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Azione Nonviolenta - 31 dicembre 1972
Votata la legge truffa sull'obiezione di coscienza

SOMMARIO: Un meccanismo di legge che è il più possibile restrittivo e punitivo". Un cosiddetto "riconoscimento" che invece di affermare un diritto, vale a introdurre nei nostri codici il reato di obiezione di coscienza. Servirà a colpire meglio gli obiettori, con una pena da 2 a 4 anni di prigione - Chi per grazia sovrana verrà ammesso a compiere il servizio civile alternativo, dovrà pagarla con una ferma maggiorata di 8 mesi, rimanendo in più sempre soggetto a tutti gli effetti, quale "soldato distaccato", alla giurisdizione militare.

(AZIONE NONVIOLENTA, novembre/dicembre 1972)

"E' necessario respingere ogni tesi tendente ad identificare il pacifismo con una condanna dell'apparato militare essenziale invece nell'ambito dello Stato". Così si è espresso il relatore di maggioranza sulla legge per l'obiezione di coscienza, sen. Rosa, all'inizio della discussione su di essa. A legge varata, scrive l'"Avvenire": "E' un segno dei tempi che oggi vada crescendo il numero di quelli che non vogliono in nessun modo portare armi, imparare ad uccidere, studiare i modi più efficaci per danneggiare il suo prossimo e prepararsi ad usarli".

E' alla luce di queste due proposizioni, antitetiche, che va riguardata la legge approvato il 14 dicembre dal Parlamento italiano, che ricalca quella legge Marcora votata dal Senato nella scorsa Legislatura e universalmente definita legge-truffa.

Ovviamente sul "segno dei tempi" e sulle ragioni di coloro che si tendono a viverli, ha prevalso la ragione (il potere) dello Stato. Poiché allo Stato è "essenziale" l'apparato militare, essenziale è che coloro che vi si oppongono, che obiettano ragioni e modi più adeguati ai tempi (di connessioni e di problemi transnazionali, di unità mondiale), ne rimangano soffocati e sviliti. Che la testimonianza del ripudio della guerra rimanga confinata al personale aborrimento del sangue e resti appannaggio di pochi, cui siamo pronti anche a riconoscere il titolo di profeti e di eroi e di benemeriti della coscienza e del vivere civile. Ché se dovessero divenire i più e passare al piano politico dell'aborrimento dell'assassinio legalizzato di massa, allora umanità e civiltà e democrazia andrebbero in sfacelo, perché in rovina andrebbe lo Stato (che si vuol essere qualcosa di distinto dalla comunità che lo compone, di diverso e di più alto della volontà dei suoi cittadini fossero anche la stragrande maggioranza) se si t

rovasse negato in quel suo pilastro "essenziale" che è per l'appunto l'apparato bellico.

Ecco quindi che, alla luce di questa logica, un Parlamento il quale doveva riconoscere il diritto, "aperto a tutti", ad obiettare, ad atteggiarsi conformemente al ripudio di un modo politico retto su strutture di guerra, vota una legge che si traduce e serve al suo opposto, cioè a statuire il reato dell'obiezione di coscienza. Non c'è, ripetiamo, da farsi meraviglia di quest'esito, abnorme e logico insieme, da parte di un Parlamento composto di forze politiche che, "dalla prima all'ultima, di destra e di sinistra", sono tutte concordi sul principio sommo (per il potere) della necessità dell'apparato di guerra.

All'altezza di questa verità, un partito si è distinto di fronte agli altri nel non velare la mistificazione, coerente e chiaro in questa posizione condivisa da tutti, di chiusura all'azione pacifista dal basso e di gelosa tutela del potere dello Stato espresso dalla forza militare: il MSI, esplicito nella sua avversione all'obiezione di coscienza, deciso e compatto nel dare battaglia qualora la legge si aprisse minimamente su una linea pacifista. Secondo viene il Partito comunista, che sia pure con un atteggiamento non altrettanto schietto, dicendo sì in via di principio all'obiezione ma contornandola da mille riserve, è stato comunque esplicito e netto nel suo sostenere una legge che valga a ridurre a termini insignificanti il montare dell'opposizione al servizio militare.

Partito socialista e repubblicano, non molto più che a parole desiderosi di apportare un qualche miglioramento alla legge-truffa cara allo schieramento governativo, nulla di fatto hanno prodotto per contrastarla in modo adeguato e sistematico - con l'impegno cioè del proprio intero apparato politico-parlamentare - lasciando a singoli loro parlamentari il compito di giocare a gettare la palla di emendamenti subito e tranquillamente rimandata dall'avversario di gioco governativo.

