SOMMARIO: In seguito alla pubblicazione sul IL MESSAGGERO di una lettera di Marco Pannella (testo n.1071) che, prendendo spunto dall'arresto di 17 studenti accusati di fumare hascisc, sostiene la necessità di depenalizzare le "non-droghe", si apre sul quotidiano romano un dibattito sulla droga.
(IL MESSAGGERO, 6 febbraio 1973)
(Il dibattito sulla marijuana e i giovani si è svolto sinora, prevalentemente, sulle conseguenze dell'uso di questa "droga leggera". Si sono ascoltati i pareri più disparati e molti lettori possono essersi trovati in difficoltà. Pubblichiamo oggi, tralasciando per una volta gli interventi, un'ampia analisi dei risultati cui la scienza è pervenuta e intendiamo così superare questo aspetto del problema. Le conclusioni delle tante indagini sono, come il lettore potrà constatare, palesemente contraddittorie. E non si può quindi concludere che la marijuana è innocua e neppure che essa è molto pericolosa e che conduce inevitabilmente all'uso di droghe più pesanti. Un punto tuttavia ci sembra certo: la marijuana non è un bene. Anche ammettendo che, come per l'alcool, piccole dosi non diano conseguenze, un uso intenso è di sicuro nocivo, in molti senso. Ma, nell'incertezza scientifica, è giusto perseguire i fumatori come se fossero delinquenti, colpendoli con dure pene e lungo carcere preventivo e dando loro la cacc
ia? Questa è una domanda - formulata sostanzialmente nei termini in cui Marco Pannella la pose nella lettera che ha dato luogo al dibattito - su cui continueremo il discorso. E una seconda domanda: la nuova legge che il Parlamento dovrà esaminare è adeguata alla realtà e alle esigenze di difesa degli individui e della società, oppure risulta anch'essa erroneamente impostata? Infine: sono nel giusto Canada, Australia, Olanda, Germania, Danimarca dove la marijuana è stata resa più o meno legale o gli altri Paesi che hanno ritenuto preferibile combattere l'uso con energia? Su questi temi continuerà il dibattito, aperto a chiunque abbia cose concrete e rilevanti da dire.)
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"Discordi pareri degli scienziati: c'è chi drammatizza e chi minimizza gli effetti della canapa indiana"
Nel dicembre del '69, il "Scientific American", la più prestigiosa rivista scientifica americana insieme a "Science", suscitava stupore e discussioni ricordando questo episodio: "Un'intera famiglia fu assassinata da un giovane tossicomane di marijuana in Florida. Con un'ascia aveva ucciso suo padre, sua madre, due fratelli e una sorella. Non si ricordava di aver commesso l'omicidio multiplo... era abituato a fumare marijuana". "Così, nel 1937, Harry J. Anslinger, capo del Federal Bureau of Narcotics americano, descriveva ``the killer weed'', l'erba che uccide".
Nello stesso anno, 1937, il Congresso passò una legge che proibiva con pene severe la marijuana, fino ad allora legale negli Stati Uniti.
L'origine del "proibizionismo dell'erba", è uno dei tanti fatti travagliati nella storia di questa droga, così conosciuta e usata in Asia, Africa, e America centro-meridionale e così discussa nei Paesi Occidentali.
La conoscenza scientifica di queste sostanze derivati della canapa (marijuana, hascisc, ecc.), è stata talora, in mancanza di studi obiettivi, scavalcata dai pregiudizi, favorevoli e contrari, e dalle voci più o meno fantasiose. D'altra parte, il relativo ritardo con cui sono giunte informazioni scientifico-mediche accurate, è giustificato dal fatto che soltanto nel 1942 venne isolato ed identificato il principio attivo "tetraidrocannabinolo" (THC) presente nelle piante di canapa.
Negli ultimi anni, specie in seguito all'interesse che per questa sostanza si era creato in America, sono state compiute delle ricerche sperimentali sugli effetti della marijuana nell'uomo (in Canada e Stati Uniti): in altre parole si è cominciato, con metodo scientifico, a far fumare soggetti volontari in condizioni controllate di laboratorio, per analizzare questi effetti con tests e rivelazioni mediche.
Il primo esperimento di Zinberg, Nelsen, e Weil, tre ricercatori dell'Università di Boston, dimostrò sperimentalmente che con la marijuana si ha una sensazione del tempo un po' diluita, meno cronometrica, e che in soggetti normali si ottiene un effetto rilassante senza diminuzione delle facoltà pratiche dell'attenzione, tranne in alcuni test, dove si richiedeva al soggetto un tipo di concentrazione particolarmente matematico-mnemonica, che la canapa pare inibire in una certa misura.
