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Battaglia Adolfo, Ferrara Maurizio, Pannella Marco - 15 agosto 1974
Minoranze: per fare che cosa?
di Adolfo Battaglia, Maurizio Ferrara, Marco Pannella

SOMMARIO: Pier Paolo Pasolini è l'unico che scrive un articolo (Corriere della sera del 16.7 1974 - testo n. 1356) di analisi sul digiuno che Marco Pannella sta conducendo da oltre 70 giorni (Gli obiettivi: diritto d'accesso della LID alla Tv nel dibattito relativo al referendum sul divorzio; udienza del Presidente della Repubblica Leone; discussione alla Camera della proposta di depenalizzazione dell'aborto; garanzie sulla linea laica de Il Messaggero). Pasolini afferma che i radicali e Pannella sono i reali vincitori del referendum del 12 maggio mentre gli sconfitti sono, per motivi diversi, Fanfani e Berlinguer.

Replicano duramente, sempre sul "Corriere", Maurizio Ferrara (testo n. 1606) e Giuseppe Prezzolini (testo n. 1607). Marco Pannella risponde a questi ultimi dalle colonne de Il Mondo (testo n. 1183).

Il dibattito continua dalle colonne de IL MONDO con le lettere del repubblicano Adolfo Battaglia, del comunista Maurizio Ferrara e la risposta di Marco Pannella

(IL MONDO, 15 agosto 1974)

(Il dibattito sul "caso Pannella" continua. Lo ha aperto "Il Mondo" con l'intervista di Pier Paolo Pasolini al leader radicale, pubblicata nel numero 30 del 25 luglio scorso. Quest'intervista ha provocato polemiche e reazioni, e la stampa ha dedicato ampio spazio a un confronto di posizioni e di tesi su Pannella e il partito radicale. L'unico al quale non sia stata, paradossalmente, offerta la possibilità di intervenire, è stato proprio Marco Pannella. Per questo, nello stesso spirito con cui mise a disposizione della Lega Italiana per il Divorzio una o due pagine settimanali nei mesi precedenti il referendum del 12 maggio, "Il Mondo" ha ospitato, nel numero scorso, un articolo di Pannella. Ora, pubblichiamo due lettere di replica, una di Adolfo Battaglia, vicesegretario del partito repubblicano, l'altra di Maurizio Ferrara, del comitato centrale del partito comunista; ad entrambi, risponde Marco Pannella. "Il Mondo" non entra nel merito delle diverse posizioni qui espresse: il pensiero del giornale è conten

uto nell'editoriale pubblicato a pagina quattro.)

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Caro Direttore,

nell'ultimo numero de "Il Mondo" Marco Pannella ha replicato a un mio articolo sul "Corriere della Sera" in termini che mi appaiono semplicemente deplorevoli: evitando ogni dibattito politico, ogni discussione di idee, e aggredendo polemicamente, in maniera spesso volgare ma talvolta perfino umoristica, il mio partito e me. Non desidero evidentemente rispondergli su questo terreno. Nella misura in cui la sua polemica è personalistica, essa uno dei tanti segni di malcostume di cui molti danno prova in questi tempi; nella misura in cui investe il PRI, mi limiterò a ripetere che è un poco curioso che un uomo il quale faceva ieri avances per entrare nelle liste elettortali del PRI si diletti oggi a dipingerlo come una specie di ammasso di ignominie. Il tipo di polemica cui l'amico Pannella si è abbandonato può trovare spiegazione nella situazione di esasperazione in cui personalmente si trova; ma non ha alcuna giustificazione, e supera, francamente, ogni limite di serietà (ciò di cui sarebbe un bene per l'amico

Pannella rendersi conto).

Vorrei perciò, caro Direttore, lasciare da parte tutto questo e tentare di portare avanti in termini politici il dibattito che si è acceso sulla funzione e sui limiti dei gruppi libertari, radicali, "utopistici".

Il primo punto da considerare mi pare questo. Tutti vediamo che la situazione italiana è a pezzi, che la degenerazione e la corruzione sono arrivati a limiti altissimi, che la recessione e l'inflazione sono la faccia odierna della mancata politica di sviluppo e di riforme, ieri. Ma se la situazione è questa, come mai la sinistra italiana, e in particolare la sinistra laica e socialista, non è riuscita a impedire che si arrivasse a tal punto?

