di Gian Mario AlbaniSOMMARIO: L'11 febbraio ricorrerà l'anniversario dei Patti Lateranensi che, sorti come sostegno e copertura del fascismo, furono riconfermati, con un preciso riferimento nella Costituzione, anche nel nuovo Stato italiano. Oggi che viene rimessa in discussione la fine dell'imposizione per legge e "per concordato" dell'indissolubilità del matrimonio - che era stata introdotta dalla legge Fortuna - tramite la richiesta di un referendum abrogativo della legge stessa, noi invitiamo tutti, credenti e non credenti, ad un impegno civile senza comodi alibi astensionistici, ad affrontare a viso aperto la sfida. La prova del referendum deve essere utilizzata come momento di crescita civile e morale dell'intera nostra società per superare definitivamente il regime concordatario e per restaurare l'effettiva libertà religiosa e la sostanziale laicità dello Stato.
(NOTIZIE RADICALI N. 146, 1 febbraio 1972)
(Roma, 27 gennaio - Il sen. Albani, della Segreteria Nazionale della LIAC, ha inviato a tutti i componenti della presidenza e della segreteria della stessa LIAC una proposta di "appello-dichiarazione" da diffondersi e utilizzarsi in occasione del prossimo 11 febbraio. Ne riproduciamo qui di seguito il testo:)
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"La ricorrenza dell'11 febbraio viene ancora celebrata ufficialmente come una festa, a ricordo della "conciliazione" tra lo Stato fascista e la Chiesa cattolica con la firma dei "patti lateranensi" del 1929.
In realtà allora, una Chiesa ridotta da secoli ad essere "potenza", rinnegava ancora una volta la sua missione e il messaggio che le era stato affidato, per fare da sostegno e copertura al fascismo, allora in Italia, poi in Europa e nel mondo: alla "bestia" più disumana e anticristiana che la potenza del denaro, la violenza della superbia e dell'odio abbiano mai scatenato sulla faccia della terra.
Questa in sostanza è stata la "conciliazione": la sanzione normale di un "patto" che da secoli si rinnova tra i padroni del mondo, quelli di ieri e quelli di oggi, per opprimere e sfruttare, per discriminare e generare ingiustizia, per deformare le coscienze. Un tradimento e una vergogna quindi per i credenti che intendono vivere nel modo più autentico possibile la loro professione di fede, lasciando alle opere di mostrare la loro coerenza al messaggio cristiano, in una rinnovata comunità di fede, di speranza e di amore. Per quelli tra noi che così credono la "chiesa-potenza", con tutti i segni, gli strumenti, i privilegi e le intolleranze del suo potere, deve quindi morire, se vuole risorgere con il suo fondatore.
Ma i "patti lateranensi " del 1929 sono stati riconfermati - con un preciso riferimento nella Costituzione - anche nel nuovo Stato Italiano che nasceva dalla fine e dalla resistenza al Fascismo, che si richiamava alla democrazia, ai valori della giustizia e della libertà, alla sostanziale uguaglianza di tutti i cittadini, senza discriminazioni per motivi religiosi. Uno Stato impegnato a rendere effettivi questi valori e diritti inalienabili iscritti nella coscienza degli uomini e dei popoli, prima ancora che indicati nei programmi politici e affermati nelle carte costituzionali.
Oggi, al di là delle opportunità e convenienze di quel tempo, siamo ormai in grado di valutare tutte le conseguenza che doveva produrre la riconferma dei "patti lateranensi", in particolare del "concordato" clerico-fascista. La "radice" trapiantata ha germinato e esteso la sua trinitaria prepotenza clericale, autoritaria e padronale. I traffici, le speculazioni e le corruzioni, le ingiustizie e le discriminazioni sono lo scandalo permanente di ogni giorno, in tutti i settori della vita sociale. E la chiamano "pace religiosa".
Anche la fine dell'imposizione per legge e "concordato" dell'indissolubilità del matrimonio - per fare in modo che un impegno di amore e il bene dell'unità della famiglia, aperta alla società, possa diffondersi su convinzioni profonde, su basi di verità e libertà responsabile, senza costrizioni e ipocrisie - è stata rimessa in discussione dalla richiesta clerico-fascista di un referendum abrogativo della legge che ha introdotto anche nel nostro paese facoltà di divorzio. Una legge che l'esperienza potrà continuamente migliorare, eliminando tutti i "doppi regimi", anche per le cause di nullità, più facilmente decretate dai tribunali ecclesiastici.
Per questo, credenti e non credenti, sono oggi chiamati ad impegno civile, morale e sociale, quindi essenzialmente politico, senza troppi comodi alibi astensionistici: quello di affrontare a viso aperto, anche molto serenamente e con maggior fiducia nella maturità del nostro popolo, questa sfida, ben consapevoli che non evoca, né propone alcuna "guerra di religione", che non può produrre artificiose fratture tra i lavoratori e i ceti popolari.
La prova del referendum popolare, proprio perché rimette in discussione principi e valori profondamente umani - sostanzialmente cristiani - di giustizia e di libertà delle coscienze, non può essere elusa o rinviata. Sono infatti rimesse in discussione le basi stesse sulle quali si fonda una convivenza civile e democratica, nel rispetto delle convinzioni di tutti, in particolare delle minoranze.
Può e deve quindi essere utilizzata come momento di crescita morale e civile dell'intera nostra società, richiedendo certo l'impegno di tutti per informare e chiarire i termini del confronto, contro tutti gli imbrogli e le prevedibili deformazioni. Può e deve essere l'occasione per rovesciare la mortificante tendenza in atto che piega al compromesso, induce al disimpegno, genera sfiducia e discredito: tutte le condizioni che, da sempre, forniscono il terreno più fertile per le peggiori avventure.
In questo modo, credenti e non credenti, potremo allora continuare a portare avanti insieme anche l'impegno più difficile e però decisivo: per il definitivo superamento del regime concordatario, per l'effettiva libertà religiosa, la sostanziale laicità dello Stato, la fine di tante ingiustizie e prepotenze, quindi per una pace autentica nella nostra società".