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Spadaccia Gianfranco - 13 maggio 1974
La via francese alla democrazia
Gianfranco Spadaccia

SOMMARIO: Quale che sia il risultato del ballottaggio fra Mitterrand e Giscard d'Estaing, le sinistre francesi escono rafforzate nella loro chiara strategia alternativa.

E' possibile che lo schieramento democratico italiano invece rifiuti, anche in prospettiva, una ipotesi di lotta di classe, socialista e libertaria per battere la DC? Da oltre dieci anni, il solo Partito Radicale lotta per imporre questa linea, che è innanzitutto di rinnovamento per tutta la sinistra.

(LIBERAZIONE, 13 maggio 1974)

In Italia si è svolto il referendum sul divorzio. In Francia si concluderanno domenica prossima, con le votazioni di ballottaggio, le elezioni presidenziali.

Quasi contemporaneamente, nei due paesi, le sinistre si sono confrontate unite con lo schieramento avversario. Qui su un problema particolare, su una singola battaglia di libertà, lì per porre la loro candidatura al governo del paese. Ma in Italia, uscite vincitrici dalla prova del referendum, torneranno a cogestire il potere con la Democrazia Cristiana, senza proporsi prospettive nè immediate nè a lunga scadenza di alternativa politica democratica; in Francia, anche se fossero sconfitte di misura sulla candidatura Mitterrand, usciranno comunque rafforzate nella loro strategia, avendo visto accrescere, insieme alla crisi del blocco di regime, la loro credibilità e le loro prospettive di successo a breve termine.

Qui una sinistra apparentemente forte, con il PSI che partecipa al governo, con il partito comunista che governa tre regioni ed è una forza determinante di ogni equilibrio e in pratica anche di ogni decisione parlamentare, con un movimento sindacale forte e agguerrito. Lì una sinistra che uscì sconfitta dal colpo di stato gollista del 1958, che ha dovuto affrontare una lunga crisi, che è rimasta esclusa da ogni posizione di potere e di governo, che, anche a causa della legge elettorale, è stata per intere legislature priva di qualsiasi influenza e perfino di una consistente rappresentanza parlamentare, ha già conseguito l'obiettivo di mettere in crisi il regime gollista e la quinta repubblica e può ragionevolmente sperare di raccoglierne l'eredità.

Da oltre dieci anni il Partito Radicale propone in Italia con ostinazione una politica di opposizione analoga a quella che è stata seguita con successo dalla sinistra francese: una politica di lotta al regime, al blocco degli interessi corporativi e interclassisti e di potere che trovano in Italia la loro espressione nella Democrazia Cristiana come hanno trovato in Francia per un quindicennio espressione nell'U.D.R., per imporre una politica di alternativa democratica di classe, socialista e libertaria. Le ragioni per le quali siamo combattuti, osteggiati, emarginati dai vertici dei partiti comunista e socialista, e per le quali siamo trattati alla stregua di pericolosi sovvertitori degli equilibri politici e delle stesse istituzioni repubblicane, non sono in questa o quella iniziativa che prendiamo, in questo o quel tema che portiamo all'attenzione dell'opinione pubblica e di cui facciamo argomento e motivo di lotta politica, ma sono nel fatto che tutte le nostre iniziative, tutte le nostre battaglie - dal

divorzio all'obiezione di coscienza, dall'aborto agli otto referendum abrogativi - si iscrivono in questa logica e in questa strategia. Le ragioni che provocano questo ostracismo contro il Partito Radicale e contro le organizzazioni ed i movimenti ad esso federati sono dunque in notevole misura le stesse che invece caratterizzano in Francia la politica dei partiti comunista e socialista di quel paese.

E' pretestuoso il confronto fra la situazione italiana e quella francese? Certo nessuno pensa alla trasposizione automatica della strategia francese. E nessuno si nasconde le profonde differenze che esistono fra i due paesi e tra le rispettive forze politiche. Differenze notevoli, culturali, sociali, anche economiche che fanno sì che la lotta politica della sinistra possa svolgersi in condizioni politiche più avanzate, anche dopo una grave sconfitta come quella del '58, e in maggiori condizioni di libertà anche dopo un lungo periodo di autoritarismo come è stato quello che ha caratterizzato gli anni della Quinta Repubblica. Come sarebbe superficiale nascondere l'influenza di un sistema elettorale che favorisce in Francia la crescita di una dinamica alternativa, mentre la ostacola in Italia. E infine sarebbe illusorio pensare che, anche mutando la strategia della sinistra, una prospettiva analoga potrebbe svilupparsi in Italia a breve termine.

Ma queste differenze, che esistono e che sarebbe assurdo ignorare o voler sottovalutare, giustificano un giudizio a tal punto pessimistico da dover concludere che una strategia alternativa sia necessariamente destinata a rimanere minoritaria e perdente nel nostro paese? O non è forse vero che alcune analogie, alcune caratteristiche comuni al tipo di gestione del sistema capitalistico e del regime da parte delle forze dominanti dei due paesi, alcuni avvenimenti ed alcuni fenomeni politici e sociali che sono stati sviluppati parallelamente con caratteristiche diverse ma non con minore profondità, a cominciare dal '68, così come l'analogia della struttura e della composizione delle sinistre politica e sindacale, non soltanto in termini di schieramento ma anche in termini sociali e di classe, hanno portato a conseguenze e a sviluppi diversi nell'uno e nell'altro paese, non tanto per ragioni oggettive e per la diversità delle condizioni in cui si operava, quanto per la diversità delle analisi e delle scelte polit

iche che sono state compiute?

