di Giovanni SpadoliniSOMMARIO: Intervenendo sul dibattito aperto a proposito del digiuno intrapreso da Marco Pannella (diritto d'accesso alla televisione della Lid e del Pr, fissazione dell'inizio della discussione alla canmera sull'aborto, tutela della linea laica de Il Messaggero, superamento del rifiuto del Presidente Leone di ricevere una delegazione della Lid e del Pr), Giovanni Spadolini ricorda le vicende che hanno portato alla nascita del Partito radicale e si chiede cosa è rimasto nell'attuale movimento radicale di Marco Pannella del radicalismo degli anni 1955-1960 che si richiamava alla "linea scabra e asciutta del radicalismo britannico, tutto cose e problemi, alieno da evasioni retoriche e da vibrazioni massimaliste, teso ad una reinterpretazione moderna, e non statica e conservatrice, dei diritti di libertà". La componente libertaria ha prevalsao nettamente su quella liberale, i filoni della contestazione si sono nettamente sovrapposti a quelli del ripensamento democratico che favorì l'esordio del centro sinistra.
L'equazione tra fascismo e antifascismo, esasperata da Pasolini, dimostra a quale punto di lontananza dalla realtà possa portare una posizione utopica. Pannella vuole far esplodere le contraddizioni di quello che chiama "regime": è un proposito utopistico e pericoloso. I gesti individuali, per quanto generosi, non possono sostituire l'impegno delle grandi forze civili, politiche e sociali.
(CORRIERE DELLA SERA, 25 luglio 1974)
Aprile 1951. Esce, sul "Mondo" di Mario Pannunzio, la prima puntata della mia storia dei "Radicali dopo l'unità". "Con, senza, contro Mazzini": l'ha intitolata il grande direttore con quella sfumatura di ironia che sempre lievitava nei titoli del settimanale fondato da poco più di un anno. E' il tramonto dei massimi miti mazziniani - l'iniziativa popolare, la Costituente, l'associazionismo - che genera la nascita dei primi gruppi radicali: quasi la "Destra" del repubblicanesimo intransigente, chiuso nel "voto di castità" politico.
Ventura massonica
In quel clima degli anni Cinquanta torna a circolare la parola "radicale". E' un termine che non è stato presente alla Costituente: sostituito da un partito, la "democrazia del lavoro", con qualche venatura massonica e lontane ascendenze vetero-radicali, ma perfino timoroso di riprendere l'insegna dei Sacchi e dei Credaro. Quella miniatura di partito radicale, piuttosto erede delle clientele meridionali che non di una vera impostazione politica, si è dissolta intorno al 1948: in qualche zona assorbita dai "fronti popolari", in qualche altra dai "blocchi" (o presunti tali) liberali. Dei due nuclei storici dell'opposizione allo Stato monarchico sopravvive solo, nel parlamento successivo al '48, il vecchio e tenace partito repubblicano.
Pannunzio si considera, e si proclama ancora, un "liberale", 4liberale di sinistra, liberale sospeso fra Croce e Salvemini: ma liberale. Nel 1952 alimenterà e favorirà con tutte le sue forze il movimento dell'"unificazione liberale" intorno a Villabruna (gran parte degli scrittori del "Mondo" firmerà quel manifesto, destinato a restare tale). Quella storia dei radicali rappresenta il ritorno di un termine desueto nella problematica, se non politica, storico-politica. Non a caso il direttore del "Mondo" vorrà che tutt'e quattro le puntate di quel bilancio siano raggruppate sotto un titolo unico: "I radicali dell'Ottocento". Quasi a segnare una punta di distacco dal modello del vecchio radicalismo, intriso di motivi romantici e talvolta retorici, non privo di pose gladiatorie e plutarchesche.
Solo cinque anni più tardi l'espressione "radicale" tornerà ad avere diritto di cittadinanza nello schieramento politico, se non in quello parlamentare. Sarà il momento del partito radicale nato dalla scissione liberale della fine del 1955: un partito che non riuscirà mai ad avere rappresentanza in Parlamento ma che svolgerà una funzione essenziale nel dibattito culturale e civile del paese, che preparerà e alimenterà la tematica del centro-sinistra, o almeno di un certo centro-sinsitra, quello che meno si attuerà nella logica degli schieramenti politici.
Eresia liberale, ma non solo quello. Dominato dai Pannunzio e dai Carandini e dai Cattani, tesi a ripristinare un'autentica ortodossia liberale-progressista, contro contaminazioni e commistioni di ogni sorta; ma con la componente degli Ernesto Rossi e dei Piccardi, di diversa e più complessa estrazione. Sullo sfondo: un gruppo di giovani o giovanissimi liberali dissidenti, in cui comincia ad affiorare il nome di Marco Pannella. Nel nucleo fondamentale, che anima e promuove quella scissione, che la sorregge attraverso le pagine del "Mondo", un richiamo alla linea scabra e asciutta del radicalismo britannico, tutto cose e problemi, alieno da evasioni retoriche e da vibrazioni massimaliste, teso ad una reinterpretazione moderna, e non statica e conservatrice, dei diritti di libertà, anche di libertà economica, contro le ritornanti tentazioni monopoliste, contro i rinnovati feudalesimi, non importa se del potere privato o del nascente e prepotente potere pubblico.
