di Mauro MelliniSOMMARIO: Mauro Mellini prende spunto dal rinvio al 1974 del referendum sul divorzio, per constatare che il regime tenta di guadagnare tempo. Il traguardo si è allontanato. Difendere il divorzio vuol dire, anzitutto, battersi contro la revisione del concordato e per l'abrogazione dello stesso; in secondo luogo, passare all'offensiva mobilitando l'opinione pubblica contro lo scandalo degli annullamenti rotali. Questo è il compito del Partito Radicale.
(NOTIZIE RADICALI N. 191-192, 23 marzo 1973)
Se dobbiamo sintetizzare il nostro giudizio di radicali e di divorzisti sul rinvio del referendum al 1974, dobbiamo dire che il regime ha guadagnato un anno di tempo per liquidare il divorzio, che altrimenti, al massimo il prossimo 15 giugno, sarebbe giunto in salvo.
La nostra lotta contro il tempo è divenuta quindi più difficile. Il traguardo si è allontanato. Ancora per più di un anno dovremo lottare per schivare gli espedienti sempre più complicati ed imprevedibili con i quali il regime cercherà di strozzare il divorzio e di evitare il referendum, con l'appoggio dei suoi satelliti che cercheranno di evitare il referendum strozzando il divorzio.
Che il regime sia deciso ad utilizzare a suo profitto l'anno guadagnato (più o meno onestamente) è confermato da molti fatti sintomatici.
Ventotto deputati DC hanno presentato un'interrogazione per sapere a che punto siano le trattative con la Santa Sede per la revisione del Concordato, e se sia dato prevedere che la revisione si possa concludere prima della data del referendum. I ventotto deputati appartengono a tutte le correnti della DC (sbranarsi per il potere è una cosa, gestirlo è un'altra), e l'iniziativa appare davvero come una manovra concertata. Contemporaneamente Leopoldo Elia, il giurista di ispirazione morotea che "lanciò" la tesi del rinvio del referendum al '74, in un articolo sul "Il Giorno" (anzi, in un editoriale!) in cui difende la "correttezza" politica oltreché giuridica del rinvio, pone la stessa questione invitando la Chiesa ad una "iniziativa coraggiosa" e facendo balenare altrimenti l'ipotesi di una specie di "ipoteca" perpetua della Corte Costituzionale sul divorzio: la Corte, in nome del monopolio della Sacra Rota, potrebbe infatti - anche dopo il voto favorevole del popolo italiano per il mantenimento della attuale
legge - dichiarare egualmente incostituzionale il divorzio per i matrimoni concordatari.
Su "Sette Giorni", ma riprendendo la sostanza di un precedente suo articolo apparso su una rivista legata ad ambienti di "Forze Nuove", "Relazioni Sociali", Ruggero Orfei si unisce ai consensi per il rinvio del referendum e tira fuori la tesi che esso sarebbe viziato alla base perché non consente di esprimersi a quanti, pur favorevoli ad una legislazione divorzista, vorrebbero tuttavia che la legge Fortuna venisse "migliorata" e magari potrebbero scegliere la strada della "scheda bianca" e dell'astensione. Se questa prospettiva della "scheda bianca" è assolutamente stupefacente (essa significa che, oltre che i favorevoli e i contrari all'abrogazione del divorzio, si dovrebbe contare anche coloro che si rimettono all'esito delle trattative tra regime e Santa Sede, trattative che - nella migliore tradizione concordataria - non hanno bisogno affatto di contare i consensi dei cittadini...) l'indicazione che dà Orfei (sempre vicino a Donat Cattin o a Moro, sempre ossequiente verso l'Università Cattolica) è chiara
: "E' certo - ha scritto su "Relazioni Sociali" - che a questo punto la questione del divorzio, del referendum e del concordato emerge in una compatta unità. Questa può essere ignorata forse ancora per un po' di tempo, ma non troppo a lungo, altrimenti i processi di slittamento tra le diverse realtà interessate cominceranno a farsi sentire pesantemente". Insomma, revisione del Concordato, approfittando di quello che un giornalista insospettabile, Alberto Sensini, sul "Corriere della Sera", ha definito il "referendum ammanettato".
E' semplicemente stupefacente che la tesi dell'abbinamento del referendum (e, peggio, del suo rinvio e liquidazione) con la revisione del concordato possa essere fatta passare per tesi "moderata". Essa in realtà porta alla luce quel che sempre abbiamo ripetuto: che, cioè, il referendum nulla è stato, nulla è se non uno strumento di ricatto per la realizzazione delle pretese del Vaticano contro la Repubblica; e che la revisione del concordato è un mezzo per privare i cittadini italiani del diritto di esprimersi su una legge del loro paese, espropriandoli di tale diritto a favore di loro ipotetici rappresentanti in virtù di poteri sovrani.
