Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
sab 27 apr. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Pannella Marco - 11 marzo 1973
Quanto vale Mitterrand
di Marco Pannella

SOMMARIO: Inviato da Parigi per l'Espresso, Marco Pannella segue le elezioni francesi ed in particolare l'azione della sinistra che, guidata da Francois Mitterand, punta all'Eliseo. E' la prima volta che in paese europeo si apre la possibilità di una alternativa di sinistra sulla base di un'ampia coalizione programmatica che vede, oltre ai socialisti del Psu e del Ps con la leadership di Mitterrand, i comunisti, i radicali di sinistra.

Al primo turno elettorale la sinistra raggiunge il 46,54% dei voti e Pannella scommette, contro la maggioranza degli osservatori ed esperti, su una travolgente vittoria delle sinistre.

(L'ESPRESSO, 11 marzo 1973)

Parigi. "Tutto è ancora possibile", si spiega e si afferma da ogni parte, in un clima crescente di drammatizzazione e di attesa per la seconda tornata elettorale di domenica prossima. Tutto, tranne l'essenziale, mi sembra. Vi sono risultati ormai indiscutibili, in corrispondenza puntuale alle operazioni di maggiore rilievo e agli interrogativi fondamentali di questo momento politico francese. Riassumiamo la situazione.

1. La sinistra.

Unita politicamente, programmaticamente, elettoralmente come non mai, raggiunge quota 46,54, oltre due punti in più del 1967, in cui si parlò di una sua grande affermazione; la raggiunge malgrado la scissione centrista di J.J. Servan-Schreiber, con il suo partito radicale, fino a ieri alleato con il partito socialista. Il programma comune di governo delle sinistre ha dunque riscosso un successo profondo e significativo. Attaccato da ogni parte per più di un semestre, squalificato come irresponsabile e aberrante dal presidente della Repubblica, è stato strumento di crescita e di rafforzamento, e non di crisi. Un metodo, ed uno strumento fin qui sconosciuti alla lotta elettorale francese, sono così ormai affermati. Il partito comunista sconfigge i sondaggi che lo davano perdente nell'ambito della coalizione, vede consolidarsi il suo attuale gruppo dirigente e le sue scelte fondamentali, supera il pericolo di una crisi interna e di nuove inversioni di rotta. La corrente settaria, che secondo lo stesso Jacques D

uclos, era pronta a manifestarsi, è ormai indebolita e implorabile. L'anticomunismo grossolano artatamente e consapevolmente resuscitato da quanti, il presidente Pompidou in testa, temono soprattutto un rinnovamento profondo della lotta e delle prospettive politiche, è servito, con la sua falsa dialettica, ad aiutarli. Con il 21,34 per cento e oltre cinque milioni di voti sono soddisfatti e sereni e pronti ad insistere sulla strada intrapresa. Hanno guadagnato un punto rispetto al 1967, ne hanno guadagnato uno rispetto al 1968. Il partito socialista è indiscutibilmente la forza politica che può vantare la maggiore affermazione: ha raggiunto il suo più alto punto elettorale da 27 anni, ha il massimo incremento dal 1968; circa un milione e mezzo di voti e quattro punti percentuali. Cresce ovunque, s'insedia in zone dove era ormai scomparso, come nella regione parigina, proletaria e cittadina, o, come nell'est, dove non era mai stato politicamente presente.

La sua nuova classe dirigente, giovane e ambiziosa, s'afferma ovunque. Recupera voti operai da sempre assorbiti dal gollismo, i quadri tecnici dell'industria e dell'economia anche dal Pcf. Vede il suo leader Mitterrand confermarsi come il leader naturale d'ogni possibile alternativa di regime. Si discute se abbia conseguito, con i suoi alleati radicali di sinistra, più o meno voti dei comunisti. Ne ha raccolti di più, se gli si attribuiscono i suffragi di ``socialisti indipendenti'' contro cui non ha presentato propri candidati (in tal caso raggiunge quota 21,90 contro il 21,34 del Pcf), lo 0,60 in meno nell'altra ipotesi. Il problema, evidentemente, non è questo. Un partito che alle elezioni presidenziali del 1968 aveva avuto, sia pure in condizioni particolarissime, con il suo candidato Defferre, il 6 per cento dei voti è alla stessa quota dei comunisti: la sinistra si è dunque riequilibrata nella vittoria, e non livellata nella sconfitta o nell'impotenza.

