Lettera di Gianfranco Spadaccia al direttore de "La Stampa"SOMMARIO: In seguito ad un articolo denigratorio, pubblicato da "La Stampa" il 6 novembre, a firma di Carlo Casalegno, sul congresso del Partito radicale, e in particolare sul discorso pronunciato in quella sede da Marco Pannella, il segretario nazionale del Pr, Gianfranco Spadaccia, invia una lettera che il direttore del quotidiano ha rifiutato di pubblicare, ritenendola "scortese". Questo il testo della lettera, la risposta di Levi e la replica di Spadaccia.
(NOTIZIE RADICALI n. 334, 30 novembre 1974)
"Caro Levi, con l'articolo di Carlo Casalegno sul congresso radicale e, in particolare, sul discorso di Marco Pannella, l'atteggiamento della" Stampa "nei nostri confronti ha superato ogni limite di scorrettezza.
Sulle conclusioni del congresso radicale la" Stampa "ha pubblicato un piccolo e sommario pezzo da cui è difficile comprendere quale sia la linea politica approvata. Non vi si parla della nostra analisi sulle cause della crisi, sia economica, sia istituzionale. Non vi si parla d programma comune della sinistra, di alternativa democratica, di come essa va preparata, di come il Partito Radicale si pone nei confronti degli altri partiti della sinistra e in particolare nei confronti del PSI.
Sul discorso di Pannella il giornale ha pubblicato un breve resoconto, non solo sommario, ma addirittura caricaturale.
Alcuni giorni dopo invece è comparso l'articolo di Casalegno che contiene giudizi pesantissimi e stroncanti sia nei confronti del partito, sia nei confronti di Pannella. E' sufficiente un raffronto fra l'articolo di commento di Casalegno e gli articoli di cronaca politica in precedenza pubblicati sul congresso, per rendersi conto che Casalegno disponeva di elementi di informazione e di valutazione ben più completi di quelli pubblicati nei resoconti, ed evidentemente tratti o da altri giornali o da dispacci di agenzia. Su questi elementi di informazione sottratti ai lettori della" Stampa, "egli fonda i suoi giudizi, evocando temi e posizioni congressuali in maniera tendenziosa ed extrapolando dal contesto alcune frasi di Pannella.
Di fronte a questo comportamento ci rifiutiamo di replicare nel merito agli attacchi di Casalegno, almeno fino a quando non ci sarà assicurato il diritto ad un dibattito che fornisca sufficienti garanzie sia a noi, che siamo il bersaglio di questi attacchi ormai ricorrenti e persino volgari, sia ai lettori.
Un dialogo, ed anche un dissenso, per essere tali, presuppongono il rispetto reciproco di regole minime di correttezza. Queste regole il giornale non le ha mai rispettate nei rapporti con il Partito Radicale, con la Lid e con gli altri movimenti dei diritti civili, se si escludono gli articoli di alcuni giornalisti di prestigio, che si sono dimostrati nostri amici, come Lietta Tornabuoni e Vittorio Gorresio (articoli confinati nelle rubriche personali e destinati non alle pagine politiche, ma alla terza pagina). Il resto è stato censura o distorsione, se si escludono anche qui alcune cronache comparse di recente a firma di Andrea Barberi, su alcune iniziative specifiche. Possiamo documentarlo.
Per gli stessi motivi non replichiamo neppure alla parte dell'articolo di Casalegno in cui, nel suo livore, ci presenta come fautori della droga (testualmente) della pederastia, e indirettamente, come un partito di drogati e (testualmente) di pederasti. Non è questo il primo regime, né Casalegno è il primo servitore di un regime, che per eliminare la diversità, le opposizioni più intransigenti e il dissenso politico, hanno bisogno di suscitare disprezzo e odio: si trova sempre, nei momenti di difficoltà, l'ebreo o lo omosessuale da perseguitare, ed è più facile affrontare l'intellettuale e il militante politico fastidioso, liquidandolo come "matto" o come "criminale".
Pannella risponderà come riterrà più opportuno. Per quanto riguarda il Partito Radicale, mi limito a chiedere, ai sensi dell'art. 8 della legge sulla stampa, la pubblicazione di questa lettera"."
Arrigo Levi ha comunicato il suo rifiuto di pubblicare la lettera, facendo dettare al suo segretario di redazione la seguente "nota di risposta":
"Caro Spadaccia,
non ho intenzione di pubblicare la Sua lettera alla quale certamente non si applica l'art. 8. La lettera è comunque inutile: i giudizi su chi è buono e chi è cattivo alla "Stampa" nei confronti del Partito Radicale mi sembrano superflui e privi di qualsiasi interesse per i lettori. La lettera inoltre è inaccettabilmente scortese.
Se desidera mandarmi una lettera cortese che riaffermi i punti di vista politici del Partito Radicale più o meno nell'ambito di questa lunghezza, non ho nessuna difficoltà a pubblicarla, ma certamente non pubblicherò questa lettera.
Mi dispiace che il PR continui ad usare nei confronti della "Stampa" un tono di inaccettabile livore"."
Dunque, per Levi, è tutto un problema di cortesia. Se scrivessimo una lettera più "cortese" più o meno della stessa lunghezza di quella inviata, lui la pubblicherebbe. Invece noi siamo stati maleducati e scortesi.
Da Casalegno, Pannella è stato definito "fazioso e fuori del tempo", "in ritardo di un secolo", privo di "lucidità di pensiero e di serietà politica", "ricattatore, con i digiuni". Il Partito radicale si perde fra "ambizioni troppo grandi, piccole faziosità e iniziative inutilmente provocatorie"; è composto da "fanatici anticlericali", si comporta da "mosca cocchiera" nei rapporti con i partiti di sinistra, si batte per la libertà della droga (nessuna distinzione fra "droghe" pesanti e "droghe" leggere), e dedicherà "il suo primo convegno alla liberazione sessuale, in stretta alleanza con il fronte rivoluzionario dei pederasti". Le sue iniziative sono tipiche del "folclore politico". Pannella è il suo "profeta". Con la nostra politica diffondiamo "i veleni dell'anarchismo, del dilettantismo rivoluzionario, dell'avventurismo". Le nostre proposte di disubbidienza civile e non violenta non costituiscono un errore ma "un crimine".
Noi pensavamo che, nel loro livore, gli insulti che Casalegno puntualmente ci rivolge non fossero dei semplici atti di scortesia, ma dei giudizi politici. Non ci siamo mai sognati di contestare a Casalegno il diritto di esprimere i suoi giudizi anche con l'insulto, se questo gli è congeniale, salvo il nostro diritto di ricorrere al giudice quando ritenessimo che il giudizio politico sconfina nella pura e semplice diffamazione.
Ciò che contestiamo a Casalegno, alla Stampa, a Levi e a qualsiasi altro è il diritto di esprimere giudizi politici sottraendo ai lettori di uno dei maggiori quotidiani italiani l'elementare diritto all'informazione sulle posizioni del Partito Radicale che così duramente vengono attaccate e denigrate.
Al contrario di Levi riteniamo che le osservazioni scritte nella lettera che gli abbiamo inviato interesserebbero, e molto, ai suoi lettori. Ma ci sono dei direttori e dei giornalisti che rifiutano ogni rilievo critico sui criteri con cui i loro giornali forniscono l'informazione. E siccome considerano i loro lