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Spadaccia Gianfranco - 1 novembre 1974
SINTESI DELLA RELAZIONE DI GIANFRANCO SPADACCIA
PARTITO RADICALE

SOMMARIO: Nella sua relazione il segretario del Partito Radicale, Gianfranco Spadaccia, invita ad unirsi nelle prossime elezioni alle forze radicali al fine di superare la profonda crisi istituzionale ed economica che vive il paese. Spadaccia imputa alla DC, alla sua gestione del potere, la responsabilità per tale situazione di crisi e, pertanto, chiede che attraverso un "programma comune" le forze di sinistra si uniscano per difendere i diritti civili (specialmente il diritto al referendum) e per costruire una forza socialista, libertaria e laica.

(XIV Congresso nazionale - Milano - 1-4 novembre 1974)

L'attuale crisi di governo - ha detto nella sua relazione il segretario nazionale del Partito Radicale, Gianfranco Spadaccia - è avvertita questa volta dall'opinione pubblica come una crisi diversa dalle altre, più preoccupante e più grave. Ed è seguita dagli italiani non con il consueto e spesso giustificato scetticismo che viene normalmente riservato alle cose e ai dibattiti di una politica, sentita come distante e come lontana, ma con attenzione e preoccupazione.

E' in effetti una crisi diversa dalle altre. Mai nel passato le istituzioni repubblicane avevano toccato l'attuale grado di corruzione interno e di disfacimento, come dimostrano da una parte lo scandalo Sindona l'incriminazione di alcuni personaggi di punta dell'economia e della finanza del regime, e dall'altra le tardive rivelazionisui tentativi eversivi e sulle provocazioni golpiste, che non possono essere liquidati come episodi folcloristici perché hanno fatto affiorare complicità di servizi segreti, corpi separati e polizie parallele, perché hanno rivelato complicità ministeriali e politiche che o hanno alimentato o hanno tollerato o quanto meno hanno occultato e coperto questi tentativi, perché fanno parte di una strategia complessa di terrorismo e di tensione che ha già prodotto molte stragi e molte vittime.

Batte inoltre alle porte una crisi economica che ha caratteristiche strutturali e proporzioni gravissime. E' una crisi che ha cause e origini internazionali (il diverso rapporto che si è stabilito fra paesi produttori e paesi consumatori di materie prime), ma che l'Italia deve affrontare trascinandosi il peso di un regime corporativo che ha creato e moltiplicato privilegi parassitari ed enormi strutture non produttive e di qualsiasi riforma o servizio civili. Pagheremo dunque a questa crisi un prezzo enormemente più alto degli altri paesi capitalistici e a farne le spese saranno la classe operaia e la piccola borghesia produttiva, ma soprattutto il mezzogiorno, i ceti emarginati del sistema produttivo, i giovani in cerca di prima occupazione, le masse femminili.

La vera causa di questa crisi, della crisi economica non meno della crisi istituzionale e democratica, non può essere ricercata in una presunta difettosità del sistema politico italiano considerato in maniera astratta prescindendo dalle classi e dalle forze politiche e sociali che, all'interno di esso, controllano il potere. Le tante analisi della crisi che vengono fatte secondo questo schema, sembrano rispondere allo scopo di rendere impossibile, in un quadro in cui tutto diventa generico e indifferenziato, ogni individuazione delle responsabilità.

Le responsabilità non vanno cercate lontano: sono nella D.C., nei suoi valori, nei suoi interessi, nella sua gestione del potere, nel sistematico svuotamento della Costituzione, dello stato di diritto, di ogni meccanismo della democrazia formale che essa ha operato.

