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Mellini Mauro - 5 ottobre 1972
La politica dei partiti laici fa di Leone l'arbitro del divorzio
di Mauro Mellini

SOMMARIO: I partiti laici hanno ormai acceduto alla tesi di rinviare di un anno il referendum sul divorzio, cioè al 1974, secondo la tesi proposta dai "costituzionalisti del regime". Non essendoci la condizioni per liquidare la legge Fortuna, questo appare loro il male minore: "comunisti, socialisti, socialdemocratici e repubblicani sono concordi nel considerare che il vero problema è quello di evitare il referendum, non quello di salvare il divorzio". E intanto il Presidente della Repubblica, Leone, ha in mano gli "strumenti" per tentare una nuova "mediazione", o meglio un "diktat". Egli dovrà infatti, tra poco, sostituire i due giudici costituzionali scaduti; inoltre, spetterà a lui fissare la data del referendum, magari ascoltando i "suggerimenti" provenienti dal vaticano.

Il regime è "in movimento" per "schiacciare" il divorzio, nessuno dei partiti laici oserà inceppare questo "ingranaggio". Solo, potrà farlo una forza non legata al "regime". Per anni, la LID ha operato in questo senso. Se poi oggi l'on Fortuna ha aderito al partito radicale, è perché anche lui ha condiviso i nostri giudizi. E per questo è importante che il partito radicale, il 3 novembre, possa trovare, grazie alle nuove adesioni, la forza"per andare avanti".

(NOTIZIE RADICALI, 5 Ottobre 1972)

E' durato dieci giorni il fermo proposito dei repubblicani, dei socialdemocratici, dei liberali, dei socialisti (nemmeno tutti) di andare al referendum. Dopo aver constatato che non ci sono più le condizioni in parlamento per sostituire la legge Fortuna con un'altra che conservi almeno il nome del divorzio, si sono buttati sulla tesi che il referendum dovrebbe essere tenuto nel 1974 e non nel 1973, ben lieti che secondo la scienza dei costituzionalisti del regime una sospensione di trecentosessantacinque giorni significhi un rinvio di due anni. D'accordo, ancora una volta con i comunisti, che dopo aver affermato per bocca dalla on. Jotti che lo scioglimento del matrimonio celebrato in chiesa dovrà essere regolato con il rinnovo del Concordato, ammettendo così che lo Stato ha fatto male a disporne per conto proprio, fanno oggi dell'interpretazione della legge costituzionale che consenta di tenere il referendum un anno dopo, un'obiettivo fondamentale della lotta delle masse assieme alla liberazione del popolo

vietnamita.

Un gran sospiro di sollievo, dunque, per il rinvio di un anno. Intanto Dio provvederà. O provvederà la Corte costituzionale opportunamente rimaneggiata, oppure il Parlamento, dove sono depositati due progetti di abrogazione presentati dai due gruppi che costituiscono la maggioranza antidivorzista che oggi vi siede. Un anno in più di tempo per molte cose.

Sperare di esercitare su queste forze politiche una pressione analoga a quella che le ha costrette ad arrivare all'approvazione della legge Fortuna il 1· dicembre 1970 è una speranza vana. Comunisti, socialista, socialdemocratici e repubblicani sono concordi nel considerare che il vero problema è quello di evitare il referendum, non quello di salvare il divorzio. Così come fascisti e democristiani considerano che il vero problema è quello di abrogare il divorzio, non quello di fare il referendum, che li vedrebbe irrimediabilmente sconfitti e ridicolizzati. Sono quindi tutti d'accordo, ricattatori e ricattati, dirottatori e dirottatori. Tanto sono d'accordo che non hanno esitato a mettere nelle mani di Leone tutti gli strumenti per imporre nei prossimi mesi non una nuova mediazione, questa volta, ma un vero diktat. Saranno due a febbraio i giudici costituzionali scaduti che spetta al Presidente della Repubblica sostituire. Inoltre egli si troverà in condizione di fissare a breve scadenza il referendum che i c

osiddetti laici si ostinano a non voler preparare, prendendoli, se così si può dire, di contropiede, oppure di rinviarlo, come essi confidano, al 1974. A questo punto i suggerimenti che Paolo VI non ha mancato di elargirgli il 22 settembre potranno contare su di un formidabile braccio secolare, creato dalla insipienza e dalla pusillanimità dei partiti laici.

Il meccanismo del regime è in movimento per schiacciare il divorzio, dare soddisfazione al Vaticano dell'»oltraggio del 1· dicembre '70, rinnovare il Concordato con l'esclusiva alla Sacra Rota delle questioni matrimoniali e, soprattutto, per togliere ai cittadini ed ai credenti la velleità di dire la loro su questioni che il potere dello Stato e della chiesa vogliono amministrare e dilapidare tra loro senza controlli ed interferenze.

Nessuno dei partiti del regime oserà mettere una zeppa in questo ingranaggio, malgrado qualche prevedibile declamazione retorica. Eppure l'ingranaggio può essere bloccato solo che si abbia la possibilità di muovere una forza che con il regime nulla abbia a che fare ed anzi sia ben conscia di rappresentarne se non ancora un'alternativa, almeno un consistente elemento di disturbo e di contestazione, un punto di riferimento delle forze che, malgrado tutto, nel paese non sono poi trascurabili.

La Lid, per anni, ha costituito, soprattutto un punto di riferimento per i militanti dei partiti laici di governo e d'opposizione ed un pungolo per i partiti stessi. Ha operato dentro il regime, non ancora chiuso e scaltrito al punto di sopprimere ogni fermento del genere al proprio interno. Oggi solo una forza politica che faccia della lotta al regime in ogni campo la sua ragion d'essere ed il suo programma può salvare il divorzio. Perché salvarlo è possibile, se in questo vergognoso giuoco delle parti si inserirà, per smascherarlo, una forza ad esso estranea. Per portare in porto la resa del laicismo ed il tradimento dell'opinione pubblica largamente divorzista e profondamente indignata per la tracotanza clericale, i partiti del regime hanno bisogno di potersi spacciare per gli unici rappresentanti di questa opinione pubblica, di escludere che al di fuori di essi vi siano forze che non stanno al giuoco.

Se Fortuna ha oggi aderito al Partito Radicale, ciò e dovuto indubbiamente al fatto che anche lui ha condiviso questo giudizio. La verifica della possibilità di sopravvivenza del Partito Radicale è la verifica della possibilità di salvare il divorzio. Se il 3 novembre, non avendo raggiunto quel minimo di consistenza numerica che non faccia apparire in partenza velleitaria e pretestuosa la nostra pretesa di sfidare il regime, saremo costretti a prendere atto che dobbiamo rinunziare a dar battaglia, il regime avrà vinto anche contro il divorzio e come realizzerà la liquidazione sarà solo cronaca spicciola dei prossimi mesi. Se invece saremo in grado di andare avanti, se i divorzisti, i democratici di ogni provenienza, i militanti di base dei partiti che non ne condividono i propositi di resa, ci daranno la forza di continuare, ebbene allora sarà difficile per il regime liquidare sottobanco una conquista civile che la grande maggioranza dei cittadini considera, come la considera il Partito Radicale, un dato sul

quale non sono ammesse transazioni.

 
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