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Craveri Piero - 30 agosto 1972
Socialisti: Un riformismo nato morto
di Piero Craveri (*)

SOMMARIO: La frustrazione del PSI rispetto alla struttura leninista del PCI è l'elemento di divisione delle due forze di sinistra. Il PSI ha cercato una posizione di alternativa con il Centro sinistra. Il PSI è oggi in una situazione di stallo tra riformismo e trasformismo.

(LA PROVA RADICALE - BENIAMINO CARUCCI EDITORE - N. 4 - ESTATE 1972)

Nel suo ultimo libro, "Il Governo difficile", Giorgio Galli avanza, in modo convincente, la tesi che la scissione di Palazzo Barberini non fu affatto determinata »dall'anticipata intuizione di Saragat dell'impossibilità di ogni collaborazione tra socialisti e comunisti mentre ci si stava avvicinando alla guerra fredda . La scissione non fu dunque »il frutto di una scelta meditata e preveggente, ma della situazione di frustrazione, al tempo stesso psicologica e politica, nella quale il problema dell'esistenza del PCI e della sua strategia politica ed organizzativa ha collocato i socialisti italiani. In altri termini, il disorientamento tra i socialisti, le oscillazioni di atteggiamento circa i rapporti col PCI, appaiono inevitabili, lungo l'arco di un ventennio, per il solo fatto che il PCI esiste .

A noi quel disorientamento e quelle oscillazioni non paiono, nemmeno retrospettivamente, inevitabili, ma nei fatti questa logica di comportamento politico ha prevalso. Ci rifiutiamo tuttavia di ricondurre ciò ad una pretesa meccanica di schieramento, il che vorrebbe dire far assurgere le regole della nostra scacchiera politica a leggi della storia. Occorre invece calare il bisturi nelle insufficienze di elaborazione intellettuale e politica della classe dirigente socialista di questo secondo dopoguerra, nella sua incapacità di rinnovare in modo originale la »tradizione socialista alla luce delle trasformazioni della società italiana. Questa tradizione costituiva nel suo complesso un patrimonio labile, ma anche ricco di contenuti ideali e politici, la cui suggestività e insieme debolezza, consistevano in una estrema fluidità dottrinale. Organizzazione sindacale, cooperativismo, buona amministrazione degli enti locali, socializzazione di alcune strutture dell'apparato statale, neutralità, laicismo, sono modi

di far politica nel nostro Paese che hanno la loro matrice principale, se non originariamente esclusiva, nella tradizione socialista. Questo patrimonio, ormai remoto, rischia di essere lasciato definitivamente nelle mani dell'erudizione storica: la classe dirigente socialista sembra solo preoccupata da problemi di schieramento.

E' questo l'ultimo, decisivo, atto di un processo che ha il suo inizio, non vi è dubbio, con la rivoluzione d'ottobre. Il modello leninista del partito venne infatti a costituire una proposta politica lacerante per il movimento socialista. Il modello di un partito che sapeva scegliere i tempi, i modi e i contenuti del processo rivoluzionario e tradurre l'obiettivo della società socialista in realtà storica. Tutte le contraddizioni in cui si era aggrovigliata la II Internazionale sembravano risolversi e trovare in esso il punto di mediazione necessario tra la prassi politica del movimento e il momento teleologico di essa, l'obiettivo della società socialista. Quelle cesure di continuità tra teoria e prassi che avevano sempre provocato ripercussioni traumatiche nel movimento socialista e che altro non erano che il riflesso all'interno del suo dibattito politico dei processi storici di sviluppo delle forze sociali e del connesso problema della loro finalizzazione, trovavano la loro sutura, prima ancora che nell

a dottrina e nella strategia politica del movimento comunista, nel metodo del centralismo democratico che costringeva il partito ad una continua e tempestiva ricerca di obiettivi politici puntuali, ma, compiuta la scelta, tagliava alla radice ogni possibile alternativa di linea, garantendolo così a priori da fratture interne e della continuità del rapporto tra la cosiddetta teoria e la prassi.