Mentre il congresso radicale è in corso di svolgimento, l'on. Moro sta effettuando un nuovo tentativo di risolvere la crisi di governo. Di Moro si è detto che ha grandi doti di pazienza, di mediazione e di compromesso, e che gode, anche fra i partiti della opposizione, di un ampio credito democratico. Ma non si può comprendere la situazione attuale senza risalire ai governi presieduti da questo leader democristiano nella legislatura 1963-68, che furono fra i più stabili non solo del centro-sinistra, ma dell'intera storia della Repubblica italiana. Non si possono comprendere le vere ragioni e le gravi dimensioni di questa crisi economica, se si dimentica che proprio il democratico Moro fu l'affossatore della riforma urbanistica, il mallevadore del ricatto antiriformatore dei dorotei imposto come un diktat ai socialisti, il responsabile di una politica economica recessiva e antipopolare in occasione della prima congiuntura negativa che si verificò dopo gli anni del cosiddetto miracolo. Non si possono comprende

re le vere ragioni di questa crisi democratica e istituzionale se si dimentica che fu proprio il democratico Moro a coprire le responsabilità dei fatti del giugno 1964 e a servirsi di quei fatti per piegare i socialisti, a portare De Lorenzo alla carica di stato maggiore dell'esercito, ad insabbiare ogni possibilità di inchiesta sul primo scandalo SIFAR. Non avremmo oggi probabilmente il "caso Miceli" se non avessimo avuto ieri il caso De Lorenzo. Non avremmo oggi il rapporto del SID e sul SID se non avessimo avuto ieri gli "omissis" sull'inchiesta SIFAR. Questo non è un attacco alla persona dell'On. Moro. E' una necessaria puntualizzazione per ricordare che l'uomo che viene indicato come il padre del centro-sinistra, ha in realtà concepito e realizzato, lui per primo, questa formula di governo e l'incontro-storico-fra-cattolici-e-socialisti in funzione del consolidamento del regime democristiano.

La vera causa della crisi politica, istituzionale, democratica è nella mancanza di una alternativa laica, democratica, socialista. La vera causa è in questa contraddizione: fra un paese che nella sua grande maggioranza il 13 maggio ha dimostrato di non riconoscersi più nei valori della D.C., di averne abbastanza delle strutture autoritarie, clericali, corporative di questo regime, dei suoi metodi di governo, delle baronie economiche dei vari Cefis, Monti e Sindona, dei suoi enti pubblici che di pubblico hanno solo i deficit e i peculati, e una situazione politica che non consente quelle possibilità di cambiamento e di alternativa democratica che il paese richiede ed esige.

Il Partito Radicale ritiene che esistono oggi le condizioni per porre le basi di questa alternativa, per cominciare a parlare in Italia come in Francia di "programma comune" delle sinistre, per poter sperare di costruire una grande forza socialista, laica e libertaria, rappresentativa di almeno il 20% dell'elettorato, capace di candidarsi come forza di governo, che abbia insieme la forza di togliere consensi e voti allo schieramento avversario e di riequilibrare e di rafforzare la sinistra italiana.

Dal 1959 come sinistra radicale e dal congresso del 1967 come Partito, i radicali hanno sempre indicato questa prospettiva agli altri partiti di sinistra, controproponendola sia alla politica di centro-sinsitra sia alla politica comunista del "dialogo con i cattolici", della "nuova maggioranza" e del "compromesso storico". Ma abbiamo lavorato in questi anni per costruire questa prospettiva - ha proseguito Spadaccia - non attraverso lo scontro e il confronto ideologico con le classi dirigenti degli altri partiti e dei sindacati, proprio sul terreno dei diritti civili e di libertà su cui, per il peso delle proprie tradizioni, delle proprie ideologie e dei condizionamenti derivanti dagli equilibri politici, era più carente l'iniziativa politica della sinistra italiana e la lotta democratica di classe.

