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Placco Giovanni - 1 ottobre 1973
Referendum contro il regime (12) Interventi e adesioni: Giovanni Placco, magistrato

SOMMARIO: Il Partito radicale ha deciso d'indire una serie di referendum popolari: per l'abrogazione del Concordato, delle norme fasciste del codice penale (compreso l'aborto), dei tribunali militari e sulla libertà di stampa e di diffusione radiofonica e televisiva. Rispondendo al questionario de "La prova radicale", Giovanni Placco ricorda l'iniziativa di Magistratura democratica del 1971 per un referendum abrogativo dei reati d'opinione e le ragioni che impedirono il suo successo. Ma i referendum radicali che non si limitano alle norme repressive del codice penale hanno un ulteriore merito, quello del recupero democratico dello strumento referendario nel momento in cui viene utilizzato dal mondo clericale per una offensiva sanfedista contro il divorzio.

(LA PROVA RADICALE, n.10-11-12 agosto-ottobre 1973)

Nel momento in cui, cessata la pressione dell'infezione colerica, le preoccupazioni d'ordine economico sembrano tornare a predominare sulla scena politica italiana condizionando ogni programma di rinnovamento civile e sociale alle sorti della lira, all'andamento degli scambi commerciali con l'estero, alle oscillazioni della bilancia valutaria, alla ripresa produttiva, e via dicendo, l'iniziativa radicale dei dieci referendum abrogativi costituisce un validissimo motivo di richiamo dell'attenzione generale su alcuni obiettivi d'indubbio progresso civile: un nuovo rapporto politico e giuridico con la Chiesa attraverso l'eliminazione del regime concordatario e dei relativi privilegi, la fine del finanziamento statale dell'assistenza e dell'istruzione confessionale, la cancellazione delle norme penali repressive di libertà civili sindacali e politiche nonché delle anacronistiche ed assurde disposizioni vigenti in materia militare, l'abolizione dell'assetto corporativo della professione giornalistica e di al

cune norme sorpassate della legislazione sulla stampa, l'esenzione dal monopolio statale e perciò dalla burocrazia radiotelevisiva di alcune attività di telecomunicazione: sono tutte notoriamente "riforme che non costano", ritardate sinora dalla carenza della volontà politica e non certo da ostacoli economici di costi non sopportabili: né può ad esse estendersi la disputa svoltasi a proposito delle "riforme costose" intorno al dilemma se la congiuntura negativa ne richiedesse il rinvio a tempi migliori o viceversa ne imponesse l'attuazione immediata quale mezzo necessario al suo superamento.

A livello istituzionale non sono mancate in passato iniziative anche molteplici per qualcuna delle riforme in questione; in particolare in tema di codice penale si sono accavallate proposte abrogative di varia estensione da parte di parlamentari sia di opposizione che di maggioranza, e si è avuto persino --sia pure con effetti paralizzanti sulle prime-- un disegno di legge governativo; ma nonostante il largo uso giudiziario di incriminazioni per reati politici sindacali e d'opinione che le avevano sollecitate, nessuna delle iniziative parlamentari è giunta a concreti risultati abrogativi.

Questa vicenda dei tentativi di abrogazione delle norme penali autoritarie merita di essere particolarmente ricordata, nel momento in cui si porta avanti un ambizioso progetto di ben dieci referendum, perché proprio nel corso di essa si è registrato un precedente specifico di referendum abrogativo in sostegno o comunque in supplenza dell'esito parlamentare, quello proposto nel 1971 da Magistratura Democratica senza successo. Difficoltà oggettive legate ai tempi di raccolta delle firme ed ai meccanismi iugulatori propri della legge istitutiva, e difficoltà oggettive connesse all'impegno insufficiente di alcune forze politiche promotrici ed all'atteggiamento prima critico poi ostile del maggior partito d'opposizione, impedirono allora il raggiungimento delle 500.000 firme necessarie per la messa in moto del referendum; ma l'esperienza esaltante dei contatti e del dibattito iniziato presso gli strati sociali costituenti la base dei partiti di massa ne dimostrò un alto indice di disponibilità alla mobilitaz

ione ed alla aggregazione intorno ad un obiettivo capace di unificare forze persone ed ambienti anche di diversa ispirazione, senza che si verificasse il pericolo da alcuni temuto di una inaccettabile contrapposizione o peggio sovrapposizione al Parlamento: comunisti, socialisti, cattolici, liberali, laici, militanti di varia colorazione politica firmarono insieme la richiesta di referendum, realizzando alla base un'unità che i vertici dei rispettivi raggruppamenti non avevano saputo raggiungere, e consegnando alla storia, a compenso dell'insuccesso, un primo concreto esempio di mobilitazione unitaria di massa per qualcosa di più di un semplice atto dimostrativo di forza.

Quella prima esperienza resta ancora oggi un punto di riferimento politico soprattutto per il progetto radicale, per gli insegnamenti che in positivo o in negativo si possono trarre in ordine alle rilevate difficoltà oggettive e soggettive del tentativo di M.D.; in questa prospettiva alcune favorevoli circostanze si sono verificate in epoca recentissima: al congresso di Torino dell'ASS. NAZ. MAGISTRATI sembra finalmente prevalso l'orientamento prima minoritario favorevole all'abolizione dei reati politici e d'opinione; l'attuale Ministro di Grazia e Giustizia Zagari, primo Guardasigilli socialista, ha più volte preso pubblica posizione per l'abrogazione delle norme repressive; alla Camera è in esame la proposta abrogativa 1711 presentata il 22-2-73 dall'on.Spagnoli ed altri. Il rilancio radicale del referendum abrogativo in questa materia costituisce l'indispensabile innesco di una rinnovata mobilitazione di massa attorno all'obiettivo abrogazionista, in sintonia e non in opposizione con la non certo fa

cile battaglia che nella loro piena autonomia le forze parlamentari di ispirazione democratica si devono preparare a sostenere; e d'altra parte, per il caso che ancora una volta dovessero prevalere le tortuosità dell'iter legislativo, il meccanismo del referendum è in grado di trasferire la lotta sul più vasto fronte del corpo elettorale, che sperimentando sulla propria pelle senza distinzione di partito l'efficacia repressiva delle norme in questione, avrà minori resistenze della sede parlamentare ad eliminarle.

Ma il progetto radicale, che non si limita ad investire solo le norme repressive del codice penale, ha un ulteriore merito, quello di tentare nuovamente il recupero democratico dello strumento del referendum, opponendo all'offensiva di una crociata sanfedista contro il divorzio la controffensiva di una iniziativa politica atta a mobilitare le masse lavoratrici attorno ad obiettivi di civile progresso che sono qualcosa di più della semplice difesa del divorzio dall'attacco clericale. In questo senso la via dei referendum del progetto radicale può costituire un validissimo raccordo delle istituzioni e degli stessi partiti con la base popolare chiamata in prima persona a dibattere e scegliere soluzioni, su temi di particolare valore civile e democratico, che non lasciano molto spazio a giochi di vertice e mediazioni compromissorie. Si tratta di avviare un processo di crescita politica e maturazione democratica di larghe masse di lavoratori, presupposto non di una mitica alternativa di regime bensì di un no

tevole salto qualitativo di partecipazione politica in un momento di crisi di credibilità del complessivo assetto attuale.

 
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