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Liberazione - 17 ottobre 1973
GOVERNO: IL "PROGRESSO" CHE UCCIDE
Il Governo pretende di imporre per decreto la localizzazione di undici centrali termoelettriche, scavalcando regioni ed enti locali, prescindendo da ogni valutazione ecologica e urbanistica. Alla commissione industriale del senato un accenno di opposizione comunista. Intanto a Porto Marghera 82 operai rischiano la morte per asfissia. Ovunque il sistema produttivo produce inquinamenti, omicidi bianchi, aborti necessitati, stress ed esaurimenti.

SOMMARIO: Dopo la votazione "a sorpresa" con cui i senatori comunisti hanno imposto la sospensione temporanea della discussione sul decreto per nuove centrali termoelettriche, viene fatta una serrata critica della politica energetica italiana, caratterizzata dal prepotere delle baronie elettriche e dalla prepotenza centralistica del governo che ha esautorato le regioni dei loro diritti-doveri. C'è invece un "diritto civile, umano, alla salute" e ci sono i grandi temi ambientali che premono. "Tutto questo non è politico"? si chiede Liberazione; sì, anzi proprio quì la "lotta di classe" si afferma come "necessaria" e si collega a queste nuove battaglie.

(LIBERAZIONE, 17 ottobre 1973)

I senatori comunisti della commissione industria sono riusciti a imporre con una votazione "a sorpresa" la sospensione temporanea della discussione sul decreto legge governativo per la costruzione di undici centrali termoelettriche. Bene. Nei tranquilli rapporti di regime che intercorrono normalmente fra governo e opposizione, l'episodio va segnalato come un fatto a sé. Tanto che l'Unità sembra quasi giustificarsene, sottolineando la "serietà e la ragionevolezza" degli argomenti addotti dai compagni senatori. Ma basta proprio un minimo di serietà e ragionevolezza a giustificare in ogni campo in questo paese l'opposizione più intransigente e dura.

Per anni non si è potuto costruire centrali. Perché? Perché il Vajont ha aperto gli occhi ai comuni di ogni parte d'Italia. Perché le conseguenze degli inquinamenti, delle fabbriche che ammorbano acqua e aria, ovunque provocano la resistenza e l'opposizione delle popolazioni. Così siamo arrivati al punto che l'energia elettrica non è più sufficiente allo sviluppo industriale. E occorre costruire nuove centrali subito. Il governo, alla maniera di Napoleone, emana un decreto, fissa le localizzazioni, dà all'ENEL tutti i poteri perché possa surrogarsi alle Regioni e ai Comuni. E' lo stesso governo, sono gli stessi uomini che non hanno tentato mai seriamente una programmazione del territorio; che, frammentando le competenze fra tre o quattro baronie di regime (ENI, ENEL, CNEN, IRI), hanno praticamente impedito o ritardato ogni serio sviluppo dell'energia nucleare. Per anni si è pensato di risolvere il problema lasciando l'ENEL a contrattare direttamente con gli enti locali. Ora si decide dall'alto e con un co

lpo di spugna si pretende di superare ogni discussione, ogni dibattito, ogni valutazione ecologica, ambientale, urbanistica. Il decreto non deve passare. Le Regioni devono essere investite del problema. Non che la classe dirigente delle Regioni sia migliore di quella che occupa a Roma le poltrone ministeriali, ma almeno è una classe dirigente che deve fare i conti con le popolazioni e con i comuni. Alcune delle localizzazioni decise dall'alto sono semplicemente scandalose: citiamo per tutte quella di Manfredonia, dove un intero tratto di splendida costa pugliese è già inquinato dagli impianti chimici. Su questo il ministero dell'ecologia non ha niente da dire? il CIPE ha deciso e il governo ha sanzionato senza neppure interpellare il ministro Corona.

Intanto ieri in uno stabilimento della Montedison a Porto Marghera 82 operai hanno rischiato di crepare per soffocamento e sono stati ricoverati in ospedale con sintomi di asfissia. Nelle stesse ore due consiglieri regionali - un socialdemocratico e un liberale - propongono una mozione per l'installazione sempre a Porto Marghera di un nuovo stabilimento Montedison per l'ammoniaca.

Sulle colonne di Liberazione un esperto, Marcello Vittorini, ci spiegava ieri che con i soldi che servono per una sola raffineria - quella dell'ENI a Portogruaro - si potrebbe depurare le fogne delle zone urbane di mezza Italia.

E invece dovunque migliaia di intossicati. Malattie professionali fisse (è come la storia delle silicosi: s'è riconosciuta quando è cominciata la smobilitazione delle miniere, quando dopo la speculazione selvaggia e i superprofitti criminali realizzati sulla vita di decine di migliaia di minatori si è dato inizio alla politica di smantellamento). Fra queste, come ci ha ricordato nei giorni scorsi anche la serrata dell'impresa che costruisce il traforo del Gran Sasso (dopo undici morti gli operai avrebbero dovuto essere tranquilli e grati), la morte bianca in agguato in ogni impresa edile; l'aborto "spontaneo" di donne impegnate in decine e decine di imprese non solo meridionali, e quello dovuto alla pirateria del lavoro a domicilio dei tessili e di molti altri settori. E, a causa del carattere corporativo, interclassista, delle loro organizzazioni si ignorano ogni giorno le "nuove malattie" professionali dei "lavoratori moderni", dei settori terziari, degli uffici.

Decine di migliaia di "esaurimenti", di stress, di devianze, che nascono e poi esplodono, nei corridoi dei ministeri, negli uffici del superenti di stato e no, curati con la produzione in massa della droga protetta e pubblicizzata per esigenze di profitto, senza controllo, con prescrizioni dei medici della mutua e previdenziali, tranquillanti per riposare, eccitanti per produrre, catena infernale che ha ancora il nome di "medicina".

C'è un diritto civile, umano alla salute, se non ancora alla possibilità oggettiva d'esser felici.

C'è un diritto ad esser vivi, che il sistema capitalistico, che il regime di classe è costretto a negare se vuole vivere o sopravvivere. Le cui regole sono sempre più selvagge, di giungla pietrificata, costruita, voluta, necessaria.

C'è l'inquinamento del mare, del fiume, dello stagno, della pioggia; l'inquinamento del mondo vegetale, di quello animale, dell'uomo stesso, nella migliore delle ipotesi ciascuno "portatore (provvisoriamente) sano" del colera, della malattia e dell'infelicità.

Tutto questo non è politico? Non ha a che fare con le leggi? O solo se il colera esplode, il Vajont rovina, il mare dei signori s'intorbida, la sovrappopolazione minaccia direttamente la vita e l'equilibrio delle società che tengono cara la Chiesa, come gendarme di sistema e di regime, qualcuno, magari un cardinale, molla qualche Gava, perché ve ne siano di più efficienti e nuovi?

Un sistema di produzione che uccide e ferisce, per necessità e non per degenerazione, è un sistema che s'abbandona o un sistema che afferma, irreparabilmente, la morte. Il diritto civile ad un diverso lavoro, al lavoro non salariato, non gestito dall'alto ma autogestito, è anch'esso da proporre e imporre. Qui la lotta di classe s'afferma come necessaria, si collega alle battaglie che conduciamo; in modo, pensiamo, più chiaro e necessitante per ciascuno e per tutti.

 
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