di Nicola MatteucciSOMMARIO: Subito dopo la vittoria del referendum del 13 maggio 1974, Marco Pannella chiede di essere ricevuto dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone in qualità di leader del partito che ha fatto introdurre il divorzio nella legislazione italiana. Il Presidente Leone non concede l'udienza pubblica. Sul settimanale "Il Mondo", che ha sostenuto vigorosamente la campagna referendaria divorzista, appare un editoriale nel quale Nicola Matteucci, direttore, nel deplorare il rifiuto del Presidente, analizza le ragioni storiche profonde e peculiari che caratterizzano la presenza del Partito radicale sulla scena politica italiana. Il rifiuto di Leone è "discriminatorio" e grave, perché giunge in un momento in cui i partiti, ottenuto il finanziamento pubblico, si sono arroccati in giunta del potere chiusa e lottizzata. Pannella, che dà voce agli esclusi dal potere, diventa pericoloso. Una profonda affinità ideale unisce i liberali e i radicali che difendono i diritti civili, separandoli invece dai marxisti, che
questi diritti sacrificano alle "esigenze delle masse popolari". Il "Mondo" (prosegue Matteucci), settimanale liberale, non può, almeno in questa occasione, non prendere le parti di Pannella, anche nel ricordo di Mario Pannunzio suo primo direttore.
(IL MONDO, 18 luglio 1974)
Ci sono fatti che passano quasi inosservati: taciuti dalla Rai-Tv, appena registrati dai giornali, appaiono talvolta su qualche settimanale, non tanto per un semplice dovere di cronaca, quanto per un doveroso giudizio che la pubblica opinione deve pur emettere. Il caso poi passa rapidamente, travolto da altri avvenimenti, e l'ordine del silenzio è ristabilito. Pensiamo, però, che sul caso Pannella, sul rifiuto da parte del Presidente della Repubblica di un'udienza pubblica al leader del partito radicale, sia necessario tornare con chiarezza, anche per ribadire alcuni principi, che hanno animato "Il Mondo" nella sua lunga storia.
Il caso Pannella non fa notizia nelle stagnanti e sempre increspate acque della vita politica italiana, chiusa nei suoi piccoli giochi, perché in essi ha una scarsa e irrilevante incidenza politica; ma, se guardiamo oltre, ad una opinione pubblica che pur esiste, anche se ha scarsi canali per esprimersi, il caso Pannella ha avuto una grossa incidenza morale, perché mostra il carattere essenzialmente discriminatorio della decisione del Presidente della Repubblica: sono scelte, queste, che nuocciono al principio delle istituzioni. Discriminazione, si è detto: Marco Pannella è un cittadino italiano che è riuscito a imporre a un parlamento recalcitrante l'approvazione di una legge, come quella sul divorzio, comune a tutti i Paesi civili; anche se è stato escluso dagli schermi della televisione, resta il vincitore morale del referendum, perché, con la sua tenacia e con la sua intransigenza, ha visto più lontano e più nel giusto di molti accorti e miopi uomini politici. Questo rifiuto di un'udienza al leader del p
iù piccolo partito italiano è caduto, inoltre, in un momento in cui sono scattati nel sistema politico italiano i meccanismi di esclusione delle minoranze e dei gruppi emergenti: infatti, con la legge sul finanziamento dei partiti, c'è stata una vera e propria serrata del Parlamento, e i partiti esistenti si sono definitivamente lottizzati il potere politico. In questa logica del dominio puro, gli uomini come Marco Pannella, che chiedono conto ai politici del loro operato, sono pericolosi.
Perché "Il Mondo" su questo fatto intende sollevare una questione morale ed esprimere quel giudizio che solo all'opinione pubblica compete? Durante la campagna del referendum "Il Mondo" ha aperto una o due pagine settimanali alla Lega italiana per il divorzio: si trattava da un lato di consentire, nello spirito liberale del giornale, a un gruppo assai radicato nel Paese di continuare la sua battaglia, proprio quando da tutti veniva emarginato, perché il gioco lo volevano condurre i politici; si trattava, dall'altro, di mostrare le affinità fra liberalismo e radicalismo o la loro comune matrice culturale e spirituale in una lunga e consolidata tradizione europea. Con questo non si intende dire che tutte le battaglie dei radicali italiani siano condivise da "Il Mondo"; in alcuni casi, come quello del divorzio, si può consentire e combattere assieme, in altri casi, si può francamente dissentire e avvertire anzi i pericoli di posizioni sterili. Ma ciò non toglie che quella comune matrice ideale esista e che essa
sia il fondamento del moderno Stato democratico. Nella storia europea, liberalismo e radicalismo sono difficilmente distinguibili, e l'uno si spiega con l'altro: per questo l'offesa fatta ai radicali ferisce profondamente ogni coscienza liberale.