Rivelare e far capire tutto ciò, in fondo, può rappresentare un grosso contributo alla preparazione dell'opinione pubblica al voto nel referendum, che è poi il voto pro e contro le pretese del Vaticano, pro o contro la Sacra Rota. Ma accettare questo abbinamento referendum-concordato significa in sostanza, accettare la tesi che il divorzio, almeno per i matrimoni concordatari, è materia concordataria e deve essere "consentito" dal Vaticano. Il che equivale a sottoscrivere la tesi dell'incostituzionalità sostenuta dagli antidivorzisti della Cassazione. Che poi la revisione del concordato possa, come mostra di credere (ma ci crede?) Leopoldo Elia, liberarci dell'assurdità degli effetti civili degli annullamenti ecclesiastici, è speranza folle, quando il Vaticano persegue con ogni mezzo il potenziamento e lo sfruttamento di questo suo privilegio, altro che offrirne la rinunzia!
Dovremo quindi in questo anno difendere il divorzio contro il tentativo di impasticciare la revisione del concordato con le manovre per "scongiurare" il referendum e con il giudizio di costituzionalità. Baratti, compromessi e confusioni non possono che avvenire a danno del divorzio. Se i negoziatori della cosiddetta revisione avranno tra le mani anche il divorzio, è certo che questo ne uscirà mutilato e ridicolizzato. Ed è certo che, se "scongiurare" il referendum è interesse solo del regime e della Chiesa del potere di Paolo VI, chiesa e regime non vogliono pagare questa operazione di tasca propria, ma con il divorzio, con la libertà del popolo italiano di difenderlo col proprio voto.
Soprattutto occorrerà difendere il divorzio, e difenderci, sconfiggendo il "buon senso" di quanti ipocritamente oggi, con l'aria di dar sulla voce a Gabrio Lombardi, a Paolo VI e, magari, alla Sacra Rota, fanno in realtà la parte dei frati di Mazzarino, che paternamente esortavano i ricatti a cedere al ricatto facendo le finte di "ottenere" comprensione e moderazione dai ricattatori mafiosi.
Difendere il divorzio significa in questo anno anzitutto battersi contro la revisione e, per l'abrogazione del concordato. Significa passare all'offensiva mobilitando l'opinione pubblica contro lo scandalo degli annullamenti rotali. Mai e poi mai la Corte Costituzionale penserà di infliggere a sé stessa la mortificazione di rimangiarsi la sentenza del giugno 1971 per riaffermare l'intangibilità del monopolio della Sacra Rota, quando l'opinione pubblica abbia un minimo di informazione sulla portata vergognosa dello scandalo rotale. Ed occorrerà difendere il divorzio e la Corte Costituzionale dalle invocazioni dissennate di molti falsi laici perché sia "scongiurato" il referendum, invocazioni che ogni giorno che passa sempre di più suonano invito alla Corte Costituzionale a togliere la castagna dal fuoco liquidando il divorzio.
Occorre infine in questo anno difendersi dall'autolesionismo dei medesimi falsi laici che cercheranno di procrastinare fino all'estremo l'inizio della campagna per il referendum, nella vana speranza di trovare un compromesso "in extremis" avallando magari una pericolosissima campagna per l'astensione che qualche clericale "progressista" non mancherà di lanciare al momento giusto, a vantaggio di Gabrio Lombardi e per bloccare, in realtà, la frana dei voti cattolici non clericali verso le posizioni divorziste.
Le conclusioni dell'analisi delle varie indagini demoscopiche compiute dal collettivo radicale e pubblicate su "La Prova Radicale" (n. 5) indicano in una prolungata, approfondita ed accesa campagna una condizione essenziale per la vittoria divorzista al referendum. Incertezze, speranze di compromesso, rinvii della campagna sono dunque tutti errori contro i quali dovremo contrattaccare.
Prima del congresso di Torino, esprimendo le nostre valutazioni sulle probabilità di salvare il divorzio, le riconducevamo alle probabilità che il Partito Radicale potesse decidere di andare avanti. Il successo della campagna antirotale, delle manifestazioni dell'11 febbraio, che hanno segnato un salto qualitativo nella crescita del movimento anticoncordatario, testimoniano - a quattro mesi dalla rifondazione del partito - che non avevamo peccato di presunzione. Ci auguriamo di poter dire altrettanto nel giugno 1974.