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Pannella Marco - 29 marzo 1972
Da Salandra a Malagodi
viva le forche e viva i padroni

di M. P.

SOMMARIO: La denuncia della svendita da parte del Partito Liberale Italiano degli ideali propri della tradizione liberale. "Hanno salutato l'elezione di Leone come un successo "liberale". Hanno applaudito il messaggio presidenziale dove si faceva strame dei principi laici di separazione fra Chiesa e Stato, dicendo del Concordato quel bene che ormai nemmeno più nelle sacrestie venete si racconta", hanno sostenuto lo scioglimento delle Camere per impedire il referendum sul divorzio.... "Il Pli non è altro che il bastone della vecchiaia della Dc". L'autore auspica che i militanti della sinistra liberale non escano dal Pli come singoli ma costituiscano un movimento gobettiano federato al Partito radicale.

(NOTIZIE RADICALI n. 155, 29 marzo 1972)

In attesa di riscuotere la mercede di qualche ministero, che s'aggiunga al danaro abitualmente fornito all'azienda malagodiana di via Frattina, i liberali continuano a vendere quel che ancora resta loro incollato di "ideali" e di decenza.

In pochi mesi hanno certo ben meritato dai padroni del vapore clericale e corporativo in Italia. Sono stati i soli "laici" a porre la pregiudiziale d'un Presidente della Repubblica democristiano e ad accettare perfino la candidatura di Fanfani come garante dello Stato di Diritto, democratico, laico, e liberale.

Sono stati, durante il periodo dell'indecente spettacolo dell'obbligata astensione dei parlamentari democristiani, i solerti mediatori e i sostenitori degli interessi clericali. Hanno salutato l'elezione di Leone come un successo "liberale". Hanno applaudito il messaggio presidenziale dove si faceva strame dei principi laici di separazione fra Chiesa e Stato, dicendo del Concordato quel bene che ormai nemmeno più nelle sacrestie venete si racconta.

Non hanno fatto altro che continuare ad applaudire ed a proclamare la loro soddisfazione dinanzi allo scioglimento anticipato delle Camere, pretestuosamente motivato con il timore di un referendum che dividesse credenti e noncredenti democratici da credenti e noncredenti clerico-fascisti.

Sullo slancio della "mediazione Bozzi", cioè del progetto truffa d'abrogazione della legge Fortuna, e della "copertura" che così davano al vero ispiratore dell'operazione, il comunista Bufalini, hanno continuato, e continuano, a dare patenti di laicità e di laicismo alla Democrazia Cristiana, come ha fatto Malagodi nel presentare il programma elettorale.

Hanno assistito, soddisfatto e convinti, all'impostura della designazione del governo Andreotti come governo legale, quando questi non aveva altro titolo che la sfiducia di un ramo del parlamento e la designazione da parte della Direzione della DC; Direzione anche ufficialmente elevata, in questa occasione, dal Presidente-travicello Leone, ad un potere costituzionale che non ebbe, formalmente, il Gran Consiglio del Partito Nazionale Fascista (perché il governo fosse legale, doveva riscuotere la fiducia delle Camere dei Fasci e delle Corporazioni).

Il puritano e austero Malagodi nel suo declino, si rivela cinico e trasformista, strumento del regime e cane da guardia del padrone statale, com'è regola del "liberalismo" salandrino italiano. E' l'erede, indiscusso, non di quella minoranza del PLI che il Parlamento votò contro l'articolo 7, ma degli altri, che - come con Bozzi oggi - fecero le mosche cocchiere dell'incontro fra i vertici vaticani e del PCI; non dell'aulico Croce "filosofo della libertà" ma del Croce che applaudiva alla vigilia della Marcia su Roma Benito Mussolini al San Carlo di Napoli; che donava la sua "fede" di oro alla "Patria" per la missione di civiltà che si apprestava a compiere con i gas di Graziani e Badoglio in Etiopia; che ispirava, con i "suoi" Cassandro e Cattani la fusione fra PLI e Partito Monarchico nel 1946.

Autoritario e sprezzante d'ogni forma di legalità che non sia il suo "ordine" (di servizio) nella vita quotidiana del Partito, da vent'anni abituato a ritenersi investito della missione di capo, manovrando a suon di stipendi e di designazioni l'apparato burocratico e stalinista di via Frattina; solerte nel denunciare e nel deferire ai probiviri per "reati d'opinione" i suoi oppositori, a sospenderli, boicottarli in ogni modo; questo "liberale" non poteva che prefigurare in tal modo lo "Stato di diritto" che ci regalerebbe se fosse qualcosa di più d'un "funzionario" del potere economico e di classe del nostro paese. Le sue bestie nere sono i "giovani" della GLI: da vent'anni li "scioglie", li "commissaria", a suo beneplacito, e concede l'investitura del comando a coloro che meglio sanno dirgli "Signorsì". Nei Consigli nazionali sono perfino apparsi i "gorilla" delle palestre romane, abituati a "servire" l'ordine nuovo in servizio permanente missino.