Oggi sembra si abbia paura dei radicali, quasi fossero degli extraparlamentari (i quali, strano, usano il metodo della non violenza). Se si seguono i discorsi dei politici e degli intellettuali al loro servizio, la nota antiradicale è sempre presente, come una costante preoccupazione di un male che deve essere assolutamente evitato. I più colti dicono che i radicali hanno una mentalità astratta, illuministica, staccata dalle forze reali di un Paese che non conoscono, e pertanto producono solo tensioni e non soluzioni politiche. Credo di ripetere Croce, e, invece, lo fraintendono, perché egli aveva sempre mostrato il momento illuministico della coscienza morale, che rompe col presente, che non si pone problemi di opportunità e convenienza politica, che ha l'impazienza del nuovo. Il nucleo teorico della battaglia dei radicali è dato dalla difesa dei diritti civili, di diritti civili vecchi e nuovi; vecchi per l'arretratezza culturale del nostro Paese o per le sue strutture statuali ancora permeate di autoritar
ismo, nuovi per le minacce che all'individuo vengono da una società industriale e di massa. Questa è stata ed è una battaglia liberale, perché fa centro e perno sull'individuo e sulla sovranità della sua coscienza, anche se non sempre i liberali hanno condotto queste battaglie con l'equilibrio che sarebbe stato opportuno; non è una battaglia propria dei marxisti, i quali preferiscono richiamarsi alle esigenze delle masse popolari e, in nome di queste esigenze, trascurano a volte proprio quei diritti civili dell'individuo.
I radicali, in fondo, non sono, né possono essere, un partito collocabile nella geografia parlamentare: stando dalla parte dell'individuo contro l'autorità, essi sono portati a contestare continuamente l'operato della classe politica, a essere sempre insoddisfatti. Taluno dirà che questo è qualunquismo; ma questa parola magica non è un argomento logico: infatti, in tutta la tradizione del radicalismo europeo, proprio per quella sfiducia nel potere che è sempre un male, anche se necessario, gli "uomini qualunque" sono dei cittadini politicamente attivi, che si sentono veramente, in quanto parte del popolo, sovrani, e trattano la classe politica come la propria mandataria e non come il proprio padrone. Esercitano quel controllo dal basso, senza il quale una democrazia si affloscia, perdendosi nei piccoli giochi di vertice, basati sulla complicità e l'omertà. Per una classe dirigente come la nostra, che nasconde, dietro l'arroganza del potere, la propria natura pavida, la presenza radicale è imbarazzante e fast
idiosa, perché costantemente demistifica i falsi miti politici di un sostanziale paternalismo.
"Il Mondo" è un settimanale nato dalla cultura liberale: al suo sorgere ebbe, come ideali punti di riferimento, Croce, Einaudi e Salvemini, e sia con il suo fondatore Mario Pannunzio, sia con Arrigo Benedetti nella seconda serie del giornale, ha tenuto costantemente ferma questa sua linea culturale, dalla quale discendeva chiaramente una linea politica, la quale lo fa oggi appartenere alla componente liberale della sinistra italiana. E' del resto, per questa sua collocazione, che "Il Mondo" fu tra i primi giornali italiani a combattere per il centro-sinsitra ed è oggi dalla parte dei pochi che credono in una rifondazione della sinistra italiana, basata su modelli adeguati ai problemi della società moderna.
Con la cultura marxista, "Il Mondo" ha avuto un continuo rapporto dialettico, di stimolo e di critica mai di quell'acquiescenza che nasce da complessi di inferiorità. Con i radicali, ci sono stati e ci saranno certamente in futuro momenti di grave dissenso, ma con essi abbiamo in comune l'origine liberale. In una lettera indirizzata a me, che è quasi il suo testamento spirituale, Mario Pannunzio affermava: "Occorre un'opposizione liberale che rappresenti la coscienza critica del centro-sinistra"; e aggiungeva: "Avrà notato l'aria di disimpegno e di evasione di tanti uomini fino a ieri protagonisti della vita politica e morale, la fuga verso il comunismo, la rassegnazione, l'opportunismo. Si tratta di una grave crisi morale, di un sussulto di indifferenza che è peggio di una battaglia politica perduta". E concludeva: "Le odierne mode per il disimpegno mi fanno bollire di rabbia". E', appunto, con rabbia liberale, che dobbiamo giudicare il caso Pannella.