Non rinunceremo certo, ma al contrario approfondiremo il nostro discorso generale sulla alternativa e la nostra proposta di un "programma comune". Il nostro augurio è che il dibattito all'interno degli altri partiti maturi al più presto in questa direzione, che consideriamo l'unica risposta politica davvero valida per uscire dalla crisi politica ed economica del paese. In attesa che questo si verifichi, rivolgiamo un appello ai democratici, ai socialisti, ai tanti tecnici, economisti, programmatori, intellettuali, urbanisti che hanno conosciuto in questi anni il fallimento delle illusioni del centro-sinistra di raggiungerci nel partito radicale, o a fianco del partito radicale, in organizzazioni autonome, in movimenti culturali, in club politici che si pongano come obiettivo il dibattito su un programma alternativo, rappresentativo di forze politiche e sociali omogenee.

"Il Partito Radicale non deve abbandonare ma, al contrario, riproporre il progetto di referendum abrogativo delle leggi autoritarie, militariste, clericali e fasciste: il primo diritto civile che va attuato e difeso - ha detto Spadaccia - è il diritto al referendum come diritto di partecipazione dei cittadini e del popolo al processo legislativo". Non si tratta solo di rivendicare l'attuazione di un diritto costituzionale. Questo strumento di democrazia diretta è indispensabile oggi per interrompere la paralisi legislativa imposta dalla D.C. per bloccare ogni riforma civile. Esso è indispensabile anche per consentire che si determinino nuovi rapporti di forza nel paese che rafforzino e agevolino l'azione riformatrice all'interno dell'istituzione parlamentare.

Accanto a questa azione dal basso per l'indizione di nuovi referendum il Partito continuerà e intensificherà un'azione di pressione popolare perché il Parlamento attui alcune riforme che ha all'ordine del giorno e che sono continuamente rinviate: in particolare il diritto di famiglia e il voto ai diciottenni. Sul primo Spadaccia ha denunciato la sistematica azione democristiana rivolta a snaturare completamente il testo approvato alla Camera, in particolare reintroducendo il principio della separazione per colpa. Sul secondo ha proposto una vasta azione unitaria nelle scuole e in tutto il paese alle federazioni giovanili dei partiti democratici e ai gruppi e movimenti extraparlamentari.

Dopo il divorzio, l'aborto diventa per i radicali, secondo Spadaccia, il nuovo grande tema di confronto alternativo con il regime democristiano. L'azione per la legalizzazione dell'aborto sarà portata avanti contemporaneamente con i referendum (l'abolizione del reato d'aborto è prevista dal referendum sul codice Rocco) e con l'azione sul Parlamento. Democristiani e fascisti dispongono in questa legislatura - ha detto il segretario del P.R. - di una maggioranza sufficiente per respingere il progetto di legge Fortuna. Di questa maggioranza tuttavia si sono serviti fino ad oggi non per impedire l'approvazione della legge, ma per impedire qualsiasi dibattito. Il nostro obiettivo è, al contrario, quello di ottenere che il Parlamento, rispettando i suoi regolamenti, affronti il dibattito. A differenza dei nostri avversari noi infatti crediamo nella forza del confronto, del dibattito e della Democrazia. E sappiamo che anche una sconfitta in questa legislatura può essere la premessa per un diverso esito in futuro. S

padaccia ha ricordato che le commissioni Giustizia e Sanità della Camera si sono impegnate ad affrontare questo dibattito entro la prossima primavera ed ha polemizzato con i due relatori socialisti sulla legge, gli on. Signorile e Musotto, che non hanno ancora presentato le rispettive relazioni.

Il compito prioritario del Partito Radicale non è tuttavia questo. Il suo compito fondamentale resta quello di sviluppare e di radicare sempre più profondamente nel paese la politica per i diritti civili. E' questo il contributo più diretto che esso può dare alla sinistra italiana, alla costruzione di una forza socialista e libertaria, alla stessa politica della alternativa.

La Democrazia Cristiana tenta oggi di uscire dalla crisi da una parte riponendosi al centro di una fittizia dialettica di tipo centrista, per ricreare la quale si serve dell'alibi fornitogli dai socialdemocratici, e dall'altra puntando ancora una volta, come già nelle elezioni anticipate del 1972, sulle reazioni degli italiani e sulla loro legittima indignazione per il disordine e per la crisi che essa stessa ha creato. L'incarico a Moro indica che la carta su cui in questo momento la D.C. punta è la prima, ma tenendo in serbo la seconda in caso di fallimento di Moro.

