Il "7 novembre" contro il ConcordatoSOMMARIO: L'intervento pronunciato da un esponente del movimento "7 novembre" nel corso del dibattito organizzato dal Partito radicale alla sala Beloch sul tema "credenti e no credenti dinanzi allo scandalo della S. Rota", è un aperto attacco all'ordinamento ecclesiastico in quanto dannoso alla vita spirituale dei cristiani e in quanto volto a tenere sotto controllo le grandi masse dei cattolici. Il movimento "7 novembre", rigetta sia il matrimonio concordatario come momento della lotta per il rifiuto del concordato, sia la giurisdizione della Chiesa in materia matrimoniale.
(NOTIZIE RADICALI N. 189-190, 23 gennaio 1973)
Il nostro intervento prende le mosse da quanto voi avete scritto sul tema del dibattito e su quanto ha detto or ora Mellini, e cioè che possiamo lottare sullo stesso fronte anche se con motivazioni diverse. Noi credenti siamo, con voi e come voi, scandalizzati di fronte allo scandalo della Sacra Rota, degli annullamenti facili, della concorrenza al divorzio, degli abusi e delle aberrazioni, dei privilegi e delle discriminazioni che si sono verificati lungo la storia di questo Tribunale ordinario per la chiesa universale, istituito per ricevere in appello, da qualsiasi altro tribunale ecclesiastico diocesano o regionale, le sentenze in seconda e ulteriore istanza. L'istituzione di questo tribunale risale al 1300, secolo che presentando la chiesa al culmine della sua potenza socio-politica è già rivelatore dei fini, degli interessi, dei valori che si propone di difendere.
A nessuno può sfuggire che la chiesa costantiniana che viene man mano riconoscendosi e dichiarandosi come società perfetta ed autosufficiente, deve lentamente sottrarre alla giurisdizione dei tribunali civile le cause che più direttamente interessano la sua vita interna: sacramenti, ordini religiosi, ecc. Per questo potenzia e sviluppa un suo ordinamento giudiziario.
Di fronte ai contrasti che possono nascere tra i credenti all'interno della chiesa, tanto più se questi contrasti riguardano la sfera del sacro o l'ambito della coscienza, si fa sempre più strada la convinzione che tocca alla chiesa, alla sua gerarchia, ai suoi giudici, ai suoi avvocati intervenire, dirimere, definire e giudicare. Ad una concezione verticistica di chiesa non poteva far riscontro che una concezione piramidale della amministrazione della giustizia. I tribunali si sostituiscono alla comunità locale e al suo giudizio, che solo può valere davanti a Dio essendo un giudizio che scruta il cuore, e che difficilmente può essere errato.
Mi si permetta una citazione dalla Prima lettera di Paolo ai Corinti (C. 6, 4) dove l'apostolo rimprovera ai cristiani di ricorrere ai tribunali pagani, non tanto perché voglia farsi organizzatore di tribunali ecclesiastici, ma perché è inconcepibile che coloro che sono chiamati a vivere il discorso della montagna, che chiamano beati i perseguitati, possano poi, per liti o interessi o cose simili, ricorrere ai tribunali dei pagani. Paolo mette in crisi il concetto stesso di giustizia amministrata dai tribunali, quando afferma "prendete piuttosto a giudici quelli che nella chiesa sono stimati gli ultimi" (I Cor. 6, 4). A questa chiesa dei poveri e degli ultimi ci invita il Vangelo e deve essere tutto il nostro sforzo di credenti ritornare. L'alternativa posta da S. Paolo non sono i tribunali ecclesiastici, ma il giudizio del Cristo Risorto, il perdono, la pazienza, la speranza.
Vorremmo anche fare un richiamo a quanto il papa afferma nei suoi discorsi annuali alla Sacra Rota. L'amministrazione della giustizia vi è presentata in modo tale che - a livello teorico - potrebbe anche essere accettata. Vi si afferma che gli scopi dei tribunali ecclesiastici sono: fomentare la carità nella comunità ecclesiale e il rispetto della persona, realizzare l'autorità come servizio, dare garanzia di giustizia e di rispetto del diritto di tutti.
