio della speculazione reazionaria l'allarmismo verso la criminalità. Mentre Mussolini si sforza di presentare in veste rispettabile il proprio partito, come gruppo d'ordine favorevole alla pace sociale e l'opinione pubblica, anche proletaria, resta disorientata dinanzi alla crisi materiale e morale della collettività, quella metodologia poteva efficacemente contribuire a spostare a destra l'ago politico della nazione. Anche dopo l'avvento del regime, il pretesto di frenare gli ultimi sussulti della criminalità ribelle - in seguito all'attentato bolognese contro Mussolini del 1926, organizzato da pr

ovocatori fascisti - farà varare quei provvedimenti legislativi che instauravano definitivamente, in tutta la sua durezza, la dittatura fascista. In questa contingenza si rivelò utilissimo l'allarmismo sulla precarietà della sicurezza pubblica dato che diversamente, in mancanza di pretesti plausibili, non senza pericolose reazioni si sarebbero potute sopprimere le libertà fondamentali dei cittadini.

L'opera »sanatrice del fascismo nei confronti della criminalità e del disordine culminerà dopo quattordici anni di regime nella riforma della legislazione penale e di polizia, a proposito della quale risulta in pieno la funzionalità per un potere costituito reazionario, o che voglia correggersi in tal senso, della strategia dell'allarmismo. L'alibi della difesa dalla delinquenza permise infatti di riformare in tutta tranquillità, e nel senso desiderato dai detentori del potere, quegli strumenti legislativi che sono usati tuttora per reprimere non tanto il delinquente comune quanto l'avversario politico. Presentando naturalmente come operazione di salute pubblica il rafforzamento dell'autorità statale a danno dei diritti civili dei cittadini.

»Il nuovo Codice penale - commenta nel 1936 un entusiasta esegeta della riforma - presenta caratteri similari a quelli del vecchio Codice Zanardelli ma, nella concezione di insieme e nella sua struttura fondamentalmente nuove, deriva dalla innovata dottrina dello Stato che aveva subito profonde trasformazioni politiche per il raggiungimento delle nuove mete. Non fa perciò meraviglia se da un sistema in cui si riconosce l'assoluta prevalenza dello Stato sull'individuo sia originato un inasprimento di pene che supera il criterio pietistico dell'individualismo liberale, contraddicendo alla concezione di uno Stato forte e sovrano e in contrasto col principio generale di autorità consacrato dal fascismo nelle sue istituzioni fin dai primi albori della sua vita... La nuova legge di pubblica sicurezza presenta poi i caratteri precisi ed inconfondibili di un codice del buon costume e dell'ordine pubblico, spiegando con le sue norme precise quella funzione di prevenzione che fu auspicata dai grandi maestri della scie

nza penale . Tanto illuminate riforme avevano bloccato la criminalità dilagante prima dell'avvento del regime, non si stancheranno di ripetere all'apogeo del loro potere gli organi fascisti, esibendo a prova inconfutabile quei dati statistici che ancor oggi i fautori della soluzione autoritaria citano a conferma del buongoverno di allora.

La nuova struttura politica assunta dalla nazione - questo in sostanza il succo di ogni rilievo in proposito - eliminando i motivi di controversia sociale aveva contribuito efficacemente a moralizzare ad ogni livello i rapporti umani. Esponendo i dati sui reati dal 1898 al 1929 l'Enciclopedia Italiana (ed. 1931) annota compiaciuta: »La serie complessiva dei reati denunciati presenta di triennio in triennio un movimento ascensionale continuo... L'aumento da triennio a triennio si aggira di solito attorno al 10% ma per alcuni periodi raggiunge percentuali molto maggiori, come per il 1896, 1899, 1920-1922, 1923-1925. Per spiegare tali eccessi occorre pensare alle agitazioni politiche e sociali del 1898 e del dopoguerra; la completa cessazione di esse ha beneficamente influito sull'andamento della delinquenza in questi ultimi tre anni che presentano, rispetto al 1926, una progressiva diminuzione che ammonta nel 1929 al 13% .

Una diminuzione sempre più clamorosa, man mano che il regime si rafforza: i dati relativi al periodo 1927-1939, gli anni d'oro del fascismo, mostrano per omicidi, rapine, sequestri, lesioni delle percentuali davvero stupefacenti. Per gli omicidi, dal 6,0 ogni centomila abitanti del 1927 si passa al 3,1 del 1939; per le lesioni dal 250 al 118; per rapine, estorsioni e sequestri dall'8,3 al 3.8. Percentuali addirittura dimezzate, nonostante il considerevole incremento della popolazione in quegli anni.

