di Marco PannellaSOMMARIO: Il lavoro del PR per dare forza all'opposizione di sinistra è andato vano. Il PCI chiude con le aspirazioni e le lotte tradizionali. Il PSI si è declassato. Le opposizioni sono confinate. L'apertura verso movimenti come Lotta Continua necessita di una forte organizzazione ed un confronto sull'uso della violenza.
(LA PROVA RADICALE - BENIAMINO CARUCCI EDITORE - N. 4 - ESTATE 1972)
In queste settimane per noi decisive o conclusive, vanamente scrutiamo l'orizzonte politico della provincia in cui viviamo: non vi sono segni esteriori di ragionevole speranza civile per i socialisti libertari, i laici democratici che ci ostiniamo ad essere.
Abbiamo lavorato per oltre dieci anni nel tentativo di assicurare forza e crescita alla componente alternativa e democratica di classe di una sinistra unita, che volevamo candidata al potere, in opposizione ed alternanza alla grande Destra che la Democrazia Cristiana, da sola e da venti anni, rappresenta e guida.
Rifiutavamo, contro ogni tentazione settaria e giacobina, quel che ci sembrava un eccesso di dignità e di ambizioni: con il Partito Radicale creavamo ogni giorno uno strumento di supplenza, nella lotta e nella azione, di quella unità che i vertici dei partiti democratici sembravano non rinnegare o rifiutare ma ipotizzare solo con eccessiva prudenza e imprecisione; questo ci proponevamo e non una struttura destinata a lunga vita autonoma ed a rappresentare un elemento di lotta contro apparati e burocrazie dell'area socialista, dalla comunista alla socialdemocratica.
Da qui le nostre scelte organizzative che per almeno otto anni hanno riposato su un gruppo militante di circa cinquanta compagni, dei quali pochissimi e parzialmente impegnati in una diretta gestione di partito, e la maggior parte, attraverso l'»invenzione delle leghe e dei movimenti per i diritti civili, consapevolmente operanti per rilanciare instancabilmente la proposta e gli uomini dell'alternativa laica e libertaria all'interno dei partiti socialisti e democratici, per dare voce e aiutare la resistenza dal basso, militante, di base e di opinione.
Le vittorie non sono mancate; ma la guerra, per un lasso di tempo di almeno cinque anni, o forse tre volte tanto, è oggi persa.
Nel PCI, i compagni comunisti non acquisiti, malgrado i loro gravissimi errori, ad un disegno nazional-populista, corporativo e burocratico, di gestione dello Stato in compartecipazione con il potere clerico-interclassista della DC, sono sconfitti o emarginati. Che si tratti di Umberto Terracini o di Arrigo Boldrini, di Amendola o di Ingrao, noi non ci troviamo più dinnanzi a compagni che possano, in un tempo ragionevole, offrire una alternativa alla linea Berlinguer-Lama.
La spoliticizzazione del gruppo e della linea »emiliana , la conversione di Fanti dalla prospettiva (che fu amendoliana) dell'»alternativa del 51 per cento alla DC a quella così ben simboleggiata, »unanimistica e antilaica nella passata legislatura, dalla mozione parlamentare firmata da Giulio Andreotti e da Nilde Jotti per il rinnovo del concordato fascista, chiude per ora ogni discorso ed ogni speranza. »Chiude , cioè, con le aspirazioni e le lotte tradizionali, le migliori, degli elettori e degli iscritti comunisti.
Nel PSI, vanamente Scalfari, Bocca, Riccardo Lombardi (quando, raramente, riesce ad esprimersi senza la »mediazione della sua »corrente ), gruppi di militanti come »Potere di Base , cercano di provocare una riflessione ed un dibattito che abbiano una qualche attinenza con i grandi problemi ideali, politici, storici che il socialismo italiano deve risolvere se non vuol scomparire nel più squallido dei modi. Che in Italia, venti anni di »progresso sociale si siano tradotti nel declassamento del PSI da partito di massa e di lotta votato dal 20 per cento degli elettori, a struttura burocratica e movimento di opinione (conviventi, per ora, come »corpi separati : ma fino a quando?) che sommano meno del 10 per cento dei voti, non trova nemmeno un momento di menzione e di riflessione nelle povere »tesi che il prossimo Congresso dovrebbe »plebiscitare , se Mancini e De Martino troveranno un accordo sull'organigramma ministeriale e partitico del PSI per i prossimi anni. Nenni ne sembra consapevole: ma non si può no
n ricordargli che tutte le scelte subalterne, al PCI ed alla DC, che hanno massacrato il socialismo italiano lo hanno visto come principale responsabile.