Tutto questo, se è accettabile a livello teorico, quando si fa pratica presenta una contrapposizione rigida (ci ritorna alla mente un paragone con l'affermazione teorica e la pratica della così detta libertà di insegnamento in teologia: fin quando i professori di teologia fanno affermazioni astratte, anche se molto impegnate, tutto va bene, quando invece essi, entrando in movimenti ecclesiali si assumono impegni concreti, realizzando l'unità teoria-prassi, allora "saltano"). Così è per l'amministrazione della giustizia: la teoria potrebbe anche essere accettabile, la prassi diventa scandalosa.
Siamo convinti che la vostra lotta sia giusta e ci trovate al vostro fianco in questa battaglia di denunce di corruzione e di ingiustizie; ci trovate con voi quando intendete sensibilizzare la gente mostrando il vero volto della Sacra Rota, rivelandone le assurdità giuridiche di fronte alla nostra coscienza di uomini moderni che del diritto hanno un concetto estremamente concreto; con voi pure intendiamo lottare per la difesa di tutte le conquiste democratiche che lo stato italiano ha fatto in questi ultimi anni, specialmente con la legge sul divorzio.
Permettete però che in quanto credenti noi aggiungiamo alcune prese di posizione che solo noi, essendo all'interno dell'istituzione, possiamo prendere.
a) Siamo convinti che l'ordinamento della Sacra Rota non è utile per la vita spirituale dei cristiani, anzi è dannoso; infatti induce a ricorrere alla frode sia coloro che non hanno diritto all'annullamento (e quindi ne inventano i motivi) sia coloro che ne hanno diritto in coscienza perché ne hanno i motivi validi, ma ne inventano altri perché i primi o non sono sufficienti o non sono facilmente provabili;
b) riteniamo che tutto questo apparato regga e venga tenuto in piedi perché è un modo per tenere sotto controllo le grandi masse dei cattolici in uno dei problemi fondamentali della loro vita (quale è il matrimonio), impone timore e reverenza, ossequio e prestigio. Diviene inoltre un mezzo per intervenire e quindi condizionare la vita anche di coloro che non credono più nella chiesa, ma che di essa hanno ancora bisogno e quindi implicitamente devono riconoscerla, almeno come una grande potenza;
c) come credenti impegnati per un rinnovamento evangelico della chiesa in Italia intendiamo prendere questi atteggiamenti:
- "rifiuto del matrimonio concordatario" come momento della lotta per il rifiuto del Concordato: e quindi, in positivo, intendiamo affermare che il dono di amore del sacramento debba essere dichiarato in una comunità cristiana vera, dove non ha senso un pubblico ufficiale;
- "rifiuto della giurisdizione" in materia matrimoniale come momento della lotta per il rifiuto del concetto di giurisdizione nella chiesa, anima e base di tutto il sistema ecclesiastico che noi riteniamo oppressivo; e quindi, in positivo, intendiamo affermare che ogni ruolo nella chiesa è solo offerta di un servizio da farsi e da accogliersi in libertà.
In sostanza, come 7 Novembre, ci chiediamo quale possa essere più grave, se il fenomeno della desacralizzazione (secolarizzazione) per la quale anche noi intendiamo impegnarci, oppure la strumentalizzazione del sacro a fini politici, economici, di potere e di prestigio mondano. Se sia più scandaloso rifiutare la celebrazione del matrimonio concordatario oppure usare del matrimonio per mantenere in piedi un apparato burocratico, che va dalle tariffe dei matrimoni di lusso agli scandali dei tribunali di annullamento.
La risposta per noi, e voi ben lo capite, è ovvia, e tutto il discorso ha inteso portarvi un contributo che è frutto della riflessione di un gruppo di noi.