L'11 febbraio, al Teatro Adriano di Roma, grande manifestazione radicaleSOMMARIO: Si apre la campagna di resistenza e di contrattacco verso la chiusura del regime clericofascista - Dopo il congresso di Torino, prima iniziativa nazionale del partito rifondato - Credenti e non credenti contro il concordato, strumento di oppressione di classe - Per affrontare e vincere il referendum sul divorzio - Contro lo scandalo della Sacra Rota - Per sottrarre al potere clericale scuola, tempo libero, assistenza sociale - Per preparare i referendum democratici.
(NOTIZIE RADICALI N. 175, 10 gennaio 1973)
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"Contro il regime": questo il tema, questa l'indicazione di lotta, ormai, per la manifestazione dell'11 febbraio all'Adriano.
Nel 1967, sempre, per l'anniversario del Concordato, mentre Ernesto Rossi ci aveva da pochi giorni lasciato - idealmente consegnandoci tutta la sua eredità di militante laico ed antiautoritario - vi apriamo la campagna per l'"Anno Clericale".
Cinque anni non sono passati senza lasciare tracce. Successi e vittorie vi sono stati, indubbi: la conquista del divorzio, i primi scontri, anche in sede parlamentare, sul Concordato, l'istituzione del referendum a completamento della Costituzione, le grandi - prime, ed inesperte, quasi - pronuncie laiche della Corte Costituzionale, di Branca, l'estremo arroccamento vaticano e paolino attorno alle firme di frati, degenti e beghine per ritardare i crollo, la definitiva usura del prestigio e dei consensi al loro neotemporalismo. Ma, anche, indubbia la degenerazione, la chiusura e l'irrigidimento del regime.
La Democrazia Cristiana - lo abbiamo detto - è ormai installata nel paese, nelle sue strutture, nella società e nello Stato così solidamente come lo fu, negli anni trenta, il Partito Nazionale Fascista. Essa ha corrotto, devastato, degradato istituzioni ed uomini, instaurando un sistema sociale e politico interclassista, autoritario, clericale che ha come suo reale fondamento la continuità con metodi ed istituzioni create dal fascismo ed ereditate dalla peggior prassi autoritaria presente nella tradizione politica del paese. Essa ha messo oggi in mora il Parlamento, neppur contenta della crisi che lo attanaglia, facendolo sempre più assomigliare ad una imbelle camera dei fasci e delle corporazioni. La violenza di Stato ha usurpato il posto del consenso, una subdola arte della persuasione viene esercitata su tutto e su tutti, a partire dai grandi mezzi di informazione pubblica quale la Rai-TV.
I partiti laici, di governo come di opposizione, hanno come unico loro obiettivo, a breve come a lunga scadenza, la partecipazione sempre più arretrata e subalterna a questo regime, a questa gestione del potere. I loro vertici amministrano cinicamente le speranze, le idealità, la volontà di riforme e di giustizia delle grandi masse popolari, ignorandone e temendone anzi l'enorme carica di lotta e il potenziale alternativo. L'intera tradizione socialista, e non solo il partito che vi si richiama, rischia di scomparire.
La classe dirigente di un'intera generazione, che ha osato richiamarsi agli ideali utopici ed umanitari della rivoluzione socialista e comunitaria, è stata messa al bando, massacrata, costretta nel ghetto e nella disperazione della violenza sulla quale potesse esercitarsi la violenza di Stato, soprattutto e proprio dall'importanza dei vertici dei partiti "laici" che non hanno saputo e voluto dare uno sbocco ed una indicazione di civile, e possibile, alternativa.
Abbiamo proposto, al congresso di Torino, alcune vie, ancora possibili, per organizzare la resistenza ed il contrattacco "sulla base di gestibili dal basso, dalle masse democratiche e da ciascuno, da autentici socialisti, comunisti, progetti precisi, intellegibili a tutti, democratici, liberali gobettiani" non meno che "dalle minoranze che possano davvero considerarsi rivoluzionarie perché legano l'affermarsi di quelli di tutti al complimentarsi di quelli di tutti e di ciascuno".
E' in questa prospettiva che rivolgiamo ai radicali credenti e non credenti, ai democratici, ai militanti ed ai cittadini l'appello perché la manifestazione all'Adriano risulti una grande manifestazione di forza, che consenta a tutti di aprirsi a speranze almeno altrettanto solide di quelle suscitate nel 1967. Non è impossibile.
In questi giorni, forze "nuove" e "vecchie" della sinistra italiana, nello sdegno e nell'emozione provocata dalla tracotanza del "fascismo" dei picchiatori e dei mazzieri di tenere il loro spavaldo congresso a Roma, hanno rilanciato l'appello alla "unità antifascista". Ancora una volta, la Democrazia Cristiana, anche essa impennacchiata del "suo" antifascismo, rischia di conseguire un successo tanto subdolo quanto a lei necessario. Energie, impegni di lotta (e forse anche disperazione) vengono indirizzate verso un obiettivo apparentemente esaltante, ma politicamente senza prospettiva. Il gioco degli Andreotti e dei Rumor, delle "destre" e delle "sinistre" clericali, di suscitare di volta in volta l'uno o l'altro degli "opposti estremismi" al solo fine di mantenere il controllo del potere (prima ancora che di questo governo), si ripete così puntuale.
Sappiamo, avvertiamo, che le grandi masse democratiche cominciano a non essere più persuase di questo "antifascismo" che, soltanto per essere la stanca ripetizione di quello di venticinque anni fa, mostra di essere un grave errore politico. Consapevoli che il vero avversario di classe e della democrazia è "questo" regime, esse non trovano indicazioni diverse e più adeguate. A loro, non meno che ai compagni, agli studenti i quali, attraverso la violenza fisica hanno in realtà sperimentato la violenza di Stato, rivolgiamo un appello perché non vi sia nessun disarmo, ma anche nessuna dispersione delle forze popolari e di classe, e perché queste siano invece protagoniste di una nuova ricerca, di una nuova lotta, di una nuova unità: contro il fascismo di oggi, contro il regime.