Contro ogni schema
Cosa rimane, di quel radicalismo degli anni 1955-1960, nell'attuale movimento radicale, che è al centro della polemica aperta in questi mesi dai gesti e dalle dichiarazioni del Pannella post-referendum? Poco o niente. Non è senza significato che lo stesso Pannella abbia rinunciato proprio in queste settimane alla simbolica tessera del partito radicale: quasi a sottolineare una posizione di "protesta" contro ogni formazione politica, contro ogni schema costrittivo e disciplinatore.
La componente libertaria ha prevalso nettamente, col volgere degli anni, su quella liberale, e sia pure liberale di sinistra, che costituì il fermento vitale del movimento organizzato del "Mondo". I filoni della contestazione si sono nettamente sovrapposti a quelli del ripensamento democratico, sia pure in chiave rinnovatrice, che favorì l'esordio del centro-sinistra. La tecnica spontaneista dei movimenti extra-parlamentari ha completamente schiacciato quella forma di devozione, perfino rigida, appunto britannica, allo schema del governo rappresentativo che caratterizzava i Pannunzio e i Carandini, giudicati "anglomani" non meno di quanto lo era, ai suoi lontani tempi, il giovanissimo conte di Cavour, "milord Cammillo". E c'è stata un'infiltrazione di utopismo con accenti e trasalimenti cristiani, post-conciliari, nonostante l'ostentato, clamoroso laicismo di molti seguaci del PR o della LID.
Pannella è stato mio allievo, intorno agli anni '57, nella vecchia facoltà di scienze sociali di Firenze, quella che una volta si chiamava "tout court" il "Cesare Alfieri". Un allievo estremamente curioso, inquieto, insoddisfatto di ogni schema, di ogni certezza. Militante, allora, nel versante avanzato del liberalismo; "liberale" per letture, per scelte culturali, per amicizie. Liberale dissidente, liberale con venature "gobettiane". Respirante in quel clima inconfondibile e irripetibile, delle varie associazioni goliardiche, da cui sono usciti uomini di diversa impronta culturale e politica, un Pannella, appunto, accanto a un Paolo Ungari. Con tutti i fervori, e i fermenti, di quel "mini-parlamentarismo" tumultuoso, incoerente, ma autentico, che caratterizzava le assemblee studentesche. Portato già a vedere i difetti delle strutture anchilosate dell'università; sognante orizzonti culturali al di fuori dei recinti accademici. Dominato da una febbre politica, che lo induceva ad errori, allora come oggi, che
lo portava a facili intemperanze, a bruschi cambiamenti di umore, di posizione. E già con una certa predestinazione profetica...
Non a caso Calogero, in un recente articolo su "Panorama", ha ricordato, per Pannella, Aldo Capitini e Danilo Dolci: due uomini, soprattutto il secondo, che si inseriscono in un filone diverso dalla tradizione neo-radicale, alla Pannunzio, Capitini, chiuso nella sua torre di Perugia, a risognare formule di evangelica tolleranza, di religione aperta e dialogante; Danilo Dolci impegnato in tutti quegli scioperi della fame, quasi testimonianze di fede medievale, in cui Pannella è diventato non minore, e non meno clamoroso maestro. Due esperienze cui si è aggiunta, poi, la svolta del Concilio vaticano secondo. Non a caso Pannella ha confessato a Pasolini, in una recente intervista al "Mondo" contemporanea al dibattito che oggi si chiude sul "Corriere", una specie di debito ideale verso papa Giovanni, un'ammirazione non distaccata verso il grande pontefice...
Protesta esasperata
E' la rivolta alla storia, e allo storicismo, che caratterizza l'intero movimento radicale, in Italia, in questa fase di esasperata, protesta, di lotta ad oltranza contro il cosiddetto "regime". L'equazione fra fascismo e antifascismo, esasperata da Pasolini, dimostra a quale punto di lontananza dalla realtà - e quale realtà intorno a noi! - possa portare una posizione utopica, che prescinde del tutto dal calcolo delle forze e quindi dalla esatta valutazione dei pericoli minaccianti le stesse istituzioni repubblicane.
E' vero: il referendum abrogativo del divorzio, una battaglia in cui i radicali si sono impegnati a fondo, anche se tagliati fuori dalla televisione, ha dimostrato un crescente distacco fra certi strati del paese reale e la classe politica. E' un distacco che si collega ad un logorio trentennale, di metodi, di costumi, di uomini. Pannella vuole approfondirlo, vuole incunearsi nel varco esistente per fare esplodere le contraddizioni di quello che egli chiama il "regime", una specie di "secondo fascismo" con l'apparente giuoco dei partiti.
E' un proposito, appunto, utopistico e pericoloso. La stessa battaglia sul divorzio non sarebbe stata vinta se tutte le forze organizzate, a cominciare dai comunisti, non si fossero impegnate a fondo e sul serio; e il PCI è stato avvantaggiato, nei suoi strati popolari di educazione cattolica, dal fatto di avere compiuto ogni legittimo sforzo pur di evitare fino all'ultimo la prova, senza sacrificare la conquista divorzista. Una posizione comune agli spiriti più illuminati della democrazia.
La stessa campagna per i diritti civili, che accomuna i radicali a molte forze della sinistra democratica, non potrebbe compiere un solo passo avanti al di fuori del quadro del regime repubblicano e democratico, nato dalla Costituente. Nulla, nella storia, si conquista gratis. E i gesti individuali, per quanto generosi, non possono sostituire l'impegno delle grandi forze civili, politiche e sociali.