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Liberazione - 26 settembre 1973
IL PSI FLUTTUA NEL VUOTO
Ogni scelta politica ogni momento di scontro e di confronto si trascinano stancamente da una riunione all'altra. La lentocrazia demartiniana, il tatticismo delle opposizioni interne si risolvono in un vuoto politico che viene quotidianamente riempiti dall'efficienza fanfaniana e della forza di regime. Negli interventi in direzione critici Venturini e Bartocci

SOMMARIO: Critica l'assenza di dibattito e di "vero confronto politico interno" nel PSI di De Martino. Le prese di posizione, giuste, sul Cile o sulle pensioni servono solo a "coprire i dissensi e le critiche" provenienti non solo dalle opposizioni interne ma anche da settori demartiniani, che però non giungono a proporre una "opposizione aperta" alla linea "vuota" di De Martino. Non hanno infatti senso le deboli proposte di Riccardo Lombardi, mentre l'opinione pubblica percepisce solo quanto viene detto da Antonio Giolitti, che da ministro del bilancio "fa concorrenza" a La Malfa. Il PSI è tornato al governo su invito di una DC che non voleva continuare a reggere da sola le responsabilità della crisi economica e spinto dal PCI che teme un "serio confronto" con la DC. Perciò il PSI rifiuta di battersi "per i diritti civili" o per la riforma delle istituzioni, e lascia che si continui nei tentativi di evitare il referendum. La sua è una posizione "subalterna", assai diversa da quella del Partito Socialista fr

ancese.

(LIBERAZIONE, 26 settembre 1973)

Il PSI va avanti senza dibattito e senza vero confronto politico interno, fra contraddizioni e incertezze. Secondo i ritmi propri della lentocrazia demartiniana la discussione in direzione si trascina di riunione in riunione.

I documenti approvati (sul non riconoscimento del governo cileno, sulla necessità di aumentare le pensioni e i redditi di lavoro più bassi), costituiscono prese di posizione episodiche con cui ci si limita a seguire una attualità politica imposta dagli avvenimenti (il dibattito alla camera sul Cile, l'incontro governo-sindacati per le pensioni). L'unanimità del voto su di essi serve a coprire i dissensi e le critiche. L'inesistenza di una iniziativa politica, il pratico svuotamento delle funzioni della direzione, l'assoluto scollamento fra azione del partito e attività del governo preoccupano tutti: non solo Riccardo Lombardi, non solo Landolfi e Balzamo per la corrente di Mancini, ma anche i demartinani Venturini e Bartocci.

Queste critiche, questi dissensi non appaiono però sorretti da analisi e volontà politiche adeguate, non giungono a trasformarsi in opposizione aperta alla linea vuota di De Martino che i fatti s'incaricano di riempire con la disponibilità al disegno politico di Fanfani e di subalternanza al regime. Anche lombardiani e manciniani finiscono così per condividere o subire le responsabilità di una politica che appare, per il PSI, già oggi fallimentare.

Che senso ha per la sinistra socialista, dopo l'ampio e duro discorso di Riccardo Lombardi di venerdì scorso, limitarsi ieri a sollecitare e a votare un documento sulle pensioni, sui minimi salariale e sugli assegni familiari? Che senso ha dar corda al trasformismo di De Martino e tentare di far perno di volta in volta sulle contradizioni della maggioranza? Per la opinione pubblica ciò che ha fatto notizia non è stato il documento della direzione, ma la grave dichiarazione del »socialista Antonio Giolitti. Il ministro del bilancio fa concorrenza a La Malfa nel criticare i sindacati colpevoli di cadere in grave contraddizione perché chiedono contemporaneamente l'aumento dei redditi e la realizzazione delle riforme. Non si può volere contemporaneamente, dice il ministro, consumi e riforme. Naturalmente i consumi che preoccupano il ministro sono quelli, già contratti dall'inflazione, della classe operaia e della piccola borghesia, non quelli lussuosi e ostentati dei vasti ceti della media e alta borghesia. Non

una parola sulla riforma tributaria, sulla opportunità di varare una imposta generale sul patrimonio, sulla necessità di rivedere le aliquote contributive e di aumentare l'IVA per i generi di consumo di lusso.

Il PSI è tornato al governo su invito di una DC che non voleva continuare a sopportare da sola, come era avvenuto con il governo Andreotti, le responsabilità della crisi economica e spinto dal partito comunista che teme e vuole evitare soprattutto in una situazione critica ogni serio confronto con la DC. Di questa operazione il PSI rischia ora di pagare un prezzo assai alto in termini di politica economica e sociale per le conseguenze antipopolari che già oggi si delineano della politica lamalfiana. E non è il solo prezzo. Timoroso di ogni iniziativa che possa portare a uno scontro con i suoi alleati di governo o disturbare la politica neoconcordataria del PCI, il partito socialista rinuncia in pratica a battersi per i diritti civili e per la riforma delle istituzioni dello Stato. Lascia cadere la proposta di legalizzazione dell'aborto, presentata da oltre cinquanta deputati del suo gruppo parlamentare. Si guarda bene dal separare le proprie responsabilità e dall'imporre un alt ai ricorrenti tentativi di re

alizzare una truffa sul divorzio per evitare il referendum.

Lascia senza risposta, pur avendo la responsabilità del ministero della giustizia, fatti gravissimi come la lettera di Taviani a Henke, gli interventi punitivi contro le proteste dei carcerati, i numerosi fatti scandalosi che si registrano ogni giorno nei tribunali italiani.

Il PSI sta già accettando il ruolo subalterno che gli assegnano, nelle loro rispettive strategie, la DC e il PSI e evita ogni occasione di confronto politico che potrebbe sottolineare invece un suo ruolo autonomo, quel ruolo che assolve oggi il partito socialista francese e che soltanto un partito socialista consapevole espressione di una moderna realtà democratica di classe, può sperare di assolvere.

 
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