Il problema è complesso ma, in fondo, la risposta è abbastanza semplice: ed è che la sinistra ha, prima, applicato a uno schema politico dimostratosi storicamente errato la forza di cui disponeva, così, disperdendola e subendola in buona parte; la forza residua, poi, l'ha applicata a contenuti programmatici dimostratisi vacui, inconsistenti, o contraddittori con le sue stesse esigenze: e, di conseguenza, non solo non è riuscita a influire positivamente sul corso delle cose, ma anzi, nella misura in cui la sua azione risultava errata, ha contribuito a mandare a fondo una barca già troppo zavorrata.

In sostanza, in trent'anni, la sinistra, quella laica e socialista, non è stata capace di mettere in essere l'azione politica necessaria a modificare, a riformare, a sviluppare la società italiana. Certo, se non lo ha fatto, vi sarà pure qualche ragione. Quella fondamentale mi pare senz'altro questa: che essa non è mai riuscita con sufficiente precisione, e malgrado tentativi che tutti conosciamo, a individuare i temi, i tempi e gli strumenti di intervento, idonei a spostare gli equilibri sempre diversi e sempre più pesanti che il mondo conservatore o parassitario realizzava.

Cosicché se in questa situazione generale disperata e disperante di qualcosa vi è bisogno, è precisamente di uno sforzo comune dei laici e dei socialisti, e di tutte le forze in qualche modo si richiamano alla loro area politica, per mettere a punto temi, tempi e strumenti: non sulla carta ma nella realtà dell'azione, che poi significa definire una prospettiva e delineare uno schema di alleanze. Una prima conclusione sembra allora questa: che nella misura in cui i gruppi laici, libertari, radicali, contribuiscono con la loro elaborazione a precisare il terreno della battaglia politica e aiutano con la loro azione più energica, più fantasiosa, più ricca, a prendere d'assalto le trincee avversarie, essi svolgono una parte di primo ordine nel tentativo della sinistra di recuperare ciò che in trent'anni ha perduto. Nella misura invece in cui pretendono di sostituire con tematica e strumenti "utopici" ciò che scaturisce con urgenza dalla storia del Paese dove tutti viviamo, essi contribuiscono a confondere e rend

ere importante la sinistra. Naturalmente, so bene che nessuno è autorizzato per legge a definire che cosa è utopistico e che cosa è urgente. Ma la realtà che ci sta di fronte deve essere letta: ed essa ci dice che siamo arrivati al punto ove siamo non perché siano stati scelti temi prioritari, ma perché non si sono saputi scegliere; non perché si è impostato il rapporto tra DC e sinistra laico-socialista, ma perché non lo si è saputo impostare; non perché si sono adoperati alcuni strumenti di azione, ma perché si è solo prodotto fumo; non perché si è stati realisti, ma perché si è stati politicamente astratti e praticamente opportunisti. E il problema è di non buttar via il bambino con l'acqua sporca, cioè di non pensare che esca qualcosa di positivo da un tentativo libertario di sostituire i partiti e la loro azione. Tanto più in una situazione disgregata e sfiduciata come quella in cui viviamo, è solo l'azione politica, una giusta azione politica, che può risanare.

L'azione dei gruppi laici libertari è importante come momento e punto di raccordo di forze minoritarie estreme, di margini lontani dalla società stratificata, di istanze radicalmente in contrasto con le leggi ed il costume prevalenti. Sono forze, energie, di cui una democrazia vitale ha bisogno, e che in una società più matura, più democraticamente strutturata della nostra, hanno mille modi di espressione, congeniali alla loro natura minoritaria estrema. Sono forze che, in una democrazia asfittica e parassitaria come la nostra, hanno un sicuro valore dirompente, ossigenante, innovatore, con tutti i loro eccessi. E queste forze possono essere ricondotte alla lotta, all'azione, alla battaglia di modifica e di riforma, nell'ambito dei gruppi radicali-libertari; purché essi abbiano la coscienza della necessità di avvicinarle al momento della politica, della sintesi, della battaglia, anche disperata, di soluzione. Ma se gli amici radicali invece di fare questo sforzo tentano l'operazione inversa, quella di portar

e le forze politiche e il momento politico verso il momento e i gruppi delle minoranze esterne, verso il momento libertario, se tentano di fare aderire le forze politiche al metodo estremizzato dei gruppi "utopici", allora il discorso cambia: quello che poteva essere un contributo a ricostruire una azione democratica più incisiva, più viva ed insieme storicamente matura, diventa un contributo all'ulteriore sfasciamento della lotta politica e dell'azione della sinistra, con la conseguenza che tutto peggiorerà e nulla, nella sfiducia generale verso la politica, si salverà. La politica è sempre stata la grande difficoltà e, insieme, la vera arma della sinistra. Il resto, in fondo, è facilissimo.

