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Liberazione - 7 dicembre 1973
Giustizia romana: un covo di crimini

La polemica dilaga, segno che è in atto uno scontro all'interno delle stesse forze del regime. Come al tempo della lotta fra De Lorenzo e Aloia per l'esercito, oggi, per la giustizia, le verità più scandalose cominciano a venire alla luce. Spagnuolo è il De Lorenzo di Fanfani, del suo colpo di Stato strisciante e continuo? Qual è la realtà della giustizia romana? Della lunga Presidenza di Angelo Jannuzzi? Degli interessi di regime che si muovono da sempre attorno alla sezione fallimentare? Una opportuna iniziativa dei deputati comunisti. Ma è ormai necessaria una inchiesta parlamentare.

SOMMARIO: Denuncia pesantissima delle strutture giudiziarie della capitale:"La giustizia romana è divenuta un covo di crimini, se non di criminali". Le polemiche in corso hanno mostrato che sono in corso scontri fortissimi, tra gruppi avversi di cui uno è quello cui appartiene il procuratore generale di C. d'Appello, Carmelo Spagnolo. In questi scontri si realizza il colpo di Stato "strisciante e continuo"...Da una parte, Fanfani che muove alla "conquista definitiva" di questo potere, dall'altra la "resistenza disperata" dei "baroni giudiziari" di ieri.

I "settori che scottano" sono, a Roma, parecchi. Uno è costituito, appunto, da Carmelo Spagnolo. A lui si deve l'insabbiamento dell'inchiesta sulla RaiTV, di quella sulle infiltrazioni mafiose nella Regione Lazio, dello scandalo della Ferrobeton, di altri scandali minimi o grandi. Già quando era a Milano aveva precedenti significativi, come quello dell'ENI. Ci sono poi i casi delle microspie, le convocazioni irregolari, i ritardi nell'inchiesta su Junio Valerio Borghese...

Dopo Spagnolo, il magistrato Angelo Jannuzzi: su di lui, vengono qui ripubblicati passi di un altro articolo apparso su "Liberazione", contenenti circostanziate accuse cui non è ancora stata data risposta, nonché richieste di chiarimenti circa l'acquisto di appartamenti e ville non solo a Roma, per centinaia di milioni. Si avanzano quindi dubbi circa l'operato del magistrato, in merito alla sezione fallimentare del tribunale di Roma.

(LIBERAZIONE, 7 dicembre 1973)

La giustizia romana è divenuta un covo di crimini, se non di criminali. E' un fatto: la cronaca lo conferma quotidianamente. Un covo di crimini, che si proseguono ininterrotti da anni, regolarmente impuniti. La polemica dilaga, segno che uno scontro è in atto all'interno delle forze stesse di regime: sembra esser tornati al tempo in cui un altro »corpo separato , l'esercito, grazie alla lotta ed ai regolamenti di conti fra De Lorenzo e Aloja, da tabù dell'informazione divenne all'improvviso fonte di scandalose rivelazioni, di verità e anche di menzogne, le une e le altre usate strumentalmente; ma alla fine, comunque, illuminanti ed esplosive.

Se Carmelo Spagnuolo, il potentissimo procuratore generale della corte d'appello di Roma, fosse il De Lorenzo della situazione, chi sono gli Aloja, e i Segni, i Taviani, gli Andreotti di oggi? L'analogia, in realtà, regge ma poco. Chi tentava allora, se li tentava credendoli, colpi di Stato clamorosi ed alla greca era solo un imbecille, uno strumento fra mille altri nella ricerca continua del regime democristiano di protrarsi ad ogni costo per altri decenni. Oggi Fanfani ha ben altro peso e intelligenza del povero Segni, e potere degli Andreotti, dei Rumor, dei Taviani di allora. Il colpo di Stato in un paese come il nostro c'è! Ed è strisciante e continuo. Chi riduce tutta la logica delle istituzioni, oggi, alla violenza della corruzione, della negazione delle stesse leggi che proclama per usarle solo come strumento di potere, trova nel potere giudiziario un elemento necessario, moderno e determinante.