Amadeo Bordiga che fu in Italia il teorico più coerente di questo modello astratto di partito non mancò, inconsapevolmente, di accentuarne quelli che ne erano i limiti politici, il pericolo cioè di estraniare il partito dal movimento reale delle forze sociali. Ma l'opera di Lenin, di per sé sola, costituiva un valido punto di riferimento per intraprendere questa analisi, connessa com'era criticamente agli sviluppi del capitalismo europeo e legata ai grandi dibattiti teorici della II Internazionale. Non a caso essa fu di stimolo alla ricerca di quelle che erano le peculiari caratteristiche nazionali della lotta di classe. Antonio Gramsci può ben dirsi il primo teorico leninista d'una via nazionale al socialismo, e di segno opposto alla formulazione staliniana poiché, al di là delle differenze stesse di formazione intellettuale e politica, le condizioni storiche in cui prese ad operare il movimento comunista in Italia gli fecero privilegiare il momento della società rispetto a quello dello Stato.

Quella di Gramsci fu anche una reinterpretazione in chiave leninista della tradizione politica socialista. Le difficoltà in cui si era imbattuto il riformismo turatiano nel saldare la conflittualità salariale di un'esigua avanguardia operaia con le speranze di riscossa di un vasto esercito proletario stretto nella rete di una struttura produttiva ancora precapitalistica, onde l'apparente inconciliabilità del radicalizzarsi di alcune spinte di classe rispetto ad altre, veniva composto in un disegno organico di lotta di classe, definendo il carattere anticapitalistico dei conflitti operai e unificando lo scontro a livello del capitale con quello a livello dello Stato. E nello scontro si prefiguravano già come immanenti i contenuti istituzionali nuovi della società socialista, dai Consigli operai alla nuova organizzazione della cultura.

Un disegno così nitido e coerente lasciava, in prospettiva, poco spazio al vecchio movimento socialista. Tanto più quando, dopo la caduta del fascismo, Palmiro Togliatti, con un capolavoro di »ingegneria politica , sapeva tradurre la piattaforma gramsciana in premessa ideologica del nuovo corso riformista e democratico del comunismo italiano, riducendola a teoria della fase di transizione al socialismo e saldandola all'ormai consolidato modello stalinista del partito, che implicava anche lo stalinismo come modello ultimo di società socialista. Manca di fantasia politica chi crede oggi nella possibilità di una »evoluzione del PCI »che lo faccia apparire quale realmente è - un partito socialdemocratico di classe, i cui rapporti con l'URSS possono essere di assoluta autonomia politica . Centralismo democratico e riferimento allo stato guida sono due pilastri del partito, senza i quali, esso non è comunista, ma »socialista .

Al movimento socialista italiano non restava altra via da battere che quella di un coerente riformismo. Saragat e il suo partito, che la imboccarono per primi, non hanno saputo legare in un venticinquennio il loro nome nemmeno ad un provvedimento legislativo di una qualche rilevanza sociale. Il vecchio Partito Socialista, forte di un tradizionale consenso popolare che ne faceva a buon diritto una componente decisiva dello schieramento della sinistra italiana, invece di aprirsi ai problemi nuovi della società e di puntualizzare su di essi una rinnovata strategia, sembrava invece volgersi indietro e tornare a svolgere i nodi dei vecchi dibattiti della II Internazionale. Una testimonianza emblematica di ciò è la "Lettera aperta ai compagni comunisti" che, all'indomani della formazione del secondo governo Badoglio, Rodolfo Morandi stendeva per le colonne di "Politica di classe". Fra l'altro si diceva: »La realtà è che i socialisti portano, anche nel fuoco dell'azione, delle esigenze che i comunisti non provano.

Essi debbono assegnare un orizzonte agli sforzi che chiedono alla massa lavoratrice, non possono limitare le prospettive a successivi traguardi di tappa. E questo orizzonte è rappresentato dalle finalità di classe. Secondo la concezione che i socialisti hanno del partito, è la massa che nel partito esprime i suoi interessi e per mezzo del partito si dirige. Invece nella concezione comunista il partito è strumento per manovrare la massa, conforme alle direttive che ai quadri compete di assegnargli. Tutto questo comporta naturalmente una dinamica diversa. E' qualcosa di simile alla differenza che si stabilisce tra gli ordinamenti militari e quelli civili. Per gli uni basta un ordine, per gli altri occorre una motivazione, ossia la consapevolezza delle ragioni che muovono ad una data azione, e dei fini non soltanto immediati che sono da raggiungere . E aggiungeva: »La classe deve prendere posizione come tale. Nessuno vuol dubitare che l'intento che i comunisti portano nella lotta sia per il bene della classe, m

a essi svolgono una politica "per" la classe, noi, conforme al metodo democratico cui ci ispiriamo, non possiamo far che una politica di classe . Morandi negli anni '50 legherà il suo nome alla costruzione dell'apparato neostalinista del PSI e sarà un morandiano, Raniero Panzieri, a riprendere nel '60 i temi del primo Morandi e ad intraprendere con i "Quaderni Rossi" la prima esperienza, non sconfessata, della sinistra di classe in Italia. Così quest'ultima porta con sé, "malgré soi", una matrice socialista.