I notabili radicali di sinistra, che vedranno comunque almeno raddoppiata la loro rappresentazione parlamentare rispetto a quella uscente, saldando definitivamente i conti con Servan-Schreiber, che si era impossessato del loro partito, ormai sgominato. I socialisti del Psu rendono al Ps, in Bretagna ed a Parigi, una parte consistente del loro elettorato, ma vedono il loro prestigio e la loro funzione di avanguardia socialista libertaria e tecnicamente moderna ulteriormente affermarsi.

2. La maggioranza

Con i suoi alleati o concorrenti marginali totalizza circa 9 milioni e il 38 per cento dei suffragi. Al suo interno il partito ufficiale di regime, l'Udr ha il 23,5 per cento, i repubblicani indipendenti di Giscard d'Estaing il 7 per cento, i centristi di Duhamel il 3,8. Questa legione straniera non ha programma, non ha unità politica, non ha ragioni e ideali che non si possano riassumere, come per la Democrazia cristiana in Italia, con una sola parola: il potere e volontà di serbarlo ad ogni costo.

Nella stessa Udr, che dovrebbe essere il perno e la punta di lancia del partito conservatore, vi sono gollisti intransigenti, giacobini di estrema destra come Debré, nazionalisti e autoritari, faziosi e intolleranti: e uomini come Chaban-Delmas, Edgar Faure ex-leaders ``radicali'' della 4. repubblica, uomini di centro, di potere, opportunisti e disponibili, almeno in passato, anche ``a sinistra''. I repubblicani indipendenti hanno in comune il leader, Giscard, il volto di rappresentanza della destra liberale e liberista, dietro cui si mimetizzano le caratteristiche reazionarie del ministro di polizia. Marcellin e le maggiori speranze dei gruppi monopolistici e degli interessi di classe capitalistici. Dietro ogni gruppo della maggioranza, in realtà, v'è un solo stratega e un leader che le elezioni hanno sempre più rafforzato: Georges Pompidou. Con l'insuccesso elettorale, senza di lui, la maggioranza uscente sarebbe già esplosa; e, comunque, nelle prossime settimane, quale che sia l'esito del voto dell'11 mar

zo, il presidente del Consiglio Mesmer e il segretario dell'Udr Peyrefitte saranno liquidati. Non si passa impunemente da dodici milioni e mezzo di voti a nove; non ci si ridicolizza, com'è accaduto ogni volta che s'è chiesto alla maggioranza quale fosse il suo programma di legislatura, senza conseguenze conclusive.

3. I ``Riformatori''.

Vivono le loro ultime settimane come movimento politico autonomo e come propugnatori di un ennesimo progetto di ``terza forza'', equidistante dalla sinistra e dalla maggioranza d'estrazione gollista. Con meno di tre milioni di voti sono stati sbaragliati, se si tengono presenti, com'è corretto, i loro calcoli ed i loro programmi e non la risposta anticipata dei sondaggi pre-elettorali. Paradossalmente, ma non troppo, vengono considerati veri arbitri dello scontro elettorale di domenica. E' inesatto se si pensa che Lecanuet e Servan-Schreiber (oltretutto ormai contrapposti) possano da Parigi disporre effettivamente e massicciamente spostamenti univoci del loro elettorato. Questi pretesi ``riformatori'', infatti, avevano imbarcato una ciurma molto composita, per dare l'arrembaggio al potere: ex-Oas, partigiani antigollisti dell'Algeria francese, ex ministri del generale, ex fedeli di Mendes-France, i residui della Democrazia cristiana, oltre ai seguaci di J.J.S.S.

