di Gianfranco SpadacciaSOMMARIO: Il tema "del colpo di stato" ricorre nella polemica politica, e ad esso fanno ricorso le più svariate forze politiche, dalle sinistre ufficiali ai gruppi extra-parlamentari alla stessa Dc. L'autore riflette che il timore di un fantomatico "colpo di stato" che potrebbe accadere serve a far dimenticare il "colpo di stato" reale che da anni è in atto e ogni giorno si ripete contro le istituzioni repubblicane e la democrazia.
(LA PROVA RADICALE N.3, BENIAMINO CARUCCI EDITORE, Primavera 1972)
Il tema del »colpo di Stato contro le istituzioni democratiche è un tema ricorrente della nostra polemica politica, a cui fanno ricorso con diverse motivazioni e argomenti le più svariate forze politiche, dalle sinistre ufficiali ai gruppi extraparlamentari alla stessa DC. L'ossessione del »colpo di Stato sembra essere stata, come testimoniano alcuni suoi scritti e numerose persone, la causa determinante che ha spinto il povero Feltrinelli a scegliere la clandestinità nell'ultimo drammatico periodo della sua vita che doveva condurlo al tragico epilogo di Segrate. Mutano, naturalmente, a seconda delle forze che agitano questo tempo polemico e prospettano questo pericolo come una minaccia incombente, i candidati al ruolo di protagonisti del »golpe . Nella ricostruzione dei »fatti del 1964 secondo alcuni sono stati Segni e De Lorenzo, insieme, a tramare contro le istituzioni; per altri il solo Segni, povero vecchio ormai alla vigilia del colpo apoplettico, che De Lorenzo avrebbe finto di assecondare per sven
tarne in realtà i disegni; per altri infine il solo De Lorenzo all'insaputa del capo dello Stato, dei ministri della Difesa e degli Interni, del segretario della DC. Di volta in volta, e a seconda delle diverse forze politiche che ne parlano, vengono indicati come possibili protagonisti di una sanguinosa svolta totalitaria i fascisti di Almirante con la complicità di settori delle Forze armate, della polizia e della pubblica amministrazione, un »uomo forte della DC in cui non è difficile individuare la figura di Fanfani, i padroni e la CIA, e, naturalmente, quando la polemica viene agitata da destra, i pericolossimi gruppi della guerriglia extraparlamentare. Per la DC, inutile dirlo, la congiura contro le istituzioni democratiche viene solo dagli »opposti estremismi .
Una accorta regia sembra incanalare tutta l'attenzione e tutta la polemica di questa campagna elettorale verso questi diversi ma convergenti timori. Le campagne elettorali si sono trasformate e, mentre una volta si basavano essenzialmente sui programmi dei partiti e sui discorsi dei loro "leaders", vengono condotte a colpi di perizie balistiche, autopsie, rivelazioni sensazionali, mandati di cattura, perquisizioni domiciliari, incriminazioni a catena, piste »nere e »rosse , tardive scoperte di bande armate di destra e di sinistra. Con diverse e opposte interpretazioni tutti sperano di trarre vantaggio da questa situazione torbida facendo appello più alla paura che alla ragione e al consenso degli elettori: si tratti della paura per il disordine, volutamente alimentata presso i ceti benpensanti e moderati, o di quella per il pericolo di un nuovo ordine autoritario.
Il timore di un fantomatico »colpo di Stato che potrebbe accadere serve egregiamente per far dimenticare il »colpo di Stato reale che da anni è in atto e ogni giorno si ripete contro le istituzioni repubblicane e la democrazia. Il fascismo alle porte fa dimenticare l'altro e ben più grave fascismo di cui sono intrise le istituzioni e le leggi dello Stato. La DC può eludere così, davanti all'elettorato, le sue responsabilità passate e le illegalità commesse alla stessa vigilia di queste elezioni.
Da venticinque anni il partito clericale, che governa il paese ininterrottamente con l'appoggio delle più diverse forze politiche (PCI e PSI nel dopoguerra; PLI, PRI, PSDI negli anni cinquanta; monarchici e fascisti dopo la crisi del centrismo; socialisti e centro-sinistra negli ultimi dieci anni, di nuovo i liberali oggi), detiene nelle sue mani tutto il potere e lo usa per vanificare le regole della democrazia scritte nella Costituzione. Per otto anni, quando era diretto come affermano i nostri giornali indipendenti da »uomini di sicura fede democratica come De Gasperi, si è opposto alla realizzazione della Corte Costituzionale; quindici anni ci sono voluti per la costituzione del Consiglio superiore della magistratura; ventidue per l'istituzione delle regioni. Sono ritardi che rispondevano a un preciso disegno politico di cui solo oggi, a distanza di un quarto di secolo, ci si può rendere pienamente conto: quello di radicare il proprio potere servendosi delle leggi e delle strutture corporative e fascist
e del vecchio stato mussoliniano che la Resistenza aveva abbattuto ma non sostituito.