Un andamento talmente anomalo rispetto alle linee generali di tendenza - che inclinano sì alla diminuzione ma non in maniera tanto precipitosa - da suffragare i dubbi di quanti hanno denunciato l'abitudine degli organi fascisti a manipolare i dati statistici nella maniera più idonea a glorificare le loro operazioni di governo. In questo caso specifico si trattava di documentare i successi ottenuti dal regime nella moralizzazione pubblica: una bonifica sociale che aveva reclamato il rafforzarsi dell'autorità statale contro le velleità libertarie dei singoli e dei gruppi. Ma, cifre alla mano, ne era valsa la pena!

Col progressivo evolversi della coscienza civile della popolazione diviene però sempre più difficile, almeno in linea generale, far accettare passivamente l'equivalenza tra tensione sociale in atto ed aumento della criminalità. Cominciano infatti a chiarirsi le idee sulle responsabilità sociali collettive nei confronti del fenomeno delinquenziale e sui mezzi più idonei a porvi effettivo rimedio. Già nel 1951 un sondaggio d'opinione dell'istituto Doxa dava risultati abbastanza positivi. Alla domanda: "Quali sono secondo voi i motivi che contribuiscono maggiormente a spingere gli individui sulla via della delinquenza?" rispondevano:

Miseria 47,9%

Insuffic. educaz. relig. e fam. 15,1%

Smodata sete di divertimenti 12,6%

Cattiva influenza libri 0,8%

Abitudini di violenza contratte in guerra 17,2%

Altro o non so 6,4%

------

100.0%

Alla domanda: "Quali mezzi vi sembrano più idonei a stroncare la delinquenza in Italia?" rispondevano:

Migliorare le condiz. econom. del paese 60,8%

Grandi operazioni di polizia 29,6%

Crociata contro l'irreligiosità 8,3%

Censura a libri e films 1,3%

------

100.0%

Alta dunque la Percentuale di coloro che, individuata nella emarginazione economica la causa prima della criminalità, rifiutano come rimedio il mezzo repressivo o censorio. Ma di qui ad acquisire piena consapevolezza sulle responsabilità dell'attuale sistema socioeconomico nella perpetuazione di questa situazione ce ne corre. Persistono sempre, tenacissimi, specie nei settori dell'opinione pubblica più facilmente manipolabile, atteggiamenti e persuasioni di fondo sull'argomento pieni di contraddizioni. Soprattutto a questo livello operaio per strumentare a loro piacimento il potenziale reazionario insito in questi convincimenti condizionati, i persuasori del sistema. Dato infatti che per il buon esito dell'operazione è indispensabile creare nella gente la certezza che il criminale pulluli in proporzioni sempre più preoccupanti, un opportuno condizionamento da parte dei mass-media a larga incidenza sarà sufficiente ad orientare in questo senso un'opinione pubblica già di per sé stessa emotivamente suscettibil

e a riguardo.

Radio e televisione si sono occupate in questi ultimi tempi a più riprese del problema della criminalità: originali televisivi, inchieste a carattere giornalistico, ricostruzioni in studio. Ma anche in questa sede le debite demarcazioni ed i distinguo sui problemi di fondo, ineliminabili da un discorso che voglia onestamente affrontare tali tematiche, cedono il passo, sia pure in maniera meno becera che nella stampa di destra, al ben dosato allarmismo. »Omicidi, rapine, sequestri, furti: la gente comincia a preoccuparsi - informa la "Rivista Rai" in uno dei suoi ultimi numeri. - In Italia fino ad un anno fa non esisteva in maniera così violenta il problema della criminalità. Le statistiche di questi ultimi periodi invece danno adito al pessimismo. La criminalità si va espandendo .

Interpretabile addirittura alla stregua di un test, questo numero della "Rivista Rai" rivela abbastanza chiaramente la sistematica che guida la presentazione al pubblico di siffatti argomenti: lo stesso ordine di successione degli articoli risponde all'intento di inquadrare in una certa maniera, calibrandolo tra gli altri, il problema della criminalità, per farlo recepire solo nelle dimensioni e soprattutto dall'angolazione voluta. Dopo la premessa che il fascicolo è dedicato »al lavoro che la radio e la televisione svolgono per far conoscere al pubblico i problemi del nostro tempo si passa agli articoli: 1) »La criminalità in Italia e nel mondo ; 2) »La cronaca nera in TV ; 3) »I problemi morali della droga ; 4) »La tragedia di Eros ; 5) »Psicologia della prostituzione ; 6) »Sexservice: le artiste dell'angolo ; 7) »Crisi della famiglia e rivolta giovanile ... Presentati questi problemi come capitali per la società italiana, quelli sui quali la Rai-Tv si vanta di tener informato il suo pubblico, gli articol

