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Placco Giovanni - 16 maggio 1974
Laicismo in tribunale
di Giovanni Placco

SOMMARIO: Nella pagina che "IL MONDO" offre settimanalmente alla Lega Italiana per l'Istituzione del Divorzio (LID), il giudice Giovanni Placco denuncia il silenzio della magistratura nei confronti della violazione da parte di migliaia di ministri di culto delle norme della legge penale e del Concordato.

(IL MONDO, 16 maggio 1974)

("Il mondo apre una pagina, durante tutta la campagna del referendum, alla Lega Italiana per il Divorzio, intendendo così evitare per quanto possibile che si impedisca alla LID di continuare la sua battaglia. Siamo lieti di farlo, anche se le opinioni e i giudizi della LID non sempre coincidono con quelli del "Il Mondo".)

Con molta più serietà e serenità di certi "professori" nostrani che vanno in giro per l'Italia a propagandare l'abrogazione del divorzio spesso con argomenti di dubbio gusto quando non addirittura falsando i testi di illustri personaggi della storia, come sta capitando all'alfiere della crociata antidivorzista già candidato a rappresentare l'unità nazionale (come avrebbero potuto gli italiani tutti riconoscersi in Fanfani lo sa solo Domineddio!), sempre più numerose sono le prese di posizione divorziste dei magistrati di ogni regione che sottoscrivono documenti per il "No" in cui riversano la loro concreta esperienza e le valutazioni tecniche sulla legge Fortuna-Baslini, mantenendo il dibattito nell'ambito di quel civile confronto che gli antidivorzisti dimostrano di non poter sostenere senza soccombere: quella della magistratura è quella testimonianza è una testimonianza quasi indiscutibile sui contenuti reali della concreta disciplina del divorzio, verificati alla luce dell'applicazione quotidiana nel cors

o dei tre anni dall'entrata in vigore, e solo una consapevole opera di distorsione può consentire al fronte antidivorzista l'attacco indiscriminato all'intera legge come se veramente ignorasse i diritti del coniuge più debole, o dei figli, nei matrimoni falliti.

Se dunque la disputa ha varcato i confini del civile dibattito a causa della crociata integralista e delle manovre oscure che si nascondono sotto lo schermo del referendum, sempre più emerge il carattere di scontro politico dell'imminente consultazione sul tema di un diritto civile la cui acquisizione costituisce, secondo la voce dei più credibili testimoni, un vero e proprio progresso della società e non una degradazione.

Buona parte di merito nella trasformazione del dibattito civile in scontro politico spetta alle gerarchie ecclesiastiche, pesantemente scese in campo contro il divorzio, e direttamente impegnate nella campagna elettorale per spingere al voto abrogativo le masse dei fedeli e bloccare la libera scelta di coscienza rivendicata da consistenti forze cattoliche dell'area del dissenso.

Inerte neutralità

Ingerenze clericali in occasioni elettorali sembravano destinate a progressiva mitigazione mano a mano che ci si allontanava dall'epoca delle passeggiate miracolose di santi e madonne che "piangevano" per le vie d'Italia implorando il voto clericale, nella generale indifferenza dei magistrati detentori del potere entro l'istituzione giudiziaria, che raramente hanno trovato modo di applicare quella norma di un testo legislativo del 1948 che proibiva gli abusi dei ministri di culto nella cattura dei suffragi, forse perché convinti dalla teoria della desuetudine formulata da un noto giurista cattolico, il prof. Jemolo, che giustificava l'ingerenza elettorale del clero.

Ma negli anni scorsi i procuratori generali hanno con passione affermato che le norme vivono di vita autonoma finché non sono abrogate, anche se di marca squisitamente fascista e non troppo corrette costituzionalmente. Perciò, al cospetto dell'inversione di tendenza del clero registrata in questa campagna elettorale, sarà bene ricordare che la norma del 1948 non solo non è stata abrogata ma è stata addirittura rivitalizzata ed ampliata molto recentemente, dopo la certificazione di esistenza in vita fatta dal T. U. 30-3-57 n. 361, proprio dalla legge del 1970 istitutiva del referendum abrogativo, che nel suo art. 51 estende le sanzioni penali ai ministri di culto che si "adoperano a vincolare i suffragi elettorali relativamente al referendum". Se finora la posta direttamente politica in gioco nelle varie elezioni poteva suggerire alla magistratura una sorta di "inerte neutralità", l'anima divorzista emersa in questi ultimi tempi in larga parte di essa, scesa in campo nel confronto per depurarlo di ogni inquin

amento speculativo, potrebbe essere sintomo della fine dell'inerzia di fronte al dilagare dei cadi in cui ministri di culto abusino delle loro attribuzioni nell'esercizio delle loro funzioni per vincolare al "Sì" i suffragi elettorali: questa volta i magistrati dimostrano di essersi accorti della laicità dello Stato repubblicano.

 
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