Loris Fortuna, non a caso proprio su »La Prova Radicale , già dal marzo scorso, aveva tentato di proporre ed imporre un dibattito più serio e severo: se ne sono accorti solo per circondarlo d'una cintura sanitaria di silenzio e di ostilità, nel Friuli non meno che a Roma.
Del »resto delle forze istituzionali tanto vale tacere: Bonea è vicepresidente del PLI, Basso del gruppo »indipendente (ma certo! »di sinistra ) del Senato; a Labor si vieta di entrare nel PSI prima del Congresso, un modo come un altro per assegnargli un ingresso »di servizio com'è stato fatto per i vecchi compagni carristi del PSIUP Valori, Vecchietti, Luzzatto, Lami nel PCI.
Uomini, tesi, gruppi, parlamentari e semplici militanti che hanno tentato, sempre da noi aiutati e sorretti, di proporre una vigorosa politica democratica di classe alternativa a quella interclassista e corporativa, filoclericale e autoritaria, sono stati stritolati.
La vittoria parlamentare sul divorzio è divenuta un esempio: ma un esempio di quel che »non si deve ripetere. Ogni schieramento sembra buono o permesso: tranne quello unitario e vincente. L'unità della DC è il bene supremo che viene da tutti difeso: è una »diga che tutti sorreggono; una »diga reversibile, come si vede, che oggi, sperano che torni a funzionare contro »il fascismo !
Grande è la tentazione di contrapporre a questa realtà rabbia, disperazione, rivolta, o astrazioni ideologiche e »rivoluzionarie .
E' questo un dato obiettivo con cui si chiude tradizionalmente l'anello del regime, che ha bisogno di confinare tutta l'opposizione nell'inattendibilità, nell'illegalità, nell'agitazione sociale, nelle rivendicazioni esasperate di ceti marginali o marginalizzabili. Questa classe dirigente sa, per atavico istinto, che chiunque operi politicamente, per vincere, deve muoversi nel paese come »pesce nell'acqua ; sia esso conservatore o rivoluzionario. E tutto quello che può prestarsi a diffondere paura, stanchezza, disordine, ribellione, violenza anziché dialogo e riflessione, tutto questo è acqua sapientemente inquinata perché ogni chiarezza d'alternativa e di consapevole rivolgimento politico e storico sia annebbiata e sconfitta.
Vorremmo, diciamolo, vorremmo che i più giovani fratelli e compagni di »Lotta Continua autorizzassero, con le loro lotte, almeno i più »radicali fra noi (non già a lasciti, poiché abbiamo la convinzione e la fierezza di non aver accumulato patrimoni di sorta), ad una di quelle soste che pur dovrebbero anche in politica essere possibili e necessarie, nelle quali puoi dirti che c'è comunque un compagno che certamente cammina nella direzione giusta verso il giusto obiettivo, che ieri ti ha raggiunto e che domani raggiungerai.
Una spontaneità generosa, esistenze per noi esemplari, da militanti e da credenti, un coraggio severo che presuppone almeno molte chiarezze, un'esperienza intensa e che non sembra sempre vana, s'incarnano in »Lotta Continua .
Ma non possiamo fare, ugualmente, fiducia a questi compagni che pure stiamo apprendendo a stimare.
