di Loris FortunaSOMMARIO: L'on. Fortuna motiva le ragioni che lo portano ad aderire al partito radicale. In questi stessi giorni, in vista del congresso socialista, si dibatte parecchio nelle sedi di quel partito, ma Fortuna afferma di non "appassionarsi" alle logomachie correnti. Ricorda di essere impegnato nelle lotte per la difesa del divorzio e perché si tenga il referendum, per la depenalizzazione dell'aborto, per la liberazione degli obiettori di coscienza e gli anarchici Valpreda, Borghese e Gargamelli siano liberati. Avverte di sentire nell'aria una "ipoteca seria", uno "scandalo vero, grave, all'orizzonte": il rischio, vale a dire, che il partito radicale decida di "porre termine" alla sua esistenza. La stampa purtroppo ignora le battaglie di questi "eredi intransigenti" di Ernesto Rossi con i quali lui stesso, Fortuna, ha lavorato in "stretta simbiosi". Le redazioni dei giornali sono intasate "di articoli non scritti, di foto, di progetti radicali", i settimanali vivono di "rendita" sulle loro manifestazioni, ma s
olo i giornali e i corrispondenti stranieri ne segnalano le battaglie, cercano di fornire un identikit del loro leader Pannella. Le analisi di questi compagni, i loro interventi sono ormai "di importanza essenziale per tutti noi". Allora, perché essi intendono "sciogliersi" e abbandonare l'impegno civile?
Il loro giudizio è che se negli anni '60 una alternativa "alla DC" sembrava possibile e vicina, oggi ci troviamo ancora "in pieno regime neo-concordatario". Si "schiacciano" le nuove sinistre, il "regime ha ormai mille volti". Per questo è importante dare al partito radicale una "organizzazione" più forte e adeguata. I radicali affermano che se non saranno almeno mille non potranno, nel futuro immediato, progettare e realizzare lotte vincenti. Non sono "disfattisti" ma non vogliono essere "eroi", anche se sono "abituati a essere vincenti". Alcuni, come Padre Balducci, dicono che le "linee di tendenza della storia" vanno nella direzione indicata dai radicali. Per suo conto, infine, Fortuna informa di aver deciso di "aderire" e di volersi recare al congresso di Torino, "sperando di trovarvi molti e molti nuovi e vecchi compagni". Fa sue, in conclusione, le parole del socialista Giorgio Fenoaltea che anche egli ha deciso di iscriversi, con doppia tessera, al partito radicale.
(NOTIZIE RADICALI, 5 Ottobre 1972)
(Pubblichiamo l'articolo con il quale Loris Fortuna ha annunciato e motivato su "ABC" la sua adesione al Partito Radicale)
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Non riesco ad appassionarmi alle logomachie politiche di quest'autunno caldo, tiepido o freddo, a ciascuno come pare. Intervengo, certo, come devo, sul divorzio, poiché son tornati a discuterne una volta di più per coprire altre vergogne e altri tentativi di truffa politica: il divorzio che è ormai pratica civile e serena, severa e circoscritta del paese, ma che, per la classe politica continua a servire per operazioni di potere che non possono nemmeno essere confessate. E ribadisco, ormai da più di un anno, che il referendum, che noi non abbiamo voluto, ora s'ha da fare se non vogliamo mortificare ancora una volta quel tanto di democrazia che resta, e non è ancora ridotta a fango, quel fango che Paolo VI denuncia, dimenticando che è innanzitutto prodotto storico ed esigenza ecologica del potere clericale.
C'è il congresso del mio partito, all'orizzonte. Partecipo alle assemblee, quando ci sono discuto con i compagni; cerco di capire - e non sempre ci riesco, lo confesso - quali siano in fondo le »tesi sulle quali dobbiamo pronunciarci. Con i compagni comunisti, socialisti, radicali, con quelli de "Il Manifesto" o di "Lotta Continua", con i credenti della comunità di San Paolo o in ideale fratellanza (chi ce l'avrebbe detto?) con i Balducci e i Franzoni, lotto perché gli obiettori di coscienza antimilitaristi non violenti e gii anarchici Valpreda, Borghese e Gargamelli siano liberati, perché la giustizia si affermi e vinca. E solo può farlo se direttamente essa venga sollecitata, predeterminata dalle masse popolari democratiche, in nome delle quali si è invece fatto strage, da parte di corpi dello Stato, di leggi, di istituzioni, di persone.