i successivi sembrano suggerire i mezzi migliori per risolverli positivamente: il »colloquio anzitutto: 8) »Padri e figli si parlano dal teleschermo , poi altri miti consolatori: 9) »La religiosità dei giovani italiani ; 10) »Un desidero nuovo di fede . E solo prima di passare a smorzare i residui di tensioni nelle sofisticazioni alimentari e nell'ecologia compare un rapido accenno alle problematiche del lavoro, considerate dal solo punto di vista dell'emigrazione: 11) »Il canale della patria . Attraverso l'esposizione dei più triti luoghi comuni, il tema del »male morale del paese è artificiosamente strutturato in una dimensione moralistico-riduttiva. che ignora le radici prime delle effettive responsabilità e nel cui contesto il fenomeno della criminalità assume automaticamente le deformazioni volute dalla falsata prospettiva. più subdola perché meno apertamente retriva essa impone all'opinione pubblica la base di credibilità per le dichiarazioni sull'argomento che saranno poi espresse dalle fonti intere

ssate alla strumentalizzazione politica dei dati in senso reazionario.

Ecco a titolo di esempio, qualche »risposta del direttore dai settimanali Rusconi. »L'Italia che noi volevamo e vogliamo, serena e civile, sembra invece allevata alla scuola dei Moranino. Sparare ed uccidere sta diventando un passatempo: delinquenza comune e delinquenza politicizzata si mescolano. Che fare? Certo occorre che la polizia abbia il massimo di efficienza; occorre che la magistratura, la vera magistratura e non quella dei magistrati indegni che in congressi e convegni vogliono la giustizia di classe, e cioè comunista e cioè di persecuzione, condanni con severità . // »La criminalità dilaga e spadroneggia perché, di demagogia in demagogia, si è reso difficile e talvolta impossibile l'intervento delle autorità, perché la magistratura viene screditata da polemiche ingiuriose di gruppi politici e da un susseguirsi di denunce di complotti immaginari che sono una specialità delle menti socialcomuniste e perché l'autorità dello Stato in questi ultimi dieci anni è stata ridotta al lumicino // »C'è poi u

na triste realtà: da anni, ad opera di legislatori incauti si è creata l'insicurezza del diritto che è sempre causa di disordine nel paese. Questo disordine è chiamato adesso soluzioni avanzate. C'è inoltre un altro veleno nel paese: la permissività di tutte le lascivie, la corruzione, l'apologia delle depravazioni, l'ostentazione e quasi l'elogio nazionale delle depravazioni, la propaganda che fa credere che tutto ciò che è turpe sia lecito, perché è anch'esso un equilibrio più avanzato, hanno creato l'ambiente che protegge il malcostume ed incoraggia la criminalità // »L'italiano medio è stanco della dissoluzione della vita politica, degli scioperi incessanti, dell'aumento del costo della vita, del continuo aumento della delinquenza, delle aggressioni, delle rapine . Con progressiva eliminazione delle bardature retoriche e delle perifrasi moralistiche, la »risposta del direttore giunge alla cruda formulazione di quella che per la rivista (e tramite suo per i milioni di lettori che la leggono passivamente

assorbendone impostazione e tesi) è la causa prima del deteriorarsi della vita nazionale: »i sindacati occupano il paese, la magistratura è partigiana o pubblicamente minacciata, la polizia è impegnata dalle squadracce criminali politiche ed intanto la delinquenza imperversa .

Frustrato ed irritato dalle contraddizioni che sperimenta quotidianamente sulla sua pelle; sostanzialmente spoliticizzato per individuare correttamente la vera radice delle proprie insoddisfazioni; avvezzo a scaricare sul primo capro espiatorio offertogli le sue tensioni negative, l'uomo della strada cloroformizzato dalla società del benessere è pronto così alla metamorfosi in cassa di risonanza per gli slogans più convenienti ai detentori del potere: nel caso, »piena sottomissione a chi deve tutelare l'ordine e la sicurezza . Posto di fronte al »disordine ed alle »manifestazioni di violenza che il progredire dello scontro sociale inevitabilmente comporta, egli sarà facilmente manovrabile nel senso di riversare il proprio scontento su chi (»l'agitatore sociale ) gli è indicato come diretto responsabile del malessere pubblico ed individuale, come alleato del delinquente ormai annidato in ogni angolo buio. Lo stato d'animo più propizio all'attecchire dell'allarmismo che individui nelle debolezze demagogiche

del governo la radice dei tanti disagi del cittadino onesto che altro non chiede se non di essere lasciato in pace a farsi gli affari suoi.

La rispondenza che tale forma di allarmismo ha dimostrato di trovare nelle masse contraddice nettamente le affermazioni di quanti considerano ormai obsolete per l'Italia speculazioni politiche così grossolane, perché non più rispondenti alle esigenze di una società a capitalismo evoluto. Anche in Italia cioè, nella sua azione di persuasione e repressione, il sistema sarebbe giunto a gradi di raffinatezza incompatibili con gli strumenti di oppressione tipici di un meccanismo sociale semifeudale. Si direbbe invece che sia vero proprio il contrario.