Il recupero acritico della vecchia tematica socialista circa il rapporto tra »classe e »movimento non poteva essere un punto di partenza valido per l'individuazione dei contenuti di classe del riformismo, ricerca che, per quanto distorta, sollecitava il nuovo corso riformista del Partito Comunista. Si reintroduceva nuovamente quella cesura tra teoria e prassi che costringeva il dibattito interno del movimento socialista per più di un decennio a percorrere a ritroso le vecchie motivazioni che avevano caratterizzato il travaglio ideologico tra le due guerre. Non si capisce altrimenti perché, ad esempio, un uomo come Lelio Basso, con parabola simile a quella di Morandi, sia passato dall'originaria premessa classista, alla completa identificazione con lo zdanovismo, per riscoprire poi, apertasi la crisi del movimento socialista in Italia, come esperienza più intellettuale che politica, l'opera di Rosa Luxemburg e, infine, a fare l'»indipendente nelle liste comuniste.

Lo stalinismo, la crisi del '29 e il nuovo rapporto che aveva provocato, nei paesi capitalisti, tra stato e capitale, l'esperienza laburista in Inghilterra erano passati, come acqua, sotto i ponti del movimento socialista, senza provocare il necessario stimolo di elaborazione politica ed ideologica. Non venne così costruita nemmeno un'ipotesi coerente di sviluppo e trasformazione delle strutture della società italiana, capace di porsi come alternativa socialista. Mancava conseguentemente anche una visione organica di come dovesse essere impostato il rapporto dinamico tra il partito e la »classe , al di là di mere petizioni di principio, un'analisi dell'articolata struttura dei ceti subalterni nella società italiana, sulla base delle quali compiere scelte alternative che comportassero un rinnovamento ed un ampliamento del tessuto sociale del partito. La guida di questa linea di avanzamento era stata lasciata interamente nelle mani del riformismo togliattiano e ciò non poteva non rendere precaria la definitiva

opzione riformista del Partito dopo il '56. Depauperati i canali autonomi di collegamento con la struttura sociale del paese, il riformismo socialista doveva finire per poggiare su un tavolo a due gambe, quella della maggioranza parlamentare, con i connessi problemi di schieramento, e quella del sottogoverno. Una situazione che farebbe torto alla capacità di elaborazione del riformismo socialista se non si trattasse di una inderogabile legge della lotta politica nella società moderna.

Perché occorre dire che la capacità di elaborare una linea alternativa di governo, specie in tema di politica economica, è maturata nel PSI durante la travagliata esperienza del decennio di centro-sinistra. Oggi la linea di politica economica del governo Andreotti-Malagodi non può dirsi, rispetto alla struttura reale dei rapporti economici e degli strumenti di intervento pubblico, senza alternativa, come di fatto lo era nel '47 la linea Einaudi. Il rapporto si è anzi capovolto e ciò grazie alla piattaforma programmatica socialista.

Ma un riformismo senza base sociale e senza gli strumenti operativi di partito per stabilire un collegamento continuo con essa, manca di uno strumento indispensabile di forza e di verifica che gli consenta di porsi di fronte alle scelte di governo e di opposizione con la necessaria autonomia rispetto a quella che è la logica di schieramento determinata dai due grandi partiti dell'arco politico italiano; rischia cosi di scadere al rango di »terza forza , non tanto per consistenza elettorale, ma politica.

Questa condizione di stallo dell'iniziativa socialista è rappresentata infatti in modo emblematico, sui due lati opposti dello schieramento politico, all'interno del Partito, dal riformismo di Riccardo Lombardi e dal trasformismo del gruppo nenniano.

