Dinosauri nello statoSOMMARIO: Fanfani è il profeta del partito della Mont-Eni; ha capito che la DC non sopporterebbe troppo a lungo gli effetti dirompenti dello scontro tra Eni e Montedison e, quindi, si è mosso per tentare la "pacificazione".
Lo scontro Montedison, per altro, si svolge dentro lo Stato, cioè dentro la DC: Fanfani ne è al centro.
L'Eni, di contro, è sempre stato un costante punto di riferimento della politica fanfaniana. Cefis ha mostrato come in Italia ci si possa servire di banche pubbliche per operazioni che nulla hanno a che vedere con l'interesse pubblico: La delibera del CIPE del 30 novembre 1972 ha punito l'Eni, costringendolo a spartire se stesso oltre che le sue azioni Montedison. Essa ha sostituito al capitalismo monopolistico di Stato il capitalismo burocratico ed assistenziale di Stato.
In questa situazione si sono inserite due manovre: quella dell'esplorazione politica, condotta da Fanfani, per la riedizione del centro-sinistra e quella di Cefis per l'ente chimico. Una strategia di cui non si riesce a valutare la consistenza, ma della quale si può prevedere la pericolosità.
(NOTIZIE RADICALI N. 191-192, 23 marzo 1973)
Il partito della Mont-Eni esiste e Fanfani è il suo profeta.
Esso è stato inventato, con notevole intuito e inatteso tempismo, nei giorni caldi dell'ultimo consiglio nazionale della DC. Tutto l'intrepido bagolare del presidente del senato, la sua ostinata tendenza ad intrupparsi con la storia (nel tentativo, non sappiamo quanto riuscito, di prendervi parte) nascondono a malapena lo spasmo, diciamo pure il dolore di questo notabile dc - non cavallo di razza, per carità - che si vede sfuggire di mano un feudo ormai troppo vasto per non spappolarsi. Come non vedere, francamente, dietro l'ammiccante dialogo, un fin troppo scoperto tentativo di ricostituire per nuove vie antichi e paralizzanti equilibri di potere? E come non vedere, rispetto a questo disegno, preminente e vitale l'obiettivo della "pacificazione" tra Eni e Montedison?
Fanfani è scaltro, non potendo essere altro. Egli ha capito che gli effetti dirompenti della vicenda che vede opposti Cefis e Girotti, e dietro di loro schierato tutto o quasi il potere economico racimolabile in questo paese, non sono alla lunga sopportabili - fisicamente se non altro - dal maggior partito italiano. Lo scontro Montedison, come ha ampiamente dimostrato l'inutile tentativo di arrivare alla costituzione del "sindacato di controllo", si svolge dentro lo stato; cioè dentro la democrazia cristiana, investita nei suoi più delicati meccanismi di potere. Fanfani è al centro di questo scontro.
L'Eni è stato in tutti questi anni un costante punto di riferimento della politica fanfaniana, l'elaboratore di quella ipotesi di regime che si è espressa sono confusamente nell'esperienza storica del centro-sinistra: il grande blocco tra forze manageriali avanzate, espresse dal capitalismo monopolistico di stato, e le strutture finanziarie-bancarie pubbliche. Un'esemplificazione costante, anche se per alcuni aspetti debordante, di questa strategia l'ha offerta Cefis, sia prima di andare alla Montedison (la "scalata" dell'Eni) sia per un certo periodo, dopo esserci andato (i numerosi affari, dalla Bastogi alla Carlo Erba). Egli ha mostrato come, in un paese in cui la programmazione non funziona perché non funziona lo stato, ci si possa servire di banche pubbliche, di istituti speciali di credito, della stessa Banca d'Italia per operazioni del tutto sganciate da ogni logica di "interesse pubblico", rispetto alle quali è inesistente ogni possibilità di controllo politico. Il tutto, naturalmente, sotto gli occh
i di ministri del bilancio socialisti, siano essi pacifici come Pieraccini o recalcitranti come Giolitti.
Nel portare a termine queste manovre - son cose degli ultimi anni non ancora consegnate alla storia - Cefis, per fortuna, ha dovuto pestare troppi piedi. Non solo l'Eni, naturalmente, e l'Iri, non solo l'Imi (il quale ha sempre mal sopportato l'invadenza e la spregiudicatezza della Mediobanca di Enrico Cuccia a sostegno dell'attuale presidente della Montedison) e la Sir, ma anche grandi industrie private come la Fiat e la Pirelli. Tutto ciò ha posto in grave imbarazzo la Banca d'Italia, costringendola ad un ruolo un po' più neutrale, a più sommessi avalli delle operazioni cefisiane.
Se non si è formato quindi un partito dell'Eni, si può certamente dire che se n'è formato uno dell'anti Montedison, all'interno del quale - in un gioco d'intrecci per la verità non molto chiaro - si è inserito ad un certo punto anche Andreotti. La famosa delibera del Cipe del 30 novembre scorso, inventata da Ruffolo e da Giorgio Cappon (direttore generale e depositario del potere dell'Imi), avallata ed accettata da Carli, sostenuta fin troppo entusiasticamente da Taviani, ostacolata in tutti i modi dai dorotei (ognuno per propri motivi), poteva essere la carta vincente dell'attuale presidente del consiglio: punire l'Eni, costringendolo a spartire se stesso oltre che le sue azioni Montedison, ma al tempo stesso umiliare e ridimensionare Cefis costringendolo a gestire la società di Foro Bonaparte sotto il controllo dell'Imi. La delibera del Cipe configurava un'importante trasformazione: al capitalismo monopolistico di stato si sostituiva, in un allucinante disegno, il capitalismo burocratico e assistenziale di
stato. Di qui i due schieramenti: da una parte i "pubblici" (Eni, Iri, Imi), legati solo da una comune condizione giuridica; dall'altra parte i privati cefisiani (la Bastogi, che peraltro è "pubblica" a metà, Monti, Pesenti); nel bel mezzo, con il loro gruzzoletto Montedison, Agnelli e Pirelli, contrari all'attuale dirigenza della Montedison e ai suoi alleati, ma ancora più contrari e preoccupati per l'involuzione che la delibera del Cipe sanciva in modo irreversibile.
La carta vincente si è così trasformata per Andreotti in un vero e proprio boomerang: ha finito con il trovarsi proprio tutti contro. In questo generale spappolamento si sono inserite due manovre, singolarmente assonanti: quella dell'esplorazione politica, condotta non a caso da Fanfani, per la riedizione del centro-sinistra; quella di Cefis per l'Ente chimico, ad un certo punto ingenuamente accettata dai socialisti e da alcuni influenti comunisti. Una strategia di accerchiamento in piena regola, della quale - mentre scriviamo - non riusciamo a giudicare la consistenza e a prevedere lo sbocco. L'unico aspetto che di essa si può valutare è la pericolosità. Soprattutto se si tiene conto che il partito della Mont-Eni ha per segretario generale il padrino della Montedison.