Molto interessante anche il dato che chi fuma marijuana per la prima volta, non sente nessun effetto. Soltanto dopo alcune volte, nota delle sensazioni particolari, e quando è un fumatore "esperto", gli bastano dosi piuttosto basse per sperimentare questo particolare tipo di sensibilità, che in qualche caso resta anche dopo che il soggetto non usa più la canapa. In generale, questi studi sperimentali concludono che le modificazioni prodotte dalla canapa sono in genere sottilmente psicologiche e vanno verso l'induzione di un certo rilassamento.
Altri aspetti sociologici o medici che hanno a che fare con la problematica su questa sostanza, sono stati studiati negli ultimi 80 anni in vari Paesi, tramite ricerche su vasti campioni di popolazione; soltanto due le ricerche italiane, Cancrini e coll. (1970) per la fondazione Agnelli, e Rusconi Blumir, "La droga e il sistema" (1972).
Nel 1890, il governo inglese in India, preoccupato per il fenomeno, molto esteso, dell'uso di canapa, decise di formare una speciale Commissione d'Indagine. La ricerca in sette volumi, durò due anni ed esaminò le risposte di 800 medici, consumatori di marijuana, contadini, fachiri, contrabbandieri, funzionari dell'esercito, e sacerdoti (Indian Hemp Drugs Commission, 1893-94, Cap. XII, 263-4, par. 532):
"a) Riguardo agli effetti fisici la Commissione è giunta alla conclusione che l'uso moderato della canapa non è praticamente seguito da nessun effetto negativo.
b) Non c'è alcuna prova di danni mentali o morali dall'uso di questa droga.
c) La moderazione non conduce ad eccessi con la canapa più che con l'alcool. Un uso moderato e regolare produce gli stessi effetti di dosi di whisky moderate e regolari. L'uso moderato è la regola, e l'uso eccessivo è comparativamente eccezionale, confinato a personalità dissipate".
Il rapporto indiano non fu conosciuto nei successivi 50 anni in Europa. Nel frattempo molti farmacologhi italiani, dai primi articoli del Coronedi (1900), a quelli del Di Mattei (1931), includevano l'hascisc fra gli stupefacenti, "veleni dell'uomo e della famiglia", secondo una definizione ripresa da quasi tutti i più importanti tratti italiani di farmacologia, tossicologia, igiene mentale, negli anni successivi. Alcuni di questi articoli sostenevano che l'alcool si diversifica dalla canapa, in quanto del primo "...è possibile un uso moderato, senza cadere in schiavitù, che è invece sempre fatale con gli stupefacenti". In seguito, alcuni di questi studiosi revisionarono in parte il concetto, anche sulla base della definizione inclusa nel rapporto alle Nazioni Unite dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (1964), che escludeva, per la canapa, la dipendenza fisica.
Abbastanza insolita l'esperienza del prof. Silvio Garattini, direttore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche ``Mario Negri'', ente privato sorto come alternativa alle carenze della ricerca scientifica in Italia. Il prof. Garattini ebbe l'opportunità di partecipare ai lavori del gruppo di studio n. 21 della Ciba Fondation, raccolti nel volume "Hashish: its chemistry and pharmacology" (1964), di cui firmò l'articolo "Effects of a Cannabis extract on gross behaviour". "La marijuana non è un narcotico; la marijuana non tende a scatenare un comportamento aggressivo, al contrario inibisce gli impulsi aggressivi e agisce come un tranquillante".
Gli studi come quello di Garattini sono strettamente farmacologici, di laboratorio, condotti soprattutto su animali: altri lavori cercano di individuare i rapporti tra comportamento e uso di marijuana nel contesto sociale. Il dottor Gomila, commissario di Pubblica Sicurezza a New York Orleans, affermò che il 60 per cento dei reati ivi commessi nel '36, dovevano attribuirsi a fumatori di marijuana. Lo psichiatra Walter Bromberg, condusse due ampi studi statistici sulle incriminazioni e i rapporti degli imputati con la droga: Bromberg trovò una relazione pressoché inesistente tra il crimine e la marijuana. Studi successivi (Fort, 1965; Irwin, 1966, Mlum Wahl, '65; Boyco, Rotheberg Disco, 1967) rilevarono che alcuni colpevoli cercavano di ottenere delle attenuanti affermando di aver commesso il reato sotto l'influenza della marijuana. Nel '58, il Brasile, nel rapporto all'ONU, riferì di una maggiore incidenza di reati fra i consumatori di canapa, collegata forse alla distribuzione sociologica del consumo stes
so. Nel '62 l'annuale conferenza della Casa Bianca sui Narcotici e l'abuso di droga, si pronunciò in questo senso: "Anche se la marijuana ha tenuto a lungo la reputazione di spingere l'individuo a commettere atti antisociali e reati sessuali, l'evidenza è inadeguata a sostenere questa affermazione".