Il potere assoluto sulla giustizia ed attraverso di essa è necessario a chi, per essere padrone del paese, deve essere innanzitutto e fermamente anche padrone della Dc. Gli scandali che scoppiano a ripetizione sono l'ultimo atto necessario, e chissà perché tanto urgente, da esigere il costo del clamore per una conquista definitiva di questo »potere da parte di Fanfani, e per una resistenza disperata dei baroni giudiziari che avevano in passato come punti di riferimento Leone, Rumor, Andreotti, ora in cerca di compromesso e di salvezza.

In una Repubblica fondata sul peculato, sulla prevaricazione, sulla difesa del privilegio, sul potere e sulle lotte delle corporazioni pubbliche e private (che o »dettano , letteralmente, le leggi o le colpiscono a morte eludendole e squalificandole), sull'alleanza organica fra Dc e mafia, con i racket assistenziali e finanziari, le leggi sono eluse. Sono necessari o magistrati corrotti da ricattare, o magistrati »politici che corrompano l'amministrazione »leale della giustizia, sia pure borghese, per usarla piegandola direttamente alle proprie ed altrui esigenze di potere. L'appartenenza a questa o quella categoria deve esser premiata, per logica oggettiva. La massa degli onesti e ciechi, fra i magistrati, comincia forse appena in questi giorni a rendersi conto, grazie alle sortite coraggiose di qualche giornalista non rassegnato e non piegato, di quanto la situazione sia divenuta grave e per loro indecorosa, insopportabile.

Com'era prevedibile e naturale, la mancanza di certezza di giustizia per i cittadini diviene mancanza di certezza e spesso di possibilità di giustizia per gli stessi giudici. A Roma, i punti caldi, i settori che scottano si moltiplicano. Le situazioni torbide che devono essere chiarite, anche se ancora la stampa non ne ha parlato, non sono poche: e sono gli scandali di domani.

Cominciamo da Spagnuolo: primo scandalo: da due anni e mezzo l'istruttoria contro la RAI-TV è ferma. La Procura della Repubblica era sul punto di incriminare formalmente 45 »alti funzionari da Delle Fave a Paolicchi, dal padrone Bernabei fino a Crespi, al termine di una indagine che riguardava capi d'accusa come il peculato, la corruzione, l'interesse privato in atti di ufficio. Era una bomba terribile per il regime, per la Dc, per i suoi complici. Carmelo Spagnuolo se l'è cavata. Un servizio, questo, che da solo varrebbe l'intangibilità.

Secondo scandalo: quello delle infiltrazioni mafiose alla regione Lazio. Fu un terremoto. Le amicizie di Jalongo, il benservito della Commissione Antimafia al magistrato Pietroni, le bobine scomparse, ricomparse, manomesse, i nomi di magistrati che furono fatti in quella occasione, i sospetti sui sabotaggi ai lavori d'inchiesta parlamentare. Quanto bastava, in verità, per giustificare una formale avocazione da parte del Procuratore Generale, al di sopra di qualsiasi sospetto. Spagnuolo annunciò perizie »internazionali , la massima severità. Sono passati più di due anni. Silenzio. Il magistrato Pietroni è uno dei più diretti collaboratori di Spagnuolo: quando - in un'altra vicenda di spionaggio e di intercettazioni, quella legata al nome di Tom Ponzi - si trattò di inviare in Svizzera e a Milano un messo del P.G. è, appunto, Pietroni. E, se non sbagliamo, il ritiro delle misure di sicurezza contro Frank Coppola venne preso su iniziativa della Procura Generale.

Terzo scandalo: La Ferrobeton, più di sette miliardi dilapidati dai dirigenti in cinque anni, che coinvolge personalità socialmente prestigiose, luminari della scienza giuridica e del foro, esponenti di regime. Spagnuolo non l'avoca ma la »prende in visione . Restituisce gli atti al giudice istruttore Trivellini solo nei giorni scorsi, a polemiche iniziate, dopo esserseli tenuti nel cassetto per quasi nove mesi.

