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Liberazione - 10 ottobre 1973
SARAGAT E' IN CERCA DI SOCIALDEMOCRAZIA
Nella direzione socialdemocratica il gioco rovesciato delle correnti è comprensibile solo nei suoi termini nascosti: fra chi vuole che il governo cada perché ne è fuori, e chi vuole che tenga fino ad espellere o mettere ancora più in crisi il PSI. Saragat si sposta a sinistra, si ricorda dei lavoratori, chiede le riforme, ma non dice che cosa vuole e progetta: senza umorismo lamenta la mancanza di costume democratico del PSDI.

SOMMARIO: Saragat si è presentato in direzione PSDI con un intervento che ha stupito: per la prima volta da anni ha ricordato che un partito socialdemocratico "che non trovi fondamento in una reale presenza tra i lavoratori...non è...socialdemocratico". Si può dargli credito? In Europa vi è un'altra figura di socialista che ha impersonato a lungo il socialismo del suo paese: si tratta di Guy Mollet il quale, dopo molte traversie ed errori, da cinque anni viene sostenendo "l'unità organica" tra socialisti e comunisti". Qualcosa di simile anche Saragat lo ha detto: ma il suo partito assume sovente posizioni che scavalcano a destra lo stesso MSI. Saragat è persona che non si lascia condizionare da complessi di inferiorità, ma ha dimostrato finora solo una grande abilità tattica, senza mai affrontare i grandi temi di strategia. Potrebbe farlo oggi? Sarebbe attendersi troppo?

(LIBERAZIONE, 10 ottobre 1973)

I lavori della Direzione del PSDI fanno oggi notizia ed occupano le cronache politiche ben più del solito. In realtà la stampa ed il mondo politico continuano a far credito a Giuseppe Saragat di una eccezionale forza d'intervento politico. Con quanta ragione?

C'è un coetaneo, un coevo politico del sen. Saragat nella socialdemocrazia europea che, come lui, ha impersonato per oltre un decennio il proprio partito: è il francese Guy Mollet, che negli anni della guerra fredda rappresenta la punta più dura della politica anticomunista del centro-sinistra francese. Acciecato dallo stalinismo, dalle polemiche e dalla crescita anticomunista della SFIO, Mollet comprese con tanto ritardo le possibilità e le necessità successive alla morte di Stalin da farsi complice del colpo di Stato gollista e da accettare di entrare nel primo ministero del generale. Passato all'opposizione »democratica , per qualche anno, con illusioni e tentativi terzaforzisti contro De Gaulle, ne registrò al fine il fallimento e l'improponibilità. Da cinque anni Mollet predica l'unità organica fra socialisti e comunisti, proclamando che i motivi delle scissioni di Tours e di Livorno sono storicamente superati.

Anche Saragat, alla vigilia (ma non immediata) della sua elezione alla Presidenza della Repubblica, nei corridoi di Montecitorio conversando con Togliatti, ricordava e sottolineava che, a suo avviso, socialismo democratico e comunismo, nell'occidente europeo, erano »fratelli separati .

Si poteva e si può concordare o dissentire su questo, con Saragat. Si deve dissentire su quasi tutto quel che concretamente ha detto e fatto in questi dieci anni, con alcune eccezioni a suo favore. Ci sembra anche giusto non accettare dal suo pulpito il richiamo alla democraticità della gestione di un partito, il PSDI, che egli ha diretto e mantenuto, per lustri, con cinismo autoritario.

Ma nell'intervento di oggi alla direzione socialdemocratica, Saragat ha fatto e detto cose giuste, interessanti. Ha in realtà portato un secondo colpo, dopo quello dei parlamentari socialisti, al governo: malgrado ne abbia proclamato la eventuale crisi come una grave jattura. Ha ricordato alla Direzione che un partito socialdemocratico che non trovi fondamento della sua politica in una reale presenza fra i lavoratori ed a partire dalle loro lotte non è nemmeno socialdemocratico. E' una verità che parla, grida contro il PSDI e contro la politica stessa di Saragat, per tanti anni.

Non si può impunemente divenire il partito che contende Birindelli e altri fascisti al MSI; che ospita a livello di direzione gente che scavalca a destra, se ne è libera, la politica della CIA, e - in certi periodi - in Italia, quella di Malagodi, che si fa preferire a Almirante da Nino Nutrizio, e poi sorprendersi della situazione attuale del PSDI.

Saragat è forse fra i pochissimi uomini politici italiani che non abbia subito passivamente complessi di inferiorità definitivi nei confronti della Democrazia Cristiana, e forse neppure nei confronti del Partito Comunista. E' fra i pochi cui la minaccia fanfaniana di nuove elezioni può suonare invece come un invito a mettere in crisi questo parlamento, il più a destra che la Repubblica abbia da ventanni. Tattico consumato, cui sono mancate fino ad oggi visioni strategiche adeguate a quelle dei grandi partiti socialdemocratici nel mondo ed in Europa, potrebbe comprendere che v'è lo spazio, come e ancora più che in Francia, per una iniziativa di alternativa, di alternativa unitaria, unitaria con i comunisti e con forze di sinistra borghese, al prepotere storico della DC.

E' attendersi troppo da un uomo politico, che è stato già Presidente della Repubblica, dall'età ormai avanzata, che per ventanni ha mostrato di credere soprattutto e solo alla forza del potere e dei vertici e mai, in realtà, a quella delle lotte popolari, dei conflitti sociali, delle alternative democratiche di classe? E' quanto pensiamo. Ma porci l'interrogativo, quanto meno, non c'è sembrato arbitrario.

 
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