E quando le nuove istituzioni previste dalla Costituzione sono entrate in funzione, la classe dirigente democristiana ha fatto di tutto per impadronirsene e controllarle, o per ostacolarle, e vanificarne l'azione. Per quindici anni i presidenti del consiglio clericali che si sono avvicendati alla direzione del governo hanno difeso, attraverso l'Avvocatura dello Stato, le norme fasciste impugnate davanti alla Corte Costituzionale. Per anni il Consiglio superiore della magistratura è rimasto un organo controllato dalla Cassazione e, attraverso di essa, dalla parte più retriva della magistratura. Le regioni si attuano solo oggi per meglio articolare nel paese il potere democristiano, concedendo qualche spazio e qualche limitato potere al PCI nelle zone rosse, ma senza modificare realmente l'organizzazione dello Stato. Il Parlamento è stato messo nell'impossibilità di agire, paralizzato dalle resistenze democristiane, dagli equilibri e dai patteggiamenti governativi e assembleari, dall'assenza di efficaci e intr
ansigenti lotte parlamentari da parte delle sinistre e delle forze laiche. La Corte Costituzionale è stata lasciata sola nel compito di adeguare la legislazione alla Costituzione, un compito che non era il suo perché spettava ai governi e ai Parlamenti repubblicani. Nei confronti di questo istituto per anni Governo e Democrazia Cristiana si sono dovuti limitare ad esercitare un'azione di contenimento. Da quando l'enorme importanza politica della Corte, a cui dobbiamo l'abbattimento di numerose norme fasciste e un primo e incompleto tentativo di democratizzazione della legislazione, si è pienamente manifestata con la sentenza che ha sanzionato la costituzionalità della legge sul divorzio, la DC non nasconde più la propria volontà di paralizzarla e di riacquistarne il controllo. Si è prima impedita l'elezione di Lelio Basso e ora si spera, con le nomine che nei prossimi mesi dovrà effettuare il nuovo presidente della Repubblica, di completare l'operazione e di ridurre anche questa eccezione al conformismo di r
egime e alla condizione di subordinazione in cui versano le altre istituzioni.
Qualcosa di analogo a quello che si è verificato per la legislazione fascista ad opera della Corte Costituzionale, è accaduto anche per la Pubblica Amministrazione ad opera della magistratura che ha tentato di sostituirsi alla funzione che in uno Stato democratico dovrebbe spettare alle opposizioni nel colpire almeno alcuni casi più clamorosi di malversazione attuati dalla classe al potere. Ma a differenza della Corte Costituzionale le contraddizioni nella magistratura sono più accentuate, minore è la sua autonomia, più forti le divisioni interne. Anche i processi per peculato o per abuso di potere si sono trasformati ben presto in molti casi da occasione di pulizia in strumento di lotta politica fra le correnti democristiane o da usare contro i partiti che collaborano con la DC al governo del paese.
Strettamente legati al partito e alle sue correnti interne e direttamente partecipi della lotta per il potere sono Procure della Repubblica, polizia, esercito e servizi segreti. In Sicilia la lotta mafiosa si identifica con la lotta politica del partito dominante e non si ferma davanti all'uccisione di magistrati e di giornalisti o al rapimento di familiari di notabili democristiani. Gli interessi clericali e corporativi legati alla rendita fondiaria, alla scuola, all'assistenza, al tempo libero si oppongono a qualsiasi riforma urbanistica, scolastica, sanitaria. Il sacco clericale dell'assistenza pubblica, come dimostrano innumerevoli processi rimasti senza alcun seguito politico, è sistematico e continuo. Nel 1964 il vero »colpo di Stato non è consistito nel ridicolo »piano Solo del generale De Lorenzo o nei vaneggiamenti autoritari del vecchio Segni, ma è stato attuato dai dirigenti della DC - da Moro a Rumor, da Zaccagnini a Colombo - che di quei vaneggiamenti e di quelle minacce si servirono per piega
re i socialisti ai loro voleri e costringerli a rinunciare alla politica di riforme.
Nel campo delle strutture economiche, le sole a cui per molto tempo hanno guardato le sinistre, un capitalismo di Stato sempre più potente direttamente controllato dalla DC detta le condizioni al capitalismo privato, ed è l'elemento portante di questo sistema capitalistico. Concorre con il capitalismo privato alla sistemazione corporativa e classista della produzione.
L'intreccio degli interessi privati e pubblici condiziona ormai tutti gli strumenti di informazione e i mezzi di comunicazione di massa, dalla RAI-TV ai quotidiani, escludendo dal diritto all'informazione democratica tutte le forze che non accettano l'attuale equilibrio politico e combattono l'ormai avvenuta trasformazione dello Stato democratico in regime. Ogni verità è confiscata, ogni residuo omaggio al gioco democratico in questo settore non è che ipocrisia e menzogna.
Parlare del pericolo di un colpo di Stato, di fronte a questa situazione, inventarsi come nemici da battere i paleofascisti di Almirante, è semplicemente ridicolo. L'Italia non è la Grecia né il Portogallo, ma un paese di capitalismo maturo (anche se con profonde contraddizioni e sacche di sottosviluppo) in cui le classi dominanti non hanno bisogno di fascismi tradizionali, ma di regimi autoritari che conservino le parvenze della democrazia. Il vero colpo di Stato si è già da tempo verificato, senza carri armati e campi di concentramento, senza rivolte di palazzo, ma lentamente e all'interno stesso delle istituzioni. Dare al futuro il volto del passato, significa eludere i doveri del presente e le necessità della lotta contro un regime che ha già avuto la sua marcia su Roma e che con queste elezioni ha già probabilmente i suoi listoni.