Se il problema è quello di rendere la sinistra "politica" più matura, più attrezzata, più realistica e più rigorosa, allora viene a questo punto il discorso sul problema degli strumenti che ha alimentato l'iniziale dibattito del "Corriere della Sera": la questione del lungo digiuno di Marco Pannella, dell'azione non-violenta. Si intende bene: si dispiegano qui grandi ricchezze di energia morale, di sacrificio, di impegno individuale. Ma il problema è di sapere a che cosa si applicano, perché, anche qui, applicate male si disperdono, applicate felicemente possono produrre grandi risultati. Ora, tutto il discorso che io avevo fatto e che alcuni amici radicali continuano a interpretare erroneamente si riduce a questa banalità: che è essenziale l'omogeneità tra obiettivi da raggiungere e strumenti da adoperare. Se ci si pongono obiettivi di interesse universale, allora il richiamo di coscienza e gli strumenti più alti dell'azione non-violenta, sono perfettamente validi. Se invece ci si pongono obiettivi limitati

, che appartengono alla quotidianità della lotta politica, occorre saper adoperare altri strumenti. Se, poi, per questi obiettivi modesti si usano gli strumenti di valore altissimo che sono omogenei a obiettivi della coscienza universale, delle due l'una: o si commette un clamoroso errore, o si tenta di imporre alle forze politiche i temi specifici della loro azione, su cui hanno il diritto di pensarla in modo del tutto diverso: in questo caso la non-violenza fisica (il digiuno prolungato e pericoloso) rischia di diventare vera e propria violenza morale. Pannella era sceso in sciopero per quattro motivi: ottenere una trasmissione alla TV per la LID e una per Dom Giovanni Franzoni; fissare l'inizio della discussione parlamentare del problema dell'aborto; realizzare un mutamento della linea del "Messaggero" verso i gruppi libertari, (che in seguito all'ingresso nella proprietà del dr. Cefis e alla trattativa tra Cefis e il PSI era divenuta, da linea di apertura, linea di chiusura). Dopo 70 giorni, Pannella ha

formalmente dichiarato di abbandonare quest'ultimo obiettivo. Era un errore, in effetti; soprattutto per un uomo che si accinge a iscriversi al PSI. Quanto alle altre richieste, la prima e la seconda sono state sostituite - di fatto, anche se non formalmente - da quelle del voto ai diciottenni e della riforma del diritto di famiglia. Temi che (come quello più generale della Rai, del diritto di accesso alla TV dei gruppi minoritari, della correttezza dell'informazione radiotelevisiva) altri, onestamente, avevano impostato e portato avanti. I gruppi radicali e libertari si propongono di dare il loro contributo di azione a queste battaglie impostate dalle forze politiche, su cui sono stati già segnati alcuni successi e su cui si constatano oggi nuove resistenze? Siano i benvenuti, la loro azione è importante. Cerchiamo, nello stesso tempo, di non confondere cose che vanno distinte, nel rispetto che bisogna reciprocamente avere per il momento libertario-utopico e per il momento della politica.

Adolfo Battaglia

Egregio Direttore,

ne "Il Mondo" del 1· agosto Marco Pannella, con toni terroristici e millenaristi che non sto qui a discutere, parla di "pratiche censorie e fasciste", dell'Unità contro di lui e, per quanto mi riguarda, mi accusa volgarmente di incitamento al linciaggio e del "più fascista dei comportamenti" nei suoi confronti.

L'accusa è pesante per chi - come il sottoscritto - ritiene che il termine "fascista" continui ad essere il più offensivo. Credo dunque di potermi rivolgere alla Sua cortesia per ottenere che sul suo giornale, che riporta queste offese, io possa chiedere a Marco Pannella in quali occasioni il mio comportamento nei suoi confronti è stato "fascista". In tanti anni di polemiche ho certamente ironizzato e polemizzato anche con le molte oscillazioni ed esibizioni fanatiche, anche anticomuniste, di Pannella: ma questo non dà diritto a Pannella di darmi del "fascista" e di fare del vittimismo.