Negli ultimi sei anni, in relazione al maggior consumo, sono state svolte delle indagini sulla situazione concreta della marijuana, anche in Europa. La Gran Bretagna istituì nel '68 una Commissione nazionale di ricerca interdisciplinare, presieduta dalla baronessa Wootton e di cui facevano parte alti magistrati, sociologi, psichiatri, funzionari del Ministero degli Interni, medici, e farmacologi. La commissione si interessò soprattutto dei pericoli cui andavano incontro i giovani inglesi fumatori di canapa: concluse che, mentre dal punto di vista farmacologico e psicologico la canapa non portava a droghe più pesanti, il "passaggio" avveniva in un certo numero di casi per due ordini di motivi psicologici. I giovani, non trovando danni nell'uso di marijuana erano portati a credere che anche per altre droghe fossero poco attendibili i pericoli divulgati. Inoltre i giovani acquistando la canapa al mercato nero, in conseguenza della sua proibizione, entrano spesso in contatto con i trafficanti senza scrupoli dell
e droghe pesanti, interessati a conquistare un nuovo mercato.
In Olanda, nello stesso periodo, Geerlings e Cohen, attraverso la raccolta di questionari, interviste e materiali a migliaia di studenti e "hippies" olandesi, esaminarono il problema della criminalizzazione simultanea di droghe leggere e pesanti, osservando un effetto di confusione sociologico dei due ambiti che incrementava il fenomeno delle tossicomanie. Collegarono il fatto all'impostazione allora repressiva dell'Olanda, e su queste basi la commissione nazionale olandese (1972) suggeriva al Governo di risolvere il problema staccando i due mercati (leggere e pesanti), e dando una sorta di legalità al primo.
A conclusione analoga giunse l'Australia, mentre veniva pubblicato (1971) il rapporto Le Dain, della Commissione governativa del Canada. Veniva esaminato anche qui il problema del passaggio a droghe più pesanti. "Molti tossicomani da oppiacei hanno cominciato direttamente con queste sostanze, senza passare attraverso la marijuana; i soggetti che hanno prima usato marijuana sono arrivati agli oppiacei per motivi pre-esistenti all'uso di canapa; e hanno abbandonato questa droga quando si sono accorti che non soddisfaceva le loro vere esigenze tossicofile".
Qualche medico italiano ha recentemente sostenuto che "non è possibile pronunciarsi sulla questione della marijuana, in quanto alcuni studi sostengono che è innocua, altri che è nociva". Recentemente la prestigiosa rivista medica inglese ``Lancet'' (1971), ha pubblicato l'articolo di un medico che avanzava l'ipotesi che "la marijuana atrofizzi il cervello". Il ``New Scientist'' pubblicò una precisazione dello stesso scienziato che si rammaricava del fatto che la stampa avesse preso alla lettera le sue parole. Recentemente, al convegno del Club Turati (Milano, novembre) si è affermato che in Italia non esistono ragazzi che usano soltanto hascisc; le statistiche esistenti per gli ospedali psichiatrici (Madeddu-Malagoli) e per i centri speciali (Cancrini e coll.; Madeddu e coll.) dimostrano che chi si rivolge (o è forzato a rivolgersi) alle istituzioni è un consumatore di droghe pesanti che usa o ha usato anche hascisc.
La ricerca su vasta scala più recente specializzata sulla marijuana è stata quella della Commissione Nazionale statunitense (1972), presieduta da Raymond Schaefer, ex-governatore della Pennsylvania, e nominata dal Presidente Nixon. La Commissione - che per un anno ha indagato su tutti gli aspetti, farmacologici, psichiatrici, sociologici dell'uso non medico di marijuana, ha riassunto migliaia di studi effettuati soprattutto recentemente, arrivando alle seguenti conclusioni:
1) Non c'è alcuna prova che l'uso della marijuana sia all'origine di danno o di disturbi fisici di qualsiasi natura, né che provochi assuefazione;
2) Non c'è alcuna prova che l'uso di marijuana determini la necessità di passare a droghe più forti;
3) I timori e l'ostilità popolare nei confronti di questa droga sono fondati molto più sulla fantasia che su fatti provati.
Di fronte a una massa così imponente di dati, alcune volte contraddittori o apparentemente contraddittori, non si può non concludere che "il problema della marijuana" è molto complesso e determinato da numerosi fattori. Proprio da questa complessità, deriva probabilmente la varietà delle posizioni e in certi casi la loro antiteticità.