Il legame tra la difesa della legge e la vita del PRdi Mauro Mellini
SOMMARIO: La riforma del divorzio ha suscitato clamori enormi e si cerca di eliminarla attraverso la Corte costituzionale, la Corte di Cassazione, il Parlamento. Bisogna tenere unita la forza divorzista per tutelare la riforma dagli attacchi.
(LA PROVA RADICALE - BENIAMINO CARUCCI EDITORE - N. 4 - ESTATE 1972)
La sorte del divorzio nel nostro paese continua a suscitare apprensioni e incertezze non ingiustificate. Non c'è persona di buon senso disposta ad affermare sinceramente che il divorzio rimanga, rispetto alla nostra società ed al nostro sistema legislativo, come qualcosa di estraneo o di malamente inserito. Nessuna riforma è mai stata accolta, probabilmente, con più profonda convinzione della sua assoluta necessità ed ineluttabilità, senza repulsioni e sintomi di rigetto tra coloro che, in pratica, erano o sono chiamati ad applicarla, ad usufruirne, a toccarne con mano gli effetti.
Ma nessuna riforma ha suscitato nel nostro paese tanto livore tra coloro che l'avevano ostacolata e, cosa ancor più singolare, tanto sgomento e tanto desiderio di disfarsene, o quanto meno di evadere dalle responsabilità di difenderla, tra le forze che pure ne avevano determinato l'approvazione con il voto in Parlamento.
Scrutando l'avvenire del divorzio la stampa, anche quella che non manca di quel minimo di civiltà che deve farla definire divorzista, non nasconde di vedere piuttosto nero. Ora è la constatazione che alla Camera ed al Senato clericali e fascisti sono in maggioranza dopo le elezioni del 7 giugno, ora quella che i cosiddetti partiti laici non mostrano più neppure la volontà di salvare le apparenze nella ricerca di un compromesso qualsiasi con la DC ed il Vaticano, ora è la Corte di Cassazione a rimettere in discussione la costituzionalità della legge, confidando nella diversa composizione della Corte Costituzionale; ora è l'iniziativa parlamentare di deputati DC o missini per una legge di abrogazione; ora ci si accorge che il referendum è inevitabile.
Gli esponenti politici si mostrano per lo più distratti e, quando non possono farne a meno, perplessi e genericamente preoccupati, se non hanno tante riserve di pervicace ottusità da dichiarare di nutrire fiducia nella possibilità di un'intesa con i cattolici per portare alla legge quei »miglioramenti che valgano a »superare il loro atteggiamento negativo.
Ma, se è facile trovare chi sia convinto che il referendum si possa perdere, che la Corte Costituzionale finisca per rimangiarsi la sentenza precedente, che democristiani e missini non possano fare a meno di portare avanti le loro proposte abrogazioniste, che i cosiddetti laici siano capaci di intavolare trattative di modifiche della legge anche nell'attuale rapporto di forze in cui il compromesso non potrebbe che segnare la completa liquidazione di ogni pratica efficacia della legge, la stragrande maggioranza è tuttavia convinta che, malgrado tutto e malgrado tutti, nulla e nessuno possa oramai cancellare il divorzio, che in un modo o nell'altro un qualche stellone d'Italia salverà una riforma di cui sarebbe ridicolo fare a meno, etc. etc.
In fondo questa specie di fatalismo positivo è assai più vicino al senso della storia che non alla pura e semplice faciloneria, il che non toglie che questo scetticismo sulle iniziative antidivorziste sia, obiettivamente, una delle condizioni essenziali a favore di quelle iniziative, così come il sen so della storia più o meno diffuso non è mai stato capace di per sé di mandare avanti la storia. E poi nel nostro Paese la storia sembra più spesso che altrove fermarsi e tornare indietro grottescamente: non per nulla abbiamo un regime clericale, una classe dirigente ed una burocrazia borboniche, leggi fasciste; abbiamo dal 1929 un concordato che ha riportato indietro i rapporti tra Stato e chiesa di cento anni almeno, abbiamo, per cominciare a tornare all'argomento, tribunali di preti che decidono della sorte di famiglie italiane con le loro assurde disquisizioni in latino.