Se Pannella, poi, vuole sollevare la questione del "veto" che, io personalmente, avrei mosso alla sua partecipazione alla Tribuna Televisiva per il referendum, lo faccia non per affermazioni ma in modo documentato. Avrò modo di dimostrargli che il mio "veto" personale non ci fu: ci fu invece una comune concordanza tra "tutti" i partiti divorzisti nel respingere una furbesca proposta della DC e della Direzione centrale della TV, intesa a trasformare i dibattiti televisivi in una continuativa rissa ideologico-politica tra Gabrio Lombardi e Marco Pannella.

Tutti i partiti divorzisti (PCI, PSI, PSDI, PRI, PLI) ritennero esiziale questa prospettiva avanzata - e non per caso - dall'On. Mazzarino e da Bernabei i quali proponendo questi "duelli" a getto continuo tra Pannella e Lombardi, non lo facevano certo per spirito democratico ma perché ritenevano, e non a torto che la aggressività anticlericale di Marco Pannella poteva risultare più utile alla causa fanfaniana del "sì", che cercava la rissa, che a quella democratica del "no", che cercava esattamente il contrario.

Essersi opposti a questa strumentalizzazione democristiana dell'impeto anticlericale di Pannella, può costituire colpa tale da essere considerato "il più grande fascista dei comportamenti"?

Maurizio Ferrara

Risponde Pannella

Questa prima domenica di agosto, questa nuova domenica di strage, è stata piena, difficile, tragica ma anche buona. Ora ho poche ore, e notturne, per rispondere a queste due lettere. Ma non ne ho voglia. Continuano a morire speranza in troppi, si straziano ogni ogni giorno istituzioni, con la violenza che esse servono, con la violenza senza nome e senza autori, apparentemente, che le governa. E l'antica certezza repubblicana per cui se sono colpite la legge e la giustizia morranno poi anche i cittadini torna a rivelarsi, com'è, come noi siamo sempre stati convinti che sia, terribilmente vera ed esatta.

Questa legge troppi l'uccidono in loro. Sono "i signori della politica" che ci governano, per esempio. Ogni minuto, diventano più pazzi di irresponsabilità, la loro alienazione "da politica", "da ideologica", "consumo", la loro schizofrenia m'appaiono disperate. Come salvarli?

Come "rispondere" all'on. Adolfo Battaglia? Avrei troppo buon gioco. I lettori di "Il Mondo" non hanno che da andare a rivedersi le due pagine di accuse precise, gravi, da querela immediata che ho fatto, politicamente e personalmente (non "personalisticamente"), la settimana scorsa e che non trovano un rigo di risposta. L'on. Battaglia traccia un bilancio sconsolato: tutto appare in sfacelo, scrive. Su questo non c'è nemmeno da discutere; non c'è luogo di polemica, né di scontro o incontro. Da 25 anni il PRI ha scelto di essere una "piccola" componente della maggioranza di governo del regime della democrazia cristiana, rinunciando ad essere minoranza, alternativa, opposizione. Non importa più, ora, il perché lo abbia fatto. Lo ha fatto. Noi abbiamo invece compiuto questa ultima scelta. L'alternativa non era, come egli pensa, fra moralità politica e evasione utopistica, fra "partiti" e "gruppi". Ma, più semplicemente e classicamente, fra maggioranza e minoranza, fra potere del privilegio e dell'antidemocrazia

, e alternativa liberale, repubblicana, socialista, democratica, libertaria, civile cui dare corpo politico, durata storica, articolazione istituzionale. Egli sembra accusarci di voler portare nel caos dello spontaneismo, della protesta, della profezia disordinatamente quel che invece deve rispondere alle leggi proprie dell'organizzazione della città, della repubblica. Ma davvero? L'ultimo dei militanti della LID, della LOC, del MLD, l'ultimo di noi drogati e capelloni sa più anche di regolamenti parlamentari, di stato di diritto, di leggi e di riforme, sul piano tecnico, della maggioranza dei parlamentari. Ogni giorno, da dieci anni, la nostra forza è quella di persone e di un Partito (di un Partito, che tale si chiama, che tale è: non basta censurarlo, farne un tabù perché muoia!) che oppongono alla sciatta e squallida utopia dell'opportunismo, del trasformismo, del giustificazionismo storico, della fatalità del disastro nazionale, del destino cinico e baro, la moralità democratica e politica della difesa

e della conquista quotidiana della legge costituzionale, dal volto e capacità umani.

