di Maurizio FerraraSOMMARIO: Pier Paolo Pasolini è l'unico che scrive un articolo (Corriere della sera del 16.7 1974 - testo n. 1356) di analisi sul digiuno che Marco Pannella sta conducendo da oltre 70 giorni (Gli obiettivi: diritto d'accesso della LID alla Tv nel dibattito relativo al referendum sul divorzio; udienza del Presidente della Repubblica Leone; discussione alla Camera della proposta di depenalizzazione dell'aborto; garanzie sulla linea laica de Il Messaggero). Pasolini afferma che i radicali e Pannella sono i reali vincitori del referendum del 12 maggio mentre gli sconfitti sono, per motivi diversi, Fanfani e Berlinguer.
Maurizio Ferrara replica duramente a Pasolini rivendicando al Pci il ruolo di oppositore non del generico potere ma di quello democristiano.
(CORRIERE DELLA SERA, 18 luglio 1974)
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La arrogante "chiamata di correo" che Pier Paolo Pasolini crede di poter elevare contro il partito comunista - e questa volta per il "caso Pannella" - non meriterebbe altre risposte dopo quelle già fornite sull'"Unità". Ma il "Corriere della Sera" ci invita a replicare, "una tantum", a questo suo ultimo lancio delle sortite estive di P. P. Pasolini, divenuto ormai il moralista ufficiale "di sinistra" del giornale di via Solferino.
Ringraziamo e accettiamo, se non altro per renderci utili anche ai lettori del "Corriere", coinvolti da Pasolini nel suo pressante appello contro un potere nel quale egli, a quanto afferma, non è affatto immerso e "omologato", come capita invece, secondo lui, ai comunisti, agli operai, ai cattolici del "no", ai laici, agli antifascisti, i "veri fascisti", di oggi, secondo Pasolini.
Pasolini, a noi sembra, questa volta sfiora il gioco delle tre carte, quando continua a catalogare "Berlinguer e il PCI" tra gli "sconfitti del referendum".
Sappiamo benissimo che il partito radicale voleva il referendum e il PCI no. Ma questo non fa ancora del partito radicale il "vincitore reale" e del PCI lo "sconfitto". Strana sconfitta quella di un partito, come il PCI, che porta al "no" il massimo di attività e di voti. Strana "sconfitta" quella di chi, come il PCI, proprio per avere condotto una campagna di propaganda fondata sulla ragione contro l'irrazionale, fuori dai rozzi schemi agitatori anticlericali è riuscito a unire nel "no" forze che Fanfani voleva spaccare con il "sì". Forse è dovuto ai fulmini anticlericali del partito radicale, il fatto storico che masse cristiane abbiano dato, con il "no", la dimostrazione che la DC non è la proiezione politica del mondo cattolico? In questa liberazione noi crediamo di entrarci per qualche cosa e non solo per la campagna del 12 maggio, ma per tutta la nostra tradizione politica.
Non è dunque trionfalismo, da parte nostra sottolineare che decisiva è stata la nostra linea (ostilità al referendum compresa) per la vittoria dei "no". Ma Pasolini tutto questo lo nega, a lui basta sapere che Pannella fu il primo a lanciare "la sfida". E' vero: com'è vero che la sfida a trasformare l'Italia in repubblica, il partito repubblicano la aveva sempre lanciata anche prima del 1946. Ma che cosa vuol credere Pasolini che il referendum istituzionale del 1946 lo vinse più il partito repubblicano dell'epoca di quanto non lo vinse il PCI, con la linea di Togliatti, considerata addirittura "monarchica" dai radicali di quel tempo?