E' invece in parte esatto se si considera che le loro truppe sbandate possono, confluendo verso i candidati del potere facilitare loro la conquista della maggioranza assoluta dei seggi.

Pompidou esce allo scoperto

Si può, in queste condizioni, affermare dunque che ``tutto è possibile'' accada nel prossimo turno elettorale solamente se si continua a credere che esistesse ed esista davvero la possibilità di parte della sinistra di prendere il potere, di andare al governo, di applicare, nei primi classici ``cento giorni'' di governo, l'essenziale del suo ``programma comune'', nazionalizzazioni, salari minimi garantiti per tutti centomila franchi, abbandono della ``force de frappe'', pensioni raddoppiate ed a partire da sessant'anni, riduzione degli orari di lavoro nelle fabbriche. Ma abbiamo spiegato nelle scorse settimane come questa prospettiva, oltre che non realistica, in realtà non è nemmeno effettivamente perseguita e voluta dagli stessi partiti della sinistra unita. Anche se raggiungessero la maggioranza assoluta dei seggi, Pompidou avrebbe la possibilità e la forza di impedire almeno per un anno il tradursi di questa vittoria elettorale in conquista di responsabilità di governo. E, in questo anno, con il conflitt

o apertosi, tutto, davvero tutto, potrebbe accadere; difficilmente ci si troverebbe dinanzi ad una situazione simile all'attuale. Ma può la sinistra, comunque, conquistare questa maggioranza assoluta, raggiungere i 246 seggi corrispondenti?

"Centocinquanta seggi raccolti in un fazzoletto", affermano concordi i giornali francesi. "Poche migliaia di voti possono provocare rivolgimenti sensazionali" si constata. Tre settimane or sono avevamo sottolineato questa teorica evidenza che qualifica il sistema elettorale francese senza che aiuti granché per una concreta analisi di quel che può accadere l'11 marzo. "La situazione è buona, tenuto conto delle previsioni che facevamo, ma è anche confusa. I totali sono conformi alle nostre analisi, ma non le singole voci dell'addizione" mi hanno spiegato, nel corso di un paio di lunghi colloqui, Denis Gaudoin e Xavier Marchetti, collaboratori diretti del presidente della Repubblica, ancora martedì. Questa riserva non si traduce però in vera preoccupazione. Georges Pompidou ha di nuovo riportato la calma nello schieramento gollista e governativo. Domenica sera non era nemmeno all'Eliseo, ma nel suo vecchio appartamento privato, in un immobile alto-borghese di cinque piani di Quai De Bethunes, nell'isola St. Lou

is, da dove ha telefonato non più di una decina di volte, in totale, al ministro dell'Interno Marcellin ed ai suoi collaboratori all'Eliseo, dov'è tornato solo per ricevere a colazione lunedì Messmer, Giscard e Marcellin. Pompidou è un formidabile conoscitore dei dossiers elettorali, delle situazioni delle varie circoscrizioni. Un sintomo di quali siano le sue analisi può essere fornito dal fatto che sembra orientato ad intervenire solo ed eventualmente con brevità e ``intransigenza'' alla televisione, per il secondo turno.

La sinistra aveva forse la possibilità di raggiungere un nuovo, grosso successo: affrontare i candidati della maggioranza, nel ballottaggio, con il candidato socialista anziché quello comunista, lì dove lo scarto fra i due schieramenti è minimo e può essere colmato con la convergenza di una parte degli elettori ``riformatori''. Attorno ai dieci tavoli posti a ferro di cavallo i dirigenti della sinistra mi sembravano riuniti per una riunione di studio e per un dialogo informale piuttosto che per prendere decisioni drammatiche è indilazionabili.