Nel loro libro "Il carcere in Italia" Salierno e Ricci sintetizzano efficacemente questo concetto: »Il primo equivoco riguarda molto da vicino la falsa identificazione tra società più avanzate e la nostra, cioè tra sistemi tecnologici avanzati ed il nostro che lo è in modo parziale e discontinuo, presentando ancora aspetti tipici del protocapitalismo. A livello sociale e culturale ciò significa che la nostra realtà non è ancora unidimensionale caratterizzata da una tolleranza repressiva, ma è rimasta abbarbicata a tabù, costumi, abitudini, stereotipi e metodi repressivi di tipo medioevale che hanno ben poco in comune con i raffinati strumenti repressivi e le tecniche di controllo con cui le società tecnologicamente più avanzate amministrano il controllo sociale . Ben poco dunque è mutato rispetto al passato e nei confronti dei paesi a più limitato sviluppo socioeconomico. Sono ancora operanti da noi gli strati più rozzi della classe dirigente, che si richiamano ideologicamente al protocapitalismo, e rendono

difficili al massimo di conseguenza i tentativi di liberalizzazione - e parallelamente di maturazione - nella opinione pubblica.

Soprattutto a partire dal 1968, allo sviluppo dei movimenti di rivendicazione democratica è tornata a contrapporsi la tattica dell'allarmismo, in base a ritmi perfezionati in questi ultimi vent'anni mettendo a frutto la lezione fascista. Già all'avvento del centrosinistra le Cassandre della destra profetizzarono sciagure per il paese. Da allora, in un crescendo giunto a toni parossistici durante l'anno degli studenti e l'autunno caldo, la solfa si è mantenuta pressoché invariata, con rare fasi di stanca e più frequenti periodi di reviviscenza. Fino alla scorsa primavera quando il battage elettorale delle destre e dei moderati fu all'insegna del »bocciando le sinistre gli italiani contribuiranno anche a porre un freno al dilagare della criminalità . Un discorso efficace, a giudicare dai risultati ottenuti.

Tenuto però conto che le »prevaricazioni delle sinistre e degli extraparlamentari hanno assunto dimensioni notevoli solamente negli ultimi quattro o cinque anni, dovremmo trovar traccia nei dati statistici della lamentata contemporanea recrudescenza della criminalità. Al contrario, per i reati più significativi e determinati, omicidi, rapine, sequestri, estorsioni, l'andamento si mantiene stabile nella sua sia pur lieve tendenza a decrescere.

Rapine - Estorsioni

Anni Omicidi Sequestri

1961 1.610 3.293

1962 1.539 3.020

1963 1.481 2.850

1964 1.422 3.058

1965 1.355 2.866

1966 1.246 2.838

1967 1.359 2.934

1968 1.247 3.036

1969 1.076 2.745

1970 1.191 2.745

1971 (a giugno) 532 1.852

Ma la strategia dell'allarmismo non accenna a diminuire e mentre il condizionamento dell'opinione pubblica in tal senso permane a livelli grossolani, le forme di repressione messe in moto si fanno più sottili, moderne ed efficienti. In questi ultimi anni le strutture della polizia e dell'arma dei carabinieri sono state massicciamente potenziate all'insegna del computer contro il crimine, anche se non di rado i dispositivi ultramoderni per coordinare notizie ricerche ed operazioni contro i reati stanno a significare possibilità di più capillare repressione politica: il modernissimo quadro elettronico di cui è dotato lo studio del questore di Roma, in pratica, serve soltanto a controllare lo svolgimento delle manifestazioni politiche e dei cortei. Ecco perché si moltiplicano le richieste di rafforzamento degli organi per la tutela dell'ordine pubblico: occorrono strumenti di forza da poter validamente opporre alla »demagogia se questa, non contenta di aver contribuito all'aumento della delinquenza, avanzasse

più pesanti richieste.

Sono in fondo le stesse forze dell'ordine a farsi convinte propugnatrici dell'allarmismo per colpire le forze politiche che vorrebbero ridimensionarne in senso democratico le funzioni, prontamente appoggiate in questo dalla parte più retriva della magistratura e l'intonazione dei discorsi inaugurali dell'anno giudiziario, cui prima accennavamo, ne è stata eloquente conferma. Non a caso le manifestazioni più clamorose di dissenso da parte di gruppi di avvocati e magistrati si sono rivolte a quei procuratori pronti ad accomunare l'aumento di furti e scippi con quello delle agitazioni sociali.

All'Italsider di Taranto tra il 1961 ed il 1971 ci sono stati 265 morti e circa 100.000 feriti e si tratta solo dei casi di cui si è avuto notizia. Delitti certo più gravi dei reati contro il patrimonio ma che naturalmente non trovano posto nelle statistiche sulla criminalità.

 
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