Pasolini, poi, chiama in causa il PCI perché non esalta e non fa proprie le richieste del partito radicale per le quali Pannella sta facendo lo sciopero della fame a rischio della sua salute. Comprendiamo l'allarme e la preoccupazione di quanti temono per la vita stessa di Pannella e si battono perché l'irreparabile non accada. Ma può questa solidarietà mutare la natura dei diversi giudizi politici? Per quanto riguarda le quattro richieste immediate di Pannella (15 minuti alla tv per la LID, udienza dal Capo dello Stato, "iter" legislativo sull'aborto, "caso "Messaggero"") si rassicuri Pasolini: noi non le consideriamo "scandalose enormità". Ma, contrariamente a Pasolini e al partito radicale, non le consideriamo neppure il centro della problematica urgente della vicenda nazionale. E non pensiamo neppure che i gesti disperati o clamorosi, servano a qualcosa. Ogni volta che un disoccupato sale sul Colosseo e di lì grida la sua disperazione, noi cerchiamo di farlo scendere, ma non invitiamo i disoccupati a far
e altrettanto. Quel molto che abbiamo ottenuto contro la disoccupazione, in questi anni, lo abbiamo ottenuto in altro modo: e i disoccupati lo sanno. Il che non toglie tornando al gesto disperato e clamoroso di Pannella, che saremmo soddisfatti se gli ostacoli che fin qui non hanno premesso la sua udienza dal Capo dello Stato potranno essere rimossi.
Ma, dice Pasolini, la storia oggi avanza con Pannella, la LID, il partito radicale gli unici a vedere giusto. Quindi le sinistre "devono intervenire" facendosi carico e sostenendo la politica degli "otto referendum". Se non lo fanno è perché hanno "miserabili interessi" da difendere. Ci dispiace per Pasolini, e per gli interessi che difende, che certamente non sono miserabili. Ma almeno per quanto riguarda il PCI, il diritto-dovere di scegliersi gli obiettivi e alleati è irrinunciabile. Cosa pretende Pasolini che il PCI deleghi al partito radicale la facoltà di rappresentarlo e, evidentemente, anche di guidarlo? Noi siamo dispiaciuti che Marco Pannella per condurre la sua battaglia abbia scelto il terreno della rovina del suo fisico e ci auguriamo sviluppi che gli consentano di ristabilirsi. Ma il rispetto che abbiamo per la "non violenza" e i suoi metodi non ci consente di cambiare parere sulla richiesta degli "otto referendum", che riteniamo sbagliata.
Non delegammo a Danilo Dolci, per il quale avemmo e abbiamo rispetto e amicizia, il rispetto della Sicilia. Non deleghiamo a nessun altro la nostra politica nazionale. E' un dovere, questo, che noi riteniamo di avere verso una nostra intera storia intessuta di sacrifici enormi quanto scevra di gesti clamorosi. E, d'altra parte, non è questo che ci chiedono le immense masse che seguono il partito comunista per i motivi opposti a quelli per i quali oggi Pasolini ci attacca: e cioè proprio perché siamo la forza principale di attacco non contro un potere generico ma contro lo strapotere democristiano, contro il quale - e non da oggi - non agitiamo frasi ma impieghiamo lotte di masse fatte da uomini del popolo che sono permeati da quel "realismo politico" che Pasolini, nella sua estetizzante fuga verso l'irrazionale e lo scandalo, considera una "volgarità" rispetto a un pulito "candore", come quello di Marco Pannella, che noi non deprezziamo ma dal quale, com'è ovvio, non vogliamo, e non possiamo farci condiziona
re.
P.S. - Molte perle P. P. Pasolini semina nel suo "elogio della pazzia": nel potere tutti sono eguali, il PCI e la DC; il diritto di accesso alla tv spetterebbe anche a Fumagalli (il quale, per noi, sta bene dove sta, in galera); i veri fascisti oggi sono gli antifascisti da Sofri di "Lotta continua" a Moro e Ferruccio Parri, eccetera. Ma di queste cose non ci occupiamo, certi che anche il lettore del "Corriere della Sera" avrà capito da solo che si tratta di superficiali fumisterie qualunquistiche, spie di una perdita, speriamo temporanea, della ragione politica.