Dovremmo innanzitutto far scadere a fisime ed astrazioni alcune convinzioni e tacite convenzioni che al di là di mozioni e decisioni esplicite, uniscono noi radicali: il rispetto del dialogo, della tolleranza: l'avversione contro ogni settarismo, ogni manicheismo; l'incredulità verso moduli di scontro rivoluzionario o troppo circoscritti o troppo imprecisati nel tempo e nei fini. Ma altre riserve sono forse più d'obbligo e risolutive: una forma d'organizzazione che sembra affidata alla agitazione ed alla gestione carismatica di alcuni compagni; una disattenzione (quanto meno) verso la centralità, per una organizzazione alternativa e rivoluzionaria, del momento del finanziamento e del costo delle lotte, e quindi della necessaria autogestione anche di questo settore da parte del movimento; un uso dell'agitazione e della »violenza popolare che ci sembra implichi un grave errore di interpretazione della cultura proletaria e sottoproletaria: quasi che violenza, scontro fisico, soppressione dell'avversario e del
dissenso, trovino qui le loro radici e le loro giustificazioni, e non fossero piuttosto riflessi indotti e terreno privilegiato dello scontro sociale e politico voluti dal »sistema e dalle classi dominanti; un'indifferenza verso le istituzioni politiche, o un'estraneità, che non corrisponde alla realtà oggettiva nella quale operiamo; l'assenza di »progetti o di una serie limitata ma precisa di lotte politiche che possano essere raccolti e fatti propri da altri che da giovani e da sottoproletari, con rare eccezioni per »intellettuali o »operai , »organici a »Lotta Continua .
Né basta, poi, per contrapporre alle divisioni, alle impotenze, o agli errori dei Partiti riformisti e tradizionali l'unità nelle lotte dei lavoratori socialisti e libertari, o »comunisti , il solo recupero dell'»antifascismo , senza rischiare di prolungare fino a Sofri la linea politica così inutile e lassista di Ferruccio Parri.
L'episodio di Parma ci pare gravissimo e doloroso, non solo per la morte di un compagno operaio di »Lotta Continua , ma perché serve obiettivamente il disegno distraente e ormai fin tropo chiaro, di mettere in prima linea gli »ausiliari e i »teppisti dello scontro di classe, con il risultato di ricacciare in secondo piano i suoi veri attori e mandanti.
E' necessario un »disegno politico da proporre, per limitato che sia, nel tempo e negli obiettivi, perché si possa sperare di creare unità operante e concretezza di impegno da parte di masse di compagni che condividono ormai la stanchezza e lo scetticismo contro i vertici riformisti e nonriformatori che sono al potere nei partiti di sinistra.
Questo »disegno manca totalmente.
Anche il Partito Radicale degli anni Sessanta fa parte di questo orizzonte.
Così com'è, come ha vissuto e come ha spesso vinto le sue battaglie di ieri, non serve, non »arriva in tempo .
Vi sono battaglie adeguate e possibili, anche se improbabili e difficilissime. Scatenare contro questo parlamento clerico-fascista, contro la politica che l'ha preparato e procurato, contro gli obiettivi e i metodi che rischiano di cristallizzarsi e di consolidare per altri dieci o venti anni l'attuale regime, un'ondata di referendum popolari, di iniziative politiche anche istituzionali dal basso, di obiettivi naturalmente unitari per tutti i cittadini democratici, che potenzino tutte le minoranze del dissenso libertario e socialista, di partito, di chiesa, di stato, significa mettere in moto meccanismi alternativi, risuscitarli mentre stanno ormai morendo tutti di soffocamento e di violenza.
Un migliaio di compagni che comprendano che questa lotta, per breve e limitata e semplice che appaia (ma così non è), vale ed esige »un Partito , un Partito che può di nuovo essere vincente, ma a condizione che sia rigoroso, severo, deciso, onesto, omogeneo nei metodi, negli strumenti, a fini antiautoritari, anticlericali, antimilitaristi, anticorporativi, antifascisti; un migliaio di compagni che, finanziariamente, organizzativamente, esistenzialmente si impegnino in questa direzione, possono forse bastare.
Lo abbiamo, da un anno, cominciato a ripetere; ieri, in un centinaio; oggi, continuiamo in trecentottanta (tanti sono ora i militanti iscritti).
Mancano pochissime settimane alla verifica insuperabile che ci aspetta: il Congresso del PR, che si terrà dall'1 al 3 novembre a Torino.
Solo se i nuovi compagni radicali riusciranno, con il loro esempio (ma anche con una specifica loro iniziativa) a fungere da moltiplicatori per nuove adesioni, potremo farcela. Non ci limiteremo, certo, da qui ad allora, ad aspettare.
Dopo di che sapremo, in molti, se è giunta anche per noi l'ora del silenzio e della rinuncia.