Per i cittadini laici, volteriani, libertari che siamo la "politica" e non la "religione" è il momento sociale e morale "supremo" e "assoluto", se mai dovesse esservene uno, come Battaglia sostiene. I "principii", per noi, o sono, qui ed oggi, l'inizio di qualcosa, verso un fine fondamentale, moralmente obbligante, praticamente caratterizzante la nostra esistenza di cittadini, di persone, e di forza politica o diventano alibi fariseo e tartufesco. La "libertà", per noi non-"idealisti", è un ideale "mezzo" e strumento di vita, di lotta e dialogo, o non ci interessa: non siamo né kantiani, né metafisici.

Così come la democrazia, la legge che progressivamente vieti di vietare, in cui responsabilità e libertà, diritti e doveri della donna e dell'uomo crescano e s'affermino, un ordine possibile, ordine drammatico, dialogico, aperto, sempre in crisi, ma l'unico fondato, sicuro, per noi accettabile e sostenibile.

Lottiamo contro il cretinismo parlamentaristico per affermare l'immensa responsabilità della funzione rappresentativa parlamentare; contro "partiti" che vivono uniti in sistema, come classe politica, contro le idee e i ceti, gli interessi e le scelte che animano il popolo che siamo, e per i quali cessiamo di essere volgo anonimo e diveniamo forze sociali e politiche, cittadini e non sudditi.

Lottiamo contro il divorzio fra speranze ideali e realizzazioni politiche, fra vita pubblica e vita privata, fra moralità delle istituzioni e moralità del cittadino e dei partiti nei quali si organizza.

Abbiamo dimostrato efficienza politica. Abbiamo sempre creato partecipazione e speranze, mentre gli on. Battaglia hanno sempre e solo prodotto, in questi anni, nausea, rabbia, distacco, rassegnazione, sfiducia, confusione, violenza. La nostra moralità politica è stata rigorosa. Per questo ci ha portato e ci porta a ricercare ogni giorno anche nuovi mezzi, nuovi strumenti, nuove forme organizzative, nuove e adeguate forme di comunicazione e di raccordo. Come la scienza sperimentale, come lo sperimentalismo critico, nella sua ricerca, e nei suoi risultati, s'è rivelata la via più sicura per scoperte di immensa portata, a condizione che non si trasformi in banale empiria che giustifica solo se stessa, così la politica ha ferree regole, per vivere, che i Battaglia e i Ferrara ignorano, o tradiscono.

Battaglia ha fatto ironia sulle rivendicazioni del mio digiuno: ma nel frattempo, con l'on. La Malfa, e certo grazie a lui, ha dovuto poi sul suo stesso giornale dedito da vent'anni a pratiche fasciste contro i radicali (anche nei confronti di Pannunzio e Benedetti: vogliamo su questo aprire un dibattito e confrontare "La Voce", "Il Mondo", e "L'espresso" degli anni cinquanta?) riconoscere la loro serietà e l'adeguatezza.

Da stamane, per esempio, in via di Torre Argentina 18, e sui giardini vicino a San Paolo, nella sede, cioè, del PR e della LID, in una Roma deserta e già torrida, alle prime notizie della strage, eravamo riuniti.

La radio non trasmetteva altro che musica; non notizie sulla strage, non notiziari, non reazioni del governo, delle autorità responsabili, dei partiti. Nella riunione straordinaria della Segreteria Nazionale, della Presidenza della LID, fra i compagni militanti, qualche voce era più allarmata e angosciata delle altre. Quel silenzio non poteva essere interpretato politicamente? Ma da un paio di importanti caserme romane e dagli ambienti militari dove le nostre lotte di obiettori e di antimilitaristi hanno creato spontanei e organizzati gruppi di base di vigilanza democratica, le notizie che ci erano già giunte non erano allarmanti. Molte sedi nazionali dei Partiti democratici erano deserte, e lo saranno restate poi per l'intero giorno. Inutilmente abbiamo telefonato al PRI, a casa di Battaglia, di altri, al PSI; al PSDI, a "Lotta Continua", a "Il Manifesto", alle abitazioni private dei loro dirigenti: potevamo, dunque essere tranquilli?

Queste assenze erano indizio di responsabilità, di maggiore conoscenza della situazione? O di vacanze, di smobilitazione, di incoscienza?

A trecento metri da noi, più o meno, in via delle Botteghe Oscure si stava svolgendo lo stesso dibattito.

A tre ore dalla strage i compagni dell'ufficio politico e della direzione nazionale del PCI erano già avvisati, e convocati.