Un'ipoteca e uno scandalo
Lavoro perché la depenalizzazione e una disciplina civile e umana dell'aborto liberino milioni di donne, di famiglie e di uomini da una sorta di maledizione biblica che li flagella da generazioni; sto per presentare - se possibile d'intesa con le compagne del MLD - un progetto di legge adeguato a questo fine.
Non è dunque che lavoro e impegno manchino. Ma da qualche mese è come se un'ipoteca seria, per quanto riguarda noi socialisti e in particolare quelli di accentuazione laica e libertaria, si costituisca in spessore fra questa attività e speranze che pur devono animarla. Sono stato riluttante a dare precisione a questo stato d'animo. Ho esitato dinanzi alla sproporzione apparente (per gli altri, in buona o in mala fede) fra la gravità di questo disagio e la sua causa. Se non è ancora tardi vorrei sciogliere oggi, con chiarezza ed energia, questa esitazione. Augurandomi che altri mi intenda e comprenda, e trovi nella mia decisione motivo d'assumersi anch'egli le responsabilità e gli appartengono.
C'è uno scandalo, vero, grave, all'orizzonte. Non intendo esserne complice nemmeno per omissione. La settimana scorsa "ABC" l'ha evocato.
Probabilmente, se una reazione chiara e rapida dei nostri compagni e amici laici, divorzisti, libertari, socialisti non lo impedirà, il Partito radicale deciderà di porre termine alla sua attività e alla sua esistenza.
Dieci anni di lotta politica comune
Chi sa qualcosa del Partito radicale? Quale stampa, in questi anni, ha svolto il suo compito di informazione rispetto a questo gruppo? Eppure, continuamente, i compagni radicali riuscivano - da dieci anni - a violare il silenzio che le cronache del regime avevano stabilito (senza distinzione di »destra o di »sinistra ufficiali) dovesse circondarli e soffocarli.
I vecchi lettori di "ABC" ricorderanno la stretta simbiosi che avevamo realizzato, fra Partito radicale, Lega italiana del divorzio, io stesso, allora isolato provocatore socialista in Parlamento con la legge che avevo dovuto concepire e presentare da solo. Ricorderanno non solo l'esplodere di questa battaglia, che senza i radicali sarebbe - come tutti riconoscono oggi - impensabile in termini di iniziativa politica anche e soprattutto extraparlamentare e di massa; ricorderanno le memorabili campagne sull'assistenza pubblica, le denunce contro il racket clericale dell'infanzia (che il Partito radicale da solo riuscì a imporre fino all'episodio di Petrucci), quello sulla Previdenza sociale, altre antimilitariste e democratiche. Questi eredi intransigenti e forti di Ernesto Rossi con la loro rigorosa fantasia di militanti, con le marce, i digiuni, le sottoscrizioni, i cartelli sandwich, i sit-in, le »occupazioni (ben prima che venissero di moda) perfino della RAI-TV, le lotte non violente, la continua attivit
à »di servizio per ogni minoranza, fossero anarchiche o comuniste, studentesche o liberali, di hippy o di provos; con le audacie o temerarietà sulla morale sessuale, sui problemi della famiglia, con il loro rigoroso ma tollerante e voltairiano anticlericalismo, antiautoritarismo, hanno - in realtà - marcato dieci anni della nostra vita civile e politica.
Una censura fatta di omertà e di silenzio
Le redazioni e gli archivi dei giornali, non solo italiani, si sono intasati di articoli non scritti, di foto, di progetti radicali. I settimanali vivono da anni di rendita sulle loro e nostre manifestazioni, ogni qualvolta vogliano illustrare temi e iniziative relative ai diritti civili in Italia.
Sempre unitari, sempre in leghe e movimenti che promuovevano dove, la milizia era assicurata da compagni comunisti e socialisti, impegni libertari e democratici.
Ma è solo su libri e su giornali stranieri - qua e là - che il loro valore e il loro peso sono stati segnalati: il corrispondente di "Le Monde" da Roma, Jacques Nobecourt, nel suo libro sull'Italia dedicava al Partito radicale attenzione e spazio pari a quello repubblicano o socialdemocratico o liberale; mentre dal "Time" al "Guardian" articoli ampi comparivano, fornendo una informazione che gli italiani non hanno, ancor oggi, mai avuta.