E' inutile andare avanti: si tratta d'una regola. »In visione , ad esempio, sono da tre mesi gli atti di una indagine condotta dalla magistratura di Viterbo sulla morte di un soldato. L'inchiesta è di conseguenza ferma. Gli interessi del P.G., sono, come si vede, vasti e versatili. Sull'istruttoria contro la Montedison, condotta da Squillante, Spagnuolo non può non essere interessato. In quel periodo era Procuratore Generale a Milano e non mancava di interessarsi anche ad attività commerciali, »aiutando quotidianamente l'intensa attività di un congiunto. In quello stesso periodo, d'altra parte, alla vigilia d'una probabile incriminazione da parte del Procuratore Generale di Roma, Giannantonio, Eugenio Cefis decise all'improvviso di trasferire, nottetempo, mobili e documenti di nove piani di uffici Eni e Agip da Roma a Milano.

Mentre il sostituto Saviotti svolgeva l'indagine romana, al Palazzaccio già si parlò di radiospie per sorvegliare l'inchiesta e gli interrogatori. Cefis, guardacaso, usava in quel periodo contemporaneamente, come collaboratori, Allavena e Rocca (ambiente SIFAR) e Tom Ponzi! Si disse allora che Milano dava garanzie di maggior serenità rispetto alla Roma del procuratore generale dell'epoca Giannantonio.

L'interesse per le microspie è veramente una regola, anch'essa. L'indagine fu tolta, chissà perché, ai P.M. Di Nicola e Del Vecchio, cui spettava, e affidata invece al P.M. Furino. Quando Infelisi fece venire da Bologna il tecnico Randaccio per »bonificare il palazzo di giustizia, fu dalla Procura Generale che s'intervenne per far interrompere l'operazione. Quando vennero denunciati i centri d'ascolto abusivi della guardia di finanza, ed erano in corso i processi contro l'Espresso, fu Spagnuolo a garantire la perfetta normalità delle procedure e delle strutture usate. Altre cose si raccontano, delle quali ci assumiamo serenamente, ed a titolo d'esempio, la paternità. Pensiamo alle strane convocazioni di imputati arrestati o parti per il processo »number one , o per quello Rossi, nello studio del P.G., senza che il giudice istruttore fosse presente e, forse, informato. O all'intervento pesante contro il suo sostituto Fagnani, colpevole di non voler rettificare un parere su un ricorso di Chiatante nello scand

alo ANAS, sbrigativamente spedito, dopo uno scontro con il suo »capo , a Isernia.

Sulla lentezza e sulla »segretezza dell'intera vicenda giudiziaria a carico di Junio Valerio Borghese, sappiamo che è in preparazione una dettagliata interpellanza parlamentare. Vi torneremo nei prossimi numeri.

Passiamo ora ad un altro esempio sintomatico e grave.

Come Spagnuolo, il magistrato Angelo Jannuzzi ha una personalità spiccata. Fino a poche settimane fa è stato Presidente del Tribunale romano. "Liberazione" gli ha in passato rivolto pubblicamente domande precise e gravi, che sono restate senza risposta. Ci limitiamo, oggi, a riprodurre quanto abbiamo già scritto in altra occasione. Nel nuovo clima, forse, le risposte ci saranno fornite.

»Chiedevamo se fosse vero che Jannuzzi dirigesse una rivista, nel cui comitato scientifico erano e sono professionisti con i quali non rari e importanti sono poi le occasioni di incontro nelle rispettive funzioni professionali; se Jannuzzi si fosse astenuto dal partecipare alle decisioni di cause o provvedimenti giurisdiziali interessanti gli avvocati in questione; se Jannuzzi avesse mai preteso di assistere, irritualmente, a camere di consiglio di alcune sezioni civili, in particolare la III? Se ha o no collaborato con l'avv. Wilfredo Vitalone per dei corsi di perfezionamento da questi organizzati per sottufficiali e vigili urbani; se sono state assegnate a questo legale curatele fallimentari, suscitando le proteste dell'ordine degli avvocati perché il Vitalone non è iscritto, come prescritto, al Foro di Roma ... e via dicendo. Non basta? Allora chiediamo, davvero e pubblicamente, al Presidente Jannuzzi di risponderci su fatti che non possono appartenere totalmente alla sola sfera della sua vita privata.