Mancano venticinque voti

In fondo, così come Pompidou è soddisfatto d'aver circoscritto le perdite, d'aver forse rinviato il momento dello scontro conclusivo (nella speranza d'evitarlo per sempre), d'aver presumibilmente immagazzinato una sufficiente maggioranza parlamentare, così i dirigenti della sinistra sembrano voler ora consolidare il successo ed il balzo in avanti, il rovesciamento di tendenza che in meno di un anno hanno realizzato, per farne una piattaforma di lotta più avanzata per meglio organizzarsi e prepararsi. Il Ps, in particolare, non ha interesse ad un eccessivo gonfiamento dei suoi effettivi parlamentari prima di aver trasformato la nuova corrente d'opinione socialista in una forza impiantata e strutturata alla base, nelle città e nelle fabbriche. Potrebbe, in circostanze artatamente drammatizzate e enfatizzate, veder risorgere nel suo seno la tentazione centrista e terzaforzista e ripiombare nelle sventure scissionistiche che sempre insidiano la storia dei movimenti democratici di classe nei nostri paesi.

Così può spiegarsi il fatto che il Ps non ha nemmeno seriamente tentato di ottenere dai comunisti una linea di condotta elettorale rigorosamente volta all'obiettivo della conquista della maggioranza parlamentare sin dai prossimi giorni; obiettivo, oltre tutto, davvero problematico e arduo. Anche per questo mi sembra che per ora sia possibile prevedere solo un rilevante aumento degli effettivi di opposizione a palazzo Borbone rispetto alle elezioni del 1967 (67 seggi della sinistra non comunista, 50 del Pcf). Che siano poi 190 o 220 non c'è da annetterci grande importanza immediata.

A meno di colpi di scena. Lacanuet racimolerà un massimo di 23 eletti, una decina dei quali facilmente acquistabili, in poche settimane, dallo schieramento governativo, senza nemmeno il bisogno di trattative clamorose, di accordi ``storici'' fra ``riformatori'' e presidente della Repubblica; incontri ed accordi che sarebbero fatti solo se ci si volesse sbarazzare subito, in tal modo, dei gollisti intransigenti alla Debré. Comunque, è bene non attendersi fatti clamorosi, a livello di governo e di ``nuove scelte'' presidenziali, prima della seconda metà di aprile. A meno che la maggioranza non superi i 260 eletti, infatti, Pompidou non potrà nominare un nuovo governo. I ministri dimissionari, infatti, se eletti deputati, potranno votare regolarmente: quelli di nuova nomina no. Almeno 25 voti in tal caso verrebbero a mancare per l'elezione del presidente della Camera e per i responsabili delle commissioni.

Comincerà dunque, la settimana prossima il ``terzo turno'': quello che si svolgerà, quotidianamente, nelle fabbriche, negli uffici, nelle campagne, nelle università. Lo scontro politico, di nuovo reale in Parlamento, si tradurrà in più chiaro e calcolato scontro sociale ed economico. Georges Seguy, con la Cgt, ed Edmond Maire, per la Cfdt, si stanno preparando anch'essi a scendere in campo. Non saranno, in Francia, le già consunte ``aperture'' agli pseudo-riformatori o le maggiori investiture all'ala ``progressista'' e ``socialista'' dei partiti di regime (che rappresentano in Italia gli obiettivi di svolte più o meno storiche per la nostra sinistra) a disinnescare la miccia dell'alternativa democratica e socialista al sistema ed al regime.

Questi i dati di fondo della situazione. Avremo avuto torto nel non credere alle possibilità di una travolgente vittoria delle sinistre domenica prossima, mentre la maggioranza degli osservatori e gli esperti francesi sostengono che non si tratta di una mera ipotesi teorica? Vedremo allora, in tal caso, quali prospettive diverse si aprono e possono esplodere. E non solo in Francia ma anche da noi.

 
Argomenti correlati:
lecanuet jean
l'espresso
sinistra
pcf
udr
psu
stampa questo documento invia questa pagina per mail