SOMMARIO: La Commissione giustizia della Camera ha appena finito di elaborare il testo della nuova legge sulle intercettazioni telefoniche. Da esso "è sparita" la parte che "metteva fuori legge le centrali di ascolto installate presso i sette, otto corpi di polizia" presenti nel paese. Perfino il Ministero delle Poste ha una sua polizia, che ha attrezzato proprie sale di ascolto. Ma nessuno degli scandali di regime, come questo scandalo dei telefoni, rischia di essere scoperto, il "Number One", la Stefer, l'ONMI, ecc. Con certi magistrati "non era possibile farsi illusioni". Alcuni magistrati coraggiosi ci sono stati e ci sono, ma "la cosidetta macchina della giustizia li ha stritolati presto", a Milano (quando ci si è accorti che le inchieste attaccavano Cefis e Gritti) come a Roma, dove Spagnuolo ha esautorato Infelisi sullo scandalo dei telefoni. Ma nel governo ci sono anche i socialisti, che "si sono dimostrati intransigenti" sullo scandalo dei telefoni e sul caso ANAS. Per loro, è "ora di tirare le som
me..."
(LIBERAZIONE, 29 settembre 1973)
La commissione giustizia della Camera ha appena finito di elaborare il testo della nuova legge sulle intercettazioni telefoniche: dal testo definitivo della nuova legge è sparita la parte più importante, quella che metteva fuori legge le centrali di ascolto installate presso i sette, otto corpi di polizia di cui è stato dotato il paese. Malgrado le menzognere affermazioni governative perfino il ministero delle Poste e Telecomunicazioni ha una sua polizia e quasi nessuno sa che questa polizia ha avuto in dotazione con tanto di autorizzazione ministeriale ben due cavi della Sip-Teti per attrezzare le proprie sale d'ascolto. Fino a poco tempo fa il titolare del ministero delle Poste era l'on. Gioia, uomo di fiducia di Fanfani e protagonista indiscusso degli anni più »caldi della vita politica e clientelare siciliana. E' già difficile accettare tranquillamente che il proprio telefono possa essere messo sotto controllo dietro semplice presentazione di un modulo ciclostilato da parte di un ufficio di polizia. Ac
cettare che sia messo sotto controllo per decisione personale dell'on. Gioia diventa un insulto al buon senso.
Bene, a due anni di distanza da uno scandalo che aveva tirato in ballo uomini politici, ministri, procuratori generali, questori, commissari di polizia, finanzieri e investigatori privati, si poteva anche constatare una volta di più che nessuno »sarebbe andato fino in fondo come pure ci aveva energicamente promesso l'allora presidente del consiglio Andreotti. Non c'era stato bisogno di aspettare che gli atti giudiziari di tutta la vicenda venissero strappati al tribunale di Milano dal procuratore generale presso il Tribunale di Roma Carmelo Spagnuolo, per capire che sarebbero andati a raggiungere nei cassetti del suo ufficio tanti altri scandali di regime, a cominciare da quello della Rai-tv bloccato tra le 12,30 e le 13,30 di una mattina di primavera di quattro anni fa, quando erano stati già firmati una ventina di mandati di cattura, per finire con il »Number One , i padiglioni Stefer, e naturalmente l'ONMI, dove la Procura Generale riuscì a superare se stessa. Quando uscì la sentenza di assoluzione per i
principali dirigenti dell'ente di assistenza, prima si preoccupò di tenere buono il pretore che aveva condotto l'inchiesta (che è Luciano Infelisi, lo stesso dell'inchiesta sui telefoni), poi fece in modo di presentare appello contro la sentenza oltre i termini prescritti dalla legge.
Con dei magistrati distratti fino a questo punto, non era possibile farsi troppe illusioni. Ci sarebbe voluta la iniziativa di qualche giudice coraggioso per tirare fuori l'inchiesta dei telefoni dalle paludi dove veniva lasciata lentamente affondare. Ce ne sono stati. A Milano e anche a Roma. La cosiddetta macchina della giustizia li ha stritolati presto. A Milano li hanno tagliati fuori non appena dietro i nomi di Ponzi e Beneforti cominciavano ad affacciarsi quelli di Cefis e del suo braccio destro Gritti. A Roma, Infelisi ha subìto la stessa sorte. Gli hanno chiesto gli atti in suo possesso, li ha inviati all'ufficio di Spagnuolo facendo chiaramente capire che ce n'era già abbastanza per condurre un'inchiesta approfondita sull'operato dei corpi separati dello Stato in materia di intercettazioni, dalla Guardia di Finanza dell'On. Luigi Preti alla PS. Spagnuolo gli ha risposto che secondo lui era tutta roba da archiviare. Fine dell'inchiesta. Per non parlare delle pressioni e delle intimidazioni a cui so
no sottoposti i magistrati che direttamente o indirettamente hanno avuto a che fare con la vicenda e hanno cercato di vederci chiaro ignorando gli ordini di scuderia. Uno di loro manifestò una volta il bisogno di andare a interrogare Cefis dal momento che nella sua condotta c'erano, ad essere generosi, molti punti oscuri. Pochi minuti dopo, il suo diretto superiore aveva già ricevuto le telefonate di tutto il vertice democristiano, da Fanfani a Forlani. Perfino il commissario Walter Beneforti si presentò nell'ufficio di Infelisi per il primo interrogatorio preceduto da una sequela di raccomandazioni politiche ad alto livello. C'è stato il procuratore generale della Corte di Cassazione che ha scritto: »l'iniziativa del Procuratore Generale Spagnuolo, di richiedere alla procura di Milano gli atti del processo sulle intercettazioni, è inqualificabile e condotta in spregio alle più elementari norme del codice . Non è successo nulla, gli atti sono già a Roma, al sicuro.
Non c'è da meravigliarsi. I codici hanno sempre funzionato a senso unico, verso il basso e non certo nella direzione opposta. Che questa volta facessero eccezione era un po' ingenuo pensarlo. Le carceri si sono provvisoriamente affollate, come di regola, di piccoli investigatori e di oscuri tecnici della Sip. Gli uomini politici, i ministri e i grandi finanzieri non hanno nemmeno avuto il batticuore di un semplice indizio di reato. Gli investigatori agivano perché erano pagati per agire, i tecnici da soli non avevano nessun interesse a manomettere i cavi telefonici, dei mandanti ci dovevano pure essere. Per Spagnuolo ci sono solo delle chiacchiere.
Il governo, però, non è, fino a prova contraria, l'ufficio del procuratore generale. Nel governo, ad esempio, ci sono anche i socialisti e i socialisti sulle intercettazioni telefoniche in generale e sul caso Anas in articolare si sono dimostrati intransigenti. E' l'ora di tirare le somme. Forse era ingenuo aspettarsi una conclusione decente dell'inchiesta sulle intercettazioni ma non ci sembra impossibile esigere che la nuova legge sulle intercettazioni sia una legge seria e non una legge truffa come quella approvata in sede di commissione. Se le centrali d'ascolto restano distaccate presso qualunque corpo di polizia lo richieda, se le intercettazioni non vengono riportate sotto il diretto controllo e la diretta responsabilità della magistratura, vuol dire che due anni di scandali non sono serviti a lasciare indisturbati i veri responsabili dei controlli abusivi ma non hanno insegnato niente, e a nessuno.