E' certo che in Italia gli avvenimenti della vicina Francia non costituiscono da tempo motivo di riflessione e di dibattito, non vengono analizzati, non vengono discussi.

Gli si è dedicata molta minore attenzione di quanta non si sia dedicata alla ostpolitik di Brandt, all'ingresso della Gran Bretagna nel MEC o alla politica comunitaria. Questo è abbastanza naturale che sia avvenuto da parte dei commentatori, ufficiali e ufficiosi, che sono gelosi custodi, consapevoli o inconsapevoli, di questo regime, del centro-sinistra, degli attuali equilibri politici. E' più grave invece che lo stesso tipo di riflesso si sia avuto da parte del Partito comunista e del Partito socialista. Si direbbe che non soltanto per i conservatori e i moderati, non soltanto per il regime, ma anche per la sinistra italiana, il confronto con ciò che accade in Francia e con le prospettive che vi si aprono, sia temuto come un pericoloso elemento di turbamento e di crisi per le strategie fin qui dominanti.

Il problema del dibattito ideologico e del confronto fra le due diverse esperienze viene liquidato diplomaticamente con la necessità di rispettare l'autonomia di ciascun partito o con la diversità delle vie nazionali.

Eppure anche in Francia è esistito ed esiste come in Italia uno dei più forti partiti comunisti europei, che è diventato ed è rimasto a lungo la forza prevalente della sinistra. Eppure anche in Francia il Partito socialista ha conosciuto una lunga e drammatica crisi. Come esiste un forte movimento sindacale e, al suo interno, una forte componente di origine cattolica che si è da tempo dislocata su posizioni di sinistra e di classe. Come esistono forti movimenti extraparlamentari che hanno dimostrato nelle prime votazioni di queste elezioni presidenziali di avere ancora oggi una consistenza anche elettorale molto superiore agli analoghi movimenti italiani. In più sono esistiti e tuttora esistono componenti minoritarie - partiti come il PSU o giornali come Nouvel Observateur soltanto per fare due esempi - che hanno dato un contributo notevole al rinnovamento della sinistra e alla rinascita e alla rifondazione del Partito Socialista.

Presunzione ideologica e intellettuale induce a confermare e a cristallizzare giudizi che finiscono per servire di copertura e per giustificare i propri errori o per illudersi sulla validità delle proprie strategie. Così se si è giustamente compreso ed analizzato ieri il fenomeno gollista e il costituirsi ufficialmente in regime della Repubblica francese, ci si ostina a ignorare ciò che rappresenta in Italia la Democrazia Cristiana e ci si ostina a sottovalutare i processi in atto di strisciante trasformazione istituzionale.

Il Partito comunista francese viene ancora giudicato un partito stalinista, chiuso e settario, privo di "aperture" ideologiche e politiche, ma si trascura di analizzare la sua composizione sociale, il suo forte insediamento operaio, le caratteristiche anche sociali della sua classe dirigente. E non ci si chiede se la maggiore lentezza nelle trasformazioni che avvengono nelle ideologia e nelle politica di quel partito non siano anche la condizione di mutamenti in profondità capaci di costituire una solida garanzia contro la labilità degli adattamenti tattici, le aperture di superficie, i pericoli di un trasformismo che privilegia i problemi di schieramento e i rapporti di potere. Con eguale sufficienza e superficialità viene giudicato il fenomeno della rinascita del Partito socialista che nel non lontano '68 con la candidatura di Defferre era caduto alle proporzioni di un partitino e che, dopo la rivoluzione mitterandiana, con l'apporto dei radicali di sinistra è ridiventato nel giro di pochi anni il primo pa

rtito della sinistra ed ha riconquistato il ruolo di forza egemone dello schieramento di opposizione.

C'è da chiedersi se questo PCF, chiuso e settario, non abbia dato invece prova di grande intelligenza e apertura politica consentendo e favorendo, accanto al suo consolidamento e alla sua crescita, le prospettive di ripresa dell'intera sinistra.

C'è da chiedersi se la lontananza da false e illusorie forme di partecipazione subalterna al potere, se il rifiuto del conseguente necessario compromesso con le forze dominanti, e con l'avversario di classe, non siano state in Francia e non siano anche in Italia la condizione essenziale per una vera opposizione al regime e per aprile la strada una vera alternativa.

La nostra risposta è scontata. Ma il problema riguarda i socialisti che, dopo venti anni di politica subalterna, prima frontista e poi di centro sinistra, hanno visto il loro partito ridursi al 9% dell'elettorato. E non esiste, senza un forte partito socialista, nessuna possibilità di alternativa democratica.

La strada per costruirla non è certo quella dell'avallo al definitivo costituirsi in Italia di una seconda repubblica, che si sta insediando ormai in maniera graduale e strisciante con il finanziamento pubblico dei partiti, con la lottizzazione della Rai-Tv e della stampa, con il consolidarsi intorno a Fanfani di un blocco di potere economico in cui è vano chiedersi dove finisce il pubblico e dove comincia il privato, perché l'uno e l'altro sono alla ricerca solo di appalti e commesse statali e di compromessi e alleanze con il potere politico. Nè si costruisce assicurando mallevadorie agli equilibri di potere dei due maggiori partiti.

E' grave che questo regime corporativo, che ormai comprende e nazionalizza anche i partiti, si consolidi in Italia sulla base del compromesso con la sinistra. Il merito (o il limite) di De Gaulle), dei suoi successori, e della classe dirigente gollista è di aver creato un regime senza pretendere di ingabbiarvi le forze di sinistra, e senza corromperle.

G.S.

 
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