Comunque, una cosa deve esser chiara a tutti: questo PLI non è altro che il bastone della vecchiaia del regime democristiano. Le sue scelte si chiamano ieri Segni, oggi Andreotti, Leone, Fanfani. Il truculento "antifascismo" del Segretario liberale è comprensibile: la base elettorale è intercambiabile, e Almirante è un concorrente pericoloso, sia in campo televisivo, che in quello confindustriale, in Vaticano non meno che sulle piazze.

Meno comprensibile invece, è l'atteggiamento suicida dei compagni ed amici di "Presenza Liberale", che si sono proclamati nell'ultimo congresso del PLI "componente liberale della Sinistra italiana". La Sinistra liberale ci è stata spesso accanto, nella lotta per il divorzio, contro il concordato, per l'obiezione di coscienza, nella rivendicazione d'una politica dei diritti civili. Da un anno, essa sembra oggettivamente aver assunto la funzione che Donat-Cattin, Ciriaco De Mita e altri sinistri democristiani hanno nel gioco di regime: quello di copertura e di alibi. Afflitti da un rapporto di frenetica ostilità a Malagodi, sembrano piuttosto dei figli psicanalisticamente vogliosi d'"uccidere il padre" e di chiudere il loro futuro in questa prospettiva. Il resto non conta.

La copertura ch'essi offrono in concreto è così tenue, così quantitativamente inesistente e qualitativamente poco avvertita, che non ci preoccuperemo di denunciarla. Ma il guaio è, per noi che crediamo nei gobettiani e nella attualità d'una scelta liberale che affondi le sue radici, storicamente, nelle grandi lotte di liberazione e dell'alternativa libertaria della classe operaia, che - malati di realpolitik anch'essi - rischiano di scomparire e di suicidarsi. Quanto il PLI si presenta alle elezioni con il carico di virtù di regime, di zelo filoclericale e classista, di copertura - questa sì non irrilevante - all'ultimo attacco alla costituzione ed alla democrazia in corso da parte della DC che tutti possono constatare, com'è possibile a dei "laici" di comportarsi come dei clericali che - pur dissentendo, pur processati, pur convinti che i dignitari e i potenti che li governano sono ormai nemici - pensano che non esista altra salvezza che nella "chiesa", nel "partito" o nell'"ideologia"?

Un Sinistra liberale che si fosse costituita in movimento autonomo, in forza che chiama a raccolta quanti comprendono che non esiste possibilità di compimento e anche di semplice sopravvivenza per la "rivoluzione borghese" se non nella grande battaglia di liberazione laica, libertaria e socialista, avrebbe certo avuto compiti e vita difficile, responsabilità temibili, rischi di insuccesso enormi. Ma come si può solamente immaginare che oggi, se esistono dei gobettiani in Italia, se esistono dei democratici convinti della necessità di riaffermazione d'una componente liberale della Sinistra, se v'è - diremo di più - qualche seguace in buona fede dei miti e delle speranze della Destra storica, di Spaventa o anche solo di Giovanni Amendola, per non parlare ancora di Pietro Gobetti, come si può immaginare che essi accettino di sostenere "Presenza Liberale" o di restarvi, se vogliono combattere davvero la loro difficile, coraggiosa battaglia di "laici" e non declassarsi a "chierici di minoranza" della squallida ch

iesa imprenditoriale di via Frattina?

Certo, arrivati alle elezioni su questa linea, che l'amico e leader di Presenza, Ennio Bonea ha inutilmente cercato di modificare nelle difficilissime condizioni di salute in cui si è venuto a trovare, non era semplice né forse possibile fare qualcosa di positivo. E noi stessi, in particolare chi sente l'urgenza di questa chiarificazione di questa polemica, ci siamo assunti la responsabilità di chiedere a Bonea di presentarsi ugualmente alle elezioni e - compatibilmente con le scelte generali del PR - faremo l'impossibile per essergli accanto, da compagni sinceri quanto severi con se stessi e gli altri, in questa difficile circostanza.

Ma la tristezza, e qualche volta lo sdegno di vedere compagni come Bonzano, a Milano, fare oggettivamente il portatore d'acqua a Malagodi, Giomo e siffatti "liberali"; e altri, a Torino, impegnarsi a sostegno di quel "Rinnovamento" fanfaniano e di destra che è rappresentato dagli Zanone e dagli Altissimo, ci sembra giustificata e comunque non sopportabile nel silenzio.

E' urgente, comunque, che "Presenza" si decida. E' un errore gravissimo costringere, com'è accaduto a Trieste e a Udine, in Sicilia e a Milano, militanti fra i migliori della Sinistra liberale ad uscire dal PLI, ed in sostanza dal gruppo, da soli, come singoli. Questa emorragia è inarrestabile, e, a livello elettorale, è già compiuta.

E a noi, per la lotta comune cui crediamo, interessa molto di più la sola, pura ipotesi d'una difficile federazione di un Movimento gobettiano e del Partito Radicale, che la più vicina e concreta realtà dell'adesione di compagni della Sinistra liberale al nostro Partito.

 
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