Non raccogliamo voci, non è nel nostro stile. Facciamo domande, su voci controllate. Il presidente Jannuzzi, o i suoi familiari, possono, come ciascuno di noi, avere zii defunti in America o grandi patrimoni personali: in tal caso lo faccia sapere, lo dica; saremo i primi a pubblicizzare questa tranquillante risposta, con maggior rilievo ancora di quello dato ai nostri interrogativi.

Negli ultimi due anni, il Presidente Jannuzzi in Roma ha acquistato due appartamenti, per complessivi 9 e 12 vani e accessori per un valore presunto di circa 110 milioni: un altro appartamento in viale Libia e tre appartamenti in via dei Platani, nonché un altro in via della Caffarelletta; a Terracina una villa di dieci vani.

Sono investimenti di centinaia di milioni. Resta poi da chiarire qualcosa sull'assunzione della figlia Liliana nella zona Romi e Santiapichi, alla regione romana; ed eventuali rapporti con la società Pem, alla quale un altro Presidente di sezione civile di Roma non sarebbe estraneo. Ci sembra che, civilmente, il Presidente Jannuzzi potrà tranquillizzarci. Altrimenti bisognerà farlo in altro modo .

E' quanto scrivevamo già il 14 ottobre.

il Presidente Jannuzzi ha diretto importanti processi penali. Ha notoriamente esercitato il suo diritto di sguardo ed il suo dovere di sorveglianza sulla sezione fallimentare del Tribunale di Roma con estrema diligenza.

Questa sezione fallimentare è al centro di interessi ingenti, e già in passato è stata oggetto di veri e propri terremoti. Al Consiglio Superiore della Magistratura esiste una relazione ispettiva, che si afferma gravissima, che la concerne. A suo tempo, il Presidente del CSM non dette corso ad una inchiesta penale sostenendo che tale sfocio non era nelle competenze del Consiglio stesso. Se non importano le voci, fatti come l'incriminazione del giudice Dal Forno nell'ambito del fallimento del segretario regionale amministrativo della Dc, Schettini, sono ampiamente sintomatici: dal Forno aveva operato nella sezione. Torneremo su questo argomento, con dati e fatti più precisi. Ma pensiamo che sia urgente che da ogni parte si cerchi di gettare piena luce in questo campo.

Le forze politiche democratiche, il Parlamento non dovrebbero ormai occuparsi con rigore e urgenza di questa situazione?

Il Partito Comunista sta per presentare alla Camera una interpellanza al Governo. E' un'ottima iniziativa di un serio partito di opposizione democratica. Ma è sufficiente? Una commissione d'inchiesta non sarebbe ormai necessaria?

Spagnuolo, Procuratore Generale; Jannuzzi, Presidente del Tribunale; chi può essere considerato il terzo uomo della giustizia romana? Il Procuratore della Repubblica? Il Pretore capo? La cronaca di questi giorni ha portato due volte alla ribalta il nome del Pretore-capo Brancaccio. Nel primo caso gli dobbiamo solidarietà.

Che un anonimo, in questi giorni, lo abbia gratuitamente calunniato invadendo di decalcomanie i parcheggi di piazzale Clodio, accusandolo di vendere la giustizia, non è certo fatto che deponga contro il magistrato Brancaccio ma solo contro chi l'ha aggredito in tal modo.

Ma Brancaccio ha nei giorni scorsi ufficialmente smentito che sette pretori fossero coinvolti in vicenda di corruzione segnalata con rilievo e abbondanza da tutta la stampa nazionale.

 
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