E se l'ex-presidente della stampa estera in Italia, Armstrong, ha comparato il mio amico Marco Pannella a Ralph Nader, il popolarissimo e temuto difensore dei consumatori e dei cittadini americani, non v'è giornalista che in privato non professi almeno rispetto nei suoi confronti, ma che »professionalmente non tema di nominarlo.
Ma se mai un merito dovesse essere riconosciuto al Partito radicale, questo è proprio lì dove con umiltà e serietà essa ha taciuto, ha voluto che parlasse la prassi.
Antiideologi per eccellenza hanno però fornito spunti e analisi teorici di importanza essenziale per tutti noi, per quella sinistra dei cui apparati, fra ostilità e stalinismi ricorrenti, essi rischiano di essere ogni giorno vittime. Non è qui il caso di parlarne. Ma il successo di "La prova radicale" - la rivista che da un anno hanno concepito e diffuso - dimostra che anche lì, dove si astenga di negarlo, il prestigio di questi compagni è consistente e non marginale. Dai libri di Mauro Mellini all'obiezione di coscienza di Roberto Cicciomessere, agli interventi di Pannella, di Spadaccia, di Bandinelli, di Teodori; dalle decine di processi che essi dovranno affrontare e che saranno momenti di lotta democratica per tutti; al movimento di liberazione della donna, al movimento antimilitarista, alla agitazione sul tema dell'aborto, alle disobbedienze civili, esplicitamente legato anche alle antiche battaglie libertarie, laiche, progressiste, sociali del socialismo »utopistico - la nostra più grande e nobile sta
gione - si è incarnato in una struttura, che è esemplare, e ha mostrato una efficienza e una solidità rari.
Allora, perché mai questi compagni, fra il 1· e il 3 novembre, nel loro congresso di Torino, prenderanno, prenderebbero la decisione di sciogliersi e di abbandonare - nella grande maggioranza - ogni ulteriore impegno civile?
La loro analisi è singolare, sconvolge ancora una volta abitudini, annulla e dissacra tabù vecchi ma sempre in corso fra di noi. Noi eravamo sorti - essi dicono - sull'onda e nell'ipotesi dell'unità e del rinnovamento della sinistra, da sollecitare e da irrobustire garantendone una maggior forza laica e libertaria, di »nuova sinistra .
Cosa è cambiato da allora ad oggi
Non pretendevano di costituire un punto di riferimento necessario e conclusivo per nessuno. All'inizio del '60 la situazione del PCI e del PSI faceva sperare che le forze di alternativa radicale alla DC, al regime corporativo, interclassista, clericale si sarebbero affermate dentro questi partiti e fuori. Amendola non era giunto perfino ad annunciare che il PCI avrebbe accettato di cambiare nome, di confluire in un grande e unitario partito del lavoro?
Invece siamo in pieno regime neo-concordatario. Il divorzio viene adoperato per meglio comporre il »dialogo fra burocrati e clericali; si schiacciano nel PCI, nel PSI, nel paese minoranze di nuova sinistra, e il regime ha ormai mille volti e nessun oppositore di decisa volontà e di adeguata consistenza.
In queste condizioni si deve dare al Partito radicale una consistenza di strutture e di organizzazione, di unitarietà e di maggior forza di base che è lontano dall'avere oggi. »Vivevamo - dicono - per dissolverci al più presto fra i compagni comunisti, socialisti, libertari democratici, in un'unica, grande formazione alternativa.
»E' vero, abbiamo fatto molto - continuano - non essendo nemmeno un centinaio di militanti iscritti. Ma allora sapevamo che il regime avrebbe potuto esser colto di: sorpresa dalle nuove forme e dai nuovi metodi, e dai nuovi obiettivi che inventavamo e proponevamo a tutta la sinistra di gestire. Ora, se non diventiamo nemmeno un migliaio, è presuntuoso, da fanatici, pensare di poter gestire e proporre da soli una decina di referendum popolari abrogativi delle leggi fasciste, del Concordato, dei tribunali militari, dell'incostituzionale finanziamento della scuola privata, dell'assistenza clericale, dell'aborto, con i quali solo entro il 1974 si può sperare di ridare alle masse democratiche dei lavoratori alle basi di elettori e di militanti comunisti, socialisti, laici forza e funzione diretta di lotta, per la liberazione della nostra società .