Così il gioco è ben riuscito, e lo Stato resta salvo e sano. Anzi ora sta meglio. Prima presentava un fianco scoperto, perché nella repressione degli obiettori soffriva del disagio giuridico di condannarli senza una norma specifica al reato di obiezione, esposto quindi alla scorrettezza di incarcerarli sulla base di imputazioni non pertinenti: di disobbedienza, renitenza, diserzione. Ora la legge viene a sanare la falla con l'istituzione del reato di obiezione, e lo Stato può con buona coscienza affibbiare all'obiettore anni di galera, in piena regola col diritto.

Nel vantarsi di questa legge, ci si è sbracciati a parlare di acquisto democratico. Quale affermazione democratica - se principio fondamentale di democrazia è l'eguaglianza dei cittadini - quando si discrimina i cittadini-obiettori dai cittadini-soldati, e li si pone nella condizione punitiva di prestare un servizio civile di otto mesi più lungo di quello militare?

Si è risolto un problema di rispetto della coscienza. Ma al cuore della coscienza dell'obiettore, sua ragione costitutiva, sta l'assoluta indisponibilità a far parte per nessun verso della struttura militare. Si traduce allora in una smentita e in una offesa, la condizione posta all'obiettore di venir considerato null'altro che un "soldato-distaccato" e di rimanere assoggettato a tutti gli effetti alla giurisdizione militare.

Ultima pretesa, si è detto da parte di molti di aver accettato di piegarsi a questa legge per la considerazione umana di togliere dal carcere gli obiettori. Tutti sanno invece fin d'ora che una altissima percentuale di obiettori, quella costituita dai testimoni di Geova, continuerà comunque ad andare in carcere; la restante parte di obiettori che conosciamo, o non verranno riconosciuti o si troveranno a dover rifiutare questa legge nella quale non trovano nulla in cui riconoscersi, costretti quindi anche essi a riprendere la via della prigione.

Ben più che imperfetta, questa è una legge inutile, e falsa, sul piano politico, democratico, civile, umano. E' una beffa e una trappola, legge-truffa discriminante e repressiva.

Non significa essa allora nulla per i pacifisti, o peggio è da considerarsi una sconfitta? In via immediatamente pratica, così è certamente, perché tutto in pratica è come prima e peggio di prima, perché chi è obiettore avrà ancora a dover dire non a una coscrizione che attraverso questa legge ugualmente lo militarizza, e la massa dei giovani coscritti si troverà sempre costretta a piegarsi alla schiavitù militare restando sempre arbitro l'esercito di decidere quali e quanti di essi potrà tollerare che non lo servano in armi.

Ma in termini ideali la novità del riconoscimento giuridico dell'obiettore di coscienza - che possiamo ben dire "strappato" al potere dello Stato, anche se l'ha articolato in modo tale da poterlo gestire a tutto suo libito - ha un grande significato, perché introduce un fondamentale valore di principio di contro ad uno dei massimi e pericolosi poteri dello Stato, quello che pretende di coscrivere la guerra. Con tale riconoscimento viene infirmato il principio (il diritto usurpato) dello Stato che pretende una sudditanza assoluta del cittadino in materia di assassinio di massa legalizzato. Ne consegue anche una più aperta condizione culturale, con la smitizzazione del concetto "sacrale" del servizio militare quale sommo valore, più alto dovere e insieme titolo di merito del cittadino: almeno pari valore va riconosciuto da oggi a chi, invece di portare armi, vuole recare nella comunità un servizio effettivo di solidarietà e di pace.

Ma pure in termini pratici, di lotta, questa legge-truffa può dar adito ad un processo positivo. Proprio la sua meschinità, le sue contraddizioni di principio e la stessa sua inadeguatezza sul piano tecnico, la espone ad una immediata contestazione: che non riguarderà più soltanto coloro che si sono trovati fin qui a direttamente lottare sul fronte dell'obiezione, ma investirà ora tutti quegli altri giovani desiderosi di poter esprimere la loro tensione pacifista contro il servizio dell'uccisione militare e che di giorno in giorno si attendevano - senza dover affrontare la dura vita del carcere - di trovare nella legge una alternativa soddisfacente alle loro istanze. Ora che la legge c'è e non offre che una alternativa mistificata, moltissimi giovani dovranno confrontarcisi e sciogliere senza rinvii il nodo della scelta.

A tutti il varo di questa legge-truffa porta la lezione decisiva che non ci si può attendere la soluzione adeguata del problema dal mero gioco delle gerarchie partitiche, tutte interessate a mantenere intatto l'apparato militare dello Stato e con esso lo strumento più formidabile di dominio politico. Solo la mobilitazione dal basso può imporre una diversa strada, che dando soluzione vera al problema dell'obiezione di coscienza apra la via alla più profonda istanza che essa esprime, un nuovo modo del fare umano, sociale e politico, a partire dal superamento dell'assassinio di massa istituzionalizzato.

 
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