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Il Messaggero - 23 gennaio 1973
LA MARIJUANA E I GIOVANI (5)
Glorificazione alla marijuana

SOMMARIO: In seguito alla pubblicazione sul IL MESSAGGERO di una lettera di Marco Pannella (testo n.1071) che, prendendo spunto dall'arresto di 17 studenti accusati di fumare hascisc, sostiene la necessità di depenalizzare le "non-droghe", si apre sul quotidiano romano un dibattito sulla droga.

(IL MESSAGGERO, 23 gennaio 1973)

(Continuiamo nel dibattito sui giovani e la marijuana aperto dalla lettera di Marco Pannella pubblicata martedì scorso. Una raccomandazione: lettere brevi, diversamente saremo costretti a tagli redazionali che preferiamo non affrontare. Una risposta al professor Aloisi di cui pubblichiamo oggi l'intervento: un dibattito non sarebbe tale se "Il Messaggero" pubblicasse solo le lettere a favore di una tesi o decidesse prima quali siano quelle sensate. Questa è una libera tribuna dalla quale chiunque ha diritto di parlare purché in termini civili e concreti.)

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"L'iniziativa di Marco Pannella mi dà il coraggio di intervenire nel dibattito sulla droga, e di far sentire la voce di uno che è ``dentro'' il problema da molto tempo, ma non se l'era mai sentita di uscire allo scoperto, schiacciato come era tra la persecuzione della legge e l'ostilità dell'opinione pubblica.

"La mia immagine non è molto attraente per un cronista a caccia di sensazione: professionista maturo, capelli di lunghezza regolamentare, vestiti sobrii, sposato con due figli. Faccio un lavoro che richiede uno sforzo intellettuale e nervoso non indifferente, e mi impegna otto ore al giorno; posso dire di essere affermato, noto ed apprezzato: chi mi conosce sul lavoro, mi giudica serio, distaccato, perfezionista, nemico dei compromessi: insomma un ``fanatico'', come si dice a Roma.

"La mia casa è confortevole e ``borghese'', in un quartiere moderno, con mobili dall'aspetto solido e quadri d'autore alle pareti: quanto di meno probabile per diventare quella che viene definita ``una squallida fumeria''.

"Ciononostante, io ho l'abitudine di fumare marijuana con una certa frequenza (una o due volte la settimana), da almeno dieci anni, da quando cioè sono tornato da un soggiorno in Marocco. Il più delle volte ``fumo'' solo o con mia moglie: questo ci aiuta ad apprezzare la musica, a leggere un buon libro, a parlare fra noi, a fare l'amore con un po' più di fantasia. Altre volte fumiamo in gruppo con amici, quasi sempre gli stessi (per ovvie ragioni di prudenza, ci preoccupiamo che sia il minor numero di persone a ``sapere''): altri professionisti ``borghesi'', ben inseriti nella società, benestanti, affermati e un po' annoiati. Non succedono ``orge'', ma si parla, si ride, o si tace (ma è un silenzio che non ``pesa''), il presente si dilata, il passato e il futuro diventano remoti, e con loro si allontanano le preoccupazioni per ciò che è accaduto e per ciò che accadrà domani.

"In questi che i cronisti chiamerebbero ``squallidi convegni'', le voci sono per lo più basse, tranquille, il comportamento è rilassato ma corretto, e ad un'ora conveniente (mezzanotte, l'una) ciascuno torna a casa sua. A differenza che con gli alcoolici, la marijuana non lascia peso allo stomaco, mal di testa, bocca impastata, ``hang over''. Si va a letto senza alka seltzer, e si dorme bene. Il giorno dopo, si è del tutto ``a posto'' per lavorare.

"Ebbene, noi tutti - pur essendo individui produttivi, onesti e fondamentalmente in accordo con la società - siamo ``criminali'' per la legge. Noi sappiamo, per aver letto pubblicazioni scientifiche, che l'uso moderato della marijuana non fa male, ne abbiamo avuto la prova attraverso l'esperienza personale, e non vediamo perché rinunciare al nostro innocuo vizio, quando per esempio un alcoolista viene tollerato ed addirittura incoraggiato nel suo vizio dalla stessa società che ci mette al bando.

"Con la nuova legge dicono che andrà meglio. Potrà anche capitare che un giudice buono ci mandi a ``curare''. A curare che cosa? Della nostro noia, delle nostre piccole nevrosi del tutto simili a quelle di milioni come (o peggio) di noi?

"Insomma, galera o manicomio (e chissà se il secondo è davvero meglio della prima!) che vantaggio verrebbe alla società dal fatto di toglierci di mezzo?".

"Lettera firmata", Roma, 18 gennaio 1973

 
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