Il divorzio è dunque obiettivamente in pericolo e la sua sorte è realmente incerta. L'assurdità della sua scomparsa non esclude che essa sia possibile, che tra sei mesi o tra un anno non resti ai separati che implorare la grazia di un annullamento, ridivenuto, magari, difficile e costoso come un tempo. Ma crediamo che sia sbagliato affermare che le preoccupazioni nascano dall'ineluttabilità del referendum piuttosto che dall'attuale composizione del Parlamento, o da questa piuttosto che dalla futura composizione della Corte costituzionale.
Il referendum si può vincere, e si vincerà sicuramente e con largo margine, se non sarà un referendum grossolanamente truccato, o una specie di plebiscito in cui solo gli antidivorzisti si daranno effettivamente da fare, o un falso scontro in cui i laici non la smettano di proclamare che la legge Fortuna deve essere cambiata, rinunziando a portare qualsiasi attacco alla controparte. Si vincerà se non si continuerà a baloccarsi con le leggi Carrettoni ed a nascondere la testa, evitando di prepararsi allo scontro.
Il Parlamento ha oggi una maggioranza antidivorzista, almeno sulla carta e secondo la composizione dei gruppi. Ma i laici, pur senza arrivare agli eccessi posti in atto dalla DC nella scorsa legislatura per bloccare la legge Fortuna, hanno ogni possibilità di bloccare una qualsiasi proposta di abrogazione, almeno fino alla data del referendum, vincendo il quale potranno liquidare definitivamente ogni velleità abrogazionista. Inoltre, in un dibattito veramente serrato condotto con rigore e durezza, è certo che una buona metà della cosiddetta destra nazionale finisca per votare, come spesso è avvenuto nella scorsa legislatura, a favore del divorzio.
La Corte costituzionale, malgrado le sostituzioni di alcuni giudici, difficilmente si rimangerà la sua sentenza del luglio del '71, rimandando a casa con le loro carte bollate a fare i fuorilegge del matrimonio le migliaia di separati che ancora aspettano il divorzio, se fuori delle mura del palazzo della Consulta non vi sarà un'atmosfera di rinunzia e di rassegnazione e se quei separati sapranno comprendere che dalla Corte debbono attendersi non solo che sia spaccato il classico capello in quattro con appropriate elucubrazioni giuridiche e che si abbia nei loro confronti benevolenza e comprensione, ma invece che si dia prova di responsabilità politica e di senso dello Stato come espressione dei diritti civili dei cittadini.
Ma i partiti ed i parlamentari laici, l'opinione pubblica, gli stessi separati interessati direttamente, si muoveranno, e si muoveranno nella direzione giusta, solo a determinate condizioni. Ai molti se, dai quali dipende l'esito del referendum, delle trattative per evitarlo snaturando il divorzio, delle iniziative per abolirlo senz'altro, della nuova contesa alla Corte costituzionale, se ne aggiungono così altri, che determineranno i primi.
Durante tutta la campagna per l'istituzione del divorzio, la mobilitazione divorzista attorno a Fortuna ed alla LID e l'intransigenza con la quale tale mobilitazione è stata gestita ed ha operato, ha determinato il »miracolo del divorzio, superando tutte le crisi, i trabocchetti, i momenti di stanchezza, i piccoli e grossi tradimenti, le tentazioni di fuga e di ripiegamento. Dopo il 1· dicembre 1971 la strategia divorzista è sembrato che non riuscisse più a svilupparsi ed a tenere testa alla controffensiva clericale e, soprattutto, al riflusso dei cosiddetti partiti laici.
In realtà, se dal 1· dicembre 1971 ad oggi non si è trovato il modo di liquidare la neonata riforma, ciò è dovuto ancora una volta all'intransigenza della forza operante nella LID, nel partito Radicale; la forza che aveva determinato l'approvazione della legge.