Né martiri né eroi
A chi li accusa di disfattismo, di rinuncia, rispondono con durezza di non voler essere né martiri né eroi; né di avere missioni da parte di nessuno né vocazioni a essere i salvatori della patria o della classe. Spiegano che il »regime - oggi - è al punto in cui si trovava l'Italia nel 1928-29: in fase avanzatissima di affermazione e di solidificazione.
Che per dieci, per venti anni probabilmente, la speranza socialista di una politica dal volto civile e umano rischia di essere di nuovo definitivamente compromessa, distrutta.
Sono compagni abituati a essere vincenti. Abbiamo vissuto insieme ore, giorni, anni di lotte esemplari, esaltanti. Hanno entusiasmo e coraggio, capacità di sacrificio e di lotta per i loro ideali socialisti libertari, sempre riaffermati, sempre presenti. Hanno ordinato il loro Partito in modo tale che sembrava una scommessa: l'assoluta libertà per ogni militante; l'assenza di ogni possibilità di »controllo , di sanzioni disciplinari; la sollecitazione alla molteplicità delle milizie e delle tessere (le nostre contraddizioni sono anche la forza del movimento socialista, dicono; non possiamo chiedere a dei riformatori o a dei rivoluzionari laici di vivere la disciplina dei partiti come quelle delle chiese, o di quella più autoritaria); la statutaria indisponibilità di ogni eletto (locale o nazionale, in Comune o in Parlamento) a qualsiasi vincolo di partito! il rigido e pubblico (e feroce, aggiungo, poiché conosco quanto si sia andati avanti in questa direzione) autofinanziamento e autotassazione per le spese
di attività.
Ho scritto loro, e ai loro compagni nonviolenti, domenica scorsa, il generale degli scolopi padre Ernesto Balducci:
"»Le profonde linee di tendenza della storia sono dalla vostra parte: i veri realisti siete voi. A voi è affidato il futuro dell'uomo: i tutori del diritto difendono il suo passato. E dalla vostra parte è il progetto umano contenuto nelle beatitudini evangeliche, alle quale è promesso il dominio della Terra. E' promesso a chi sa restare fedele alla violenza della nonviolenza. Non molliamo, dunque ".
Milizia radicale e milizia socialista
Io non so, e non posso, e non voglio fornire giudizi così certi, esortazioni così fraterne, ma anche così cariche di responsabilità, come padre Balducci nei confronti dei miei compagni radicali, socialisti radicali.
Forse perché la nostra storia, in questi anni, si è troppo profondamente intrecciata e in parte confusa. Ma quel che so è che se il Partito radicale si scioglie è uno scandalo e un proseguirsi della strage di democrazia che avviene nel nostro Paese. Se i radicali iscritti sono oggi solo 400 è perché al massimo venticinquemila italiani sono al corrente della loro vita, dei loro progetti, della scadenza che pubblicamente da oltre un anno - senza eco - si sono posti.
Allora, credo, non mi resta che dire no alla tentazione che è nelle cose, e in una vita politica già così difficile da esser ormai drammatica per socialisti quale io sono di denunciare e accusare altri senza avere assunto in pieno ogni mia responsabilità possibile.
Ho deciso di aderire, pienamente e senza riserve, al Partito radicale. Andrò a Torino, sperando di trovarvi molti e molti nuovi e vecchi compagni. Come questo sia possibile (senza venir meno ai miei doveri di militante del PSI, ma anzi potenziandoli e rafforzandoli), spero che la stampa e "ABC" in primo luogo vorranno essi liberamente ed esaurientemente spiegarlo. Per ora non posso che riprendere a mio conto la affermazione del mio compagno Giorgio Fenoaltea, nell'aderire anch'egli al Partito radicale:
"»Da oltre un quarto di secolo milito nel PSI e non ho alcuna intenzione di cambiare strada. La tessera del Partito radicale mi appare come una integrazione della tessera socialista, per lo specifico carattere delle azioni che il Partito radicale ha condotto e conduce ".