Questa legge di tendenza a divenire »terza forza è il pericolo che grava oggi sul Partito Socialista. Per modificare questo corso inevitabile occorre ristabilire in termini politici e organizzativi il rapporto tra programma di riforme e struttura sociale del Paese. Una strada imboccata all'indomani della fuoriuscita della destra socialdemocratica dal Partito nel '69. Ma con quante contraddizioni e insufficienze di approfondimento, valgano due esempi, quello della politica sindacale e quello del divorzio.

In campo sindacale i socialisti sono stati i più coerenti assertori dell'unità e dell'autonomia del sindacato. La loro iniziativa e il determinante contributo di operatori culturali e politici socialisti hanno permesso, negli anni passati, il varo di una legislazione di sostegno al sindacato, incominciando dallo statuto dei lavoratori. Ma una politica sindacale del Partito e la necessaria capacità di indirizzo in questo settore è mancata. Non si è inteso ad esempio che la strada dell'unità e della autonomia del sindacato passava attraverso una linea rivendicativa di tipo anticapitalista che a lunga scadenza si sarebbe scontrata con la diversa strategia del riformismo comunista e con i problemi di equilibrio politico e sociale del mondo cattolico. E non si è inteso che il radicale rinnovo della struttura contrattuale innestava nell'ambito del nostro sistema capitalistico un ordinamento di relazioni tra capitale e lavoro che era in realtà di tipo liberistico e richiedeva, quindi, di essere connesso istituziona

lmente con la politica di piano se si voleva dare coerenza alla politica socialista, e ciò operando sia a livello di governo che nei dibattiti del sindacato. Rotto il processo unitario, i quadri sindacali socialisti si trovano ora sparsi e divisi nelle tre diverse confederazioni, privi di una linea sindacale che rilanci la loro presenza politica in quanto socialisti.

La vicenda del divorzio rimane forse il caso più emblematico. I socialisti come primi firmatari della legge erano riusciti a coprire quella che era stata forse la carenza più grave della loro presenza al governo. Quella di non aver provocato una modifica radicale nell'ambito dell'ordinamento delle libertà civili. Codice penale, leggi e regolamenti di polizia, diritto di famiglia, funzionamento della giustizia erano tutti temi abbandonati nell'appendice del programma di governo. Il varo della legge sul divorzio sembrava dover rinverdire la tradizione laica e di promozione delle libertà civili, rispetto a cui il Partito vantava, con l'art. 7, un attestato di coerenza che le altre forze politiche italiane non possedevano. Ma con la crisi presidenziale, di contro a ciò, emergeva invece netta la tendenza a subordinare strumentalmente la legge del divorzio a quella dell'equilibrio politico. Anche qui i socialisti tendono a perdere una carta preziosa per fissare coerentemente stabili legami di rappresentanza con le

forze di rinnovamento della società civile, e più che mai mostrano di condizionare la loro linea operativa a quella della DC e del PCI.

Un partito che si apra con intransigenza alle necessità nuove e antiche della società civile ha la possibilità di ricostruire e rafforzare l'area di consensi del movimento socialista. Oggi il terreno di competizione non è più quello della vecchia area socialista. I risultati elettorali, l'emblematica fine del PSIUP, segnano il tramonto logico del tradizionale elettorato socialista. Coerentemente con la storia prevalentemente subalterna del Partito esso passa, è passato anzi, nell'area comunista. Alla fine dei conti il muro elettorale del 40 per cento nel 1972 è lo stesso che nel 1946, solo che un 10 per cento in più è passato al PCI.

Ferdinando De Martino, interrogato nelle ferie d'agosto da un giornalista sulle prospettive congressuali ha opposto un bonario "no comment". »Trattasi, egli ha detto, di una questione intima . Noi ci auguriamo che il Congresso, nell'ottantesimo della fondazione del Partito, non sia quello dell'»intimità svelata del compagno De Martino, ovverossia del governo si e no, del più e del meno. Ci auguriamo che il dibattito verta sui contenuti, sui grandi problemi di rinnovamento della società civile, ribadisca la sua vocazione laica e libertaria, si ponga il problema di ristabilire i legami necessari, organizzativi e politici del Partito, con la classe operaia e con i ceti progressisti del Paese, senza che il movimento socialista scade a »terza forza .

(*) Piero Craveri è un iscritto al PSI ed al PR.

 
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