Non si può e non si deve subire passivamente questa strategia con la quale la Democrazia Cristiana spera di poter realizzare la rivincita sull'Italia del 13 maggio.

"Di fronte a una crisi che è insieme crisi istituzionale e democratica e crisi economica, la risposta non può essere affidata soltanto alle lotte sociali e salariali per la difesa del potere d'acquisto del salario e del posto di lavoro, come non può essere affidata soltanto agli attuali equilibri e rapporti di forza parlamentari. Occorre affrontare la D.C. nel paese sul terreno politico dei diritti civili, e partire dalle condizioni di vita, dalle condizioni di felicità o di infelicità dei cittadini, dei lavoratori, dei giovani, delle donne, degli emarginati, dei proletari e dei sottoproletari di questo paese. Occorre affrontarla sul terreno politico della conquista di nuove libertà, della reintegrazione della moralità pubblica e di una legalità repubblicana che è quotidianamente calpestata e violata dalla politica e dagli interessi di potere del regime". In un paese che non ha conosciuto né riforma religiosa né vera rivoluzione borghese, la lotta per i diritti civili non costituisce un momento secondario o

sovrastrutturale, ma una componente essenziale della politica democratica di classe. Il referendum sul divorzio ha inoltre dimostrato che essa costituisce un terreno sul quale la classe operaia può realizzare la propria egemonia, una vincente politica di alleanze e una solida e valida unità democratica e popolare. Essa costituisce inoltre il terreno su cui è intrinseca la debolezza della D.C., della Chiesa, dell'intero schieramento clerico-fascista.

Affrontando il problema delle elezioni, Spadaccia ha proposto che "il Partito si mobiliti fin d'ora per preparare la presentazione di liste radicali alle prossime elezioni". "Siamo un partito extraparlamentare e non antiparlamentare. Abbiamo sviluppato la nostra lotta politica in un rapporto costante, dialettico e polemico, con le istituzioni costituzionali. Riteniamo che la lotta politica per l'alternativa abbia bisogno delle iniziative dal basso e delle iniziative di massa nel paese come di una presenza all'interno delle istituzioni".

"Nel 1968 e nel 1972 abbiamo propagandato e attuato l'astensione come forma di lotta e di protesta contro una truffa che veniva perpetrata e che impediva in realtà la democraticità di quelle consultazioni elettorali. L'esclusione delle forze che non fossero già rappresentate nel Parlamento dalla radio e dalla televisione impediva in realtà alle nuove liste di partecipare alla competizione in condizioni di parità. In quelle condizioni qualsiasi partecipazione si sarebbe risolta in un avallo ad una illegalità e ad una sopraffazione. Ma se, come lascia sperare la sentenza della Corte Costituzionale, quell'ostacolo sarà rimosso, il Partito Radicale non potrà sottrarsi al dovere di una partecipazione.

"Le uniche alternative ad una presentazione autonoma potrebbero essere rappresentate soltanto o da un accordo politico-elettorale con un altro Partito della sinistra, o dalla realizzazione di quel rinnovamento e di quella unità della sinistra, all'interno della quale abbiamo sempre detto che ci saremmo immediatamente dissolti. Realisticamente dobbiamo oggi dire che non esistono le condizioni per il verificarsi della prima ipotesi, e neppure le premesse per il verificarsi della seconda.

"Rivolgiamo pertanto fin d'ora un invito a tutte le associazioni radicali perché si mobilitino in questa direzione e un appello ai gruppi laici, democratici, per i diritti civili, a tutti i democratici, a quanti nelle loro città, nelle loro circoscrizioni, nei loro paesi sono interessati a questa prospettiva perché si uniscano a noi in questo sforzo di assicurare una speranza laica, libertaria, socialista, attraverso liste radicali, alle prossime elezioni".

 
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