Alle 9 erano già riuniti. Come lo eravamo noi. Abbiamo tirato un sospiro di sollievo. Guardavo i compagni: vecchi fratelli del'UGI, femministe, obiettori di coscienza, qualche giornalista, capelloni sottoproletari con i quali passiamo da otto estate i giorni delle nostre marce antimilitariste, discutendo di droga, di sessualità, di aborto, di divorzio, di legge, di anarchia, di rivoluzione: lottando. Nel salone del partito come sui giardini di San Paolo, vernice e cartelli: il sole scottava, i vari gruppi si muovevano verso il Ministero degli Interni per chiedere le dimissioni di Taviani (un gesto di sensibilità democratica, almeno, che invochiamo da anni: padrone poi il governo di respingerle, il Parlamento di applaudirlo); c'era da organizzare immediatamente una manifestazione popolare per la sera, spostare a domani il concerto pop, mantenere i contatti con le caserme, continuare a cercare i "politici"; redigere, ciclostilare, inviare i comunicati. Trovare la farmacia aperta, per le vitamine del digiuno, t

erminate.

G. B., uno dei nostri scrittori più autorevoli, una decina di giorni fa, a Bruxelles, si era sentito consigliare, da un altissimo funzionario internazionale, per il suo mestiere in necessario contatto anche con ambienti NATO, di non tornare in Italia per agosto: non era consigliabile, gravi avvenimenti si preparavano. Con compagni comunisti avevamo a più riprese, nelle scorse settimane, convenuto sulla positiva coincidenza che consentiva al Parlamento di non sguarnire Roma d'agosto, in questo clima, cupo, torbido, minaccioso. A diversi interlocutori che mi esortavano, "realisticamente", a non insistere per obiettivi parlamentari sul diritto di famiglia, sul voto ai diciottenni, sull'aborto, sulla esportazione abusiva di capitali, sulla Rai-TV, che comportano nei fatti un lavoro intenso e estivo, ho risposto che anche per questo li confermavamo. Il paese ha bisogno sia del prestigio che il Parlamento riguadagnerebbe arrivando comunque a rimuovere le sue paralisi e a portare alla loro naturale conclusione diba

ttiti e argomenti ormai fradici, sia di una ininterrotta e più responsabile attività politica della classe dirigente.

Così a chi non comprende la nostra insistenza a porci obiettivi come quelli volti a sottolineare anche ufficialmente, a livello di cronaca, le responsabilità e le funzioni politiche determinanti e troppo spesso inquinanti di Gianni Agnelli e di Eugenio Cefis, oltre che di Girotti e Petrilli e altri, a nome dei movimenti per i diritti civili, della LID, del Partito Radicale, propio in questi giorni, in questa estate, rispondiamo che è probabile che ogni quarto d'ora nostro con loro, sarà della stessa qualità del nostro quarto d'ora televisivo, un paio di settimane fa, rispetto alle centinaia d'ore con le quali hanno scavato la fossa alla democrazia chiacchiere e storie "politiche" come quelle delle quali la lettera dell'on. Adolfo Battaglia costituisce un ennesimo esempio.

La giornata, scrivevo, è stata anche difficile. Manifestare dinanzi al Ministero degli Interni, discutere responsabilmente per razionalizzare al massimo gli stati d'animo, onorare il sacrificio delle nuove vittime mensili del caos in cui i realpolitik ci hanno inesorabilmente (con le loro squallide utopie, con la loro schizofrenia, con la loro impotenza) trascinato, così lavorando, umilmente, consapevoli della nostra condizione e funzione di estrema minoranza organizzata e di portavoce di grandi maggioranze di donne e di uomini, riuscendo a radunare durante questa domenica di agosto migliaia di cittadini e di giovani per il comizio che abbiamo tenuto stasera; imporre alla Radio il rispetto dell'informazione in un momento grave, per cui è stato comunicato a tutti la nostra richiesta di immediate dimissioni del ministro degli interni, tutto questo non è stato facile.

Quanto a Maurizio Ferrara mi evita la fatica di rispondergli. Egli conferma un gesto pienamente fascista, come quello della esclusione della LID per ragion di stato o di partito. Ce lo spiega: l'anatomìa di questi delitti è sempre uguale, ormai noiosa. O vuole che gli ricordi, per esempio, il suo corsivo "un Pannella demistificato", sulla seconda pagina dell'"Unità" in cui dava notizia della mia adesione a... "Nuova Repubblica"?

Amici di "Il Mondo", lettori, caro direttore e colleghi, buon ferragosto. E alla Repubblica, che più di noi ne ha bisogno.

Marco Pannella

 
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