Se comunisti, repubblicani, liberali e socialisti ci hanno definito nel frattempo estremisti, vieti anticlericali, impolitici monomaniaci e magari provocatori e servi dei padroni, è certo che i loro intrallazzi con la DC, o direttamente con i monsignori del Vaticano, per »evitare il referendum, non hanno potuto concludersi, come era nella loro logica, con la effettiva liquidazione del divorzio, solo perché allo stesso Vaticano occorreva evitare che gli sparuti e irriducibili avversari di ogni compromesso, apparissero, quali erano, tutt'altro che estremisti, impolitici, provocatori, maniaci, etc., agli occhi di una più vasta opinione pubblica.
Se c'è una possibilità che i partiti cosiddetti laici si impegnino effettivamente nella campagna per il referendum e non si adagino, con i soliti alibi imbecilli della necessità di evitare una guerra di religione, di non dividere le masse per non compromettere le riforme etc., in una specie di neutralità dichiarata o comunque praticata, ciò dipenderà dalla preoccupazione, che potranno nutrire, di essere scavalcati, esautorati e ridicolizzati da una forza che abbia prestigio e capacità, anche se non i mezzi e l'organizzazione, per gestire la campagna per il no all'abrogazione nel referendum sul divorzio, con il rischio di vederla crescere e di veder sorgere un partito laico ed anticlericale loro malgrado e contro di loro.
Se i separati che debbono ancora ottenere il divorzio non sono dei postulanti frustrati e se non confida o solo nella loro furberia, nel loro denaro e nella buona sorte, come i clienti della Sacra Rota, e se quindi non è facile bloccare le loro cause e spezzare le loro speranze con una nuova »interpretazione della Costituzione e del concordato, ciò è perché essi hanno un punto di riferimento, un'organizzazione nella quale riconoscersi come titolari di un diritto civile.
Se in parlamento una iniziativa per l'abrogazione del divorzio troverà disposti i partiti laici all'ostruzionismo, invece che affannati a »migliorare l'abrogazione, non essendo riusciti a »migliorare la legge, anche questo dipenderà dal rischio che con ciò essi correrebbero di essere definitivamente sputtanati e travolti dai loro stessi aderenti, fatti accorti e mobilitati da una forza capace di bandire e sostenere la necessità di una diversa strategia.
Ma detto questo siamo ben lontani dal poter affermare che la sorte del divorzio è assicurata e che questa riforma è salva. Incertezza e preoccupazioni rimangono, come rimane la necessità di combattere duramente se si vuole salvare questa conquista.
Tutti i molti se che abbiamo cercato di puntualizzare, ci portano a considerare un unico ed ultimo se: se questa forza divorzista continuerà ad esistere e ad operare con la dovuta durezza e con la giusta strategia, con forze e strutture adeguate alle nuove e più gravi responsabilità, in una situazione in cui il regime è solidale e compatto nella volontà di schiacciarla e sopprimerla.
Tra la fine del '65 ed i primi del '66, un gruppetto di radicali riuscì a mettere in piedi la LID e ne ha costituito, in seguito, l'anima ed il cervello. Avemmo allora molte simpatie generiche, pochi veri amici, ma anche pochi nemici. Oggi i nemici sono moltissimi, prima di tutto coloro che abbiamo, loro malgrado, costretto a vincere la battaglia per l'istituzione del divorzio. Il problema non è più oggi quello di convincere il paese, che non ha più bisogno di essere convinto, della necessità di una riforma. Il problema è quello di spezzare il cerchio del regime, che non può tollerare questo precedente di una battaglia vinta contro la sua logica. E' la proposta e la condizione che il Partito Radicale pone per la sua sopravvivenza e per la sua futura azione politica. Ed il se su cui convergono tutti gli altri per il futuro del divorzio è appunto questo: se al congresso di novembre il Partito Radicale potrà decidere di continuare ad andare avanti, o dovrà prendere atto che la sua pretesa è irrealizzabile. Senz
a il Partito Radicale, se i radicali non avranno più una seria ragione per insistere nel loro impegno politico, non è neppure immaginabile la sopravvivenza della LID, né una qualsiasi strategia laica in difesa del divorzio. Ed anche questo dovremmo considerare di qui a novembre per valutare quanto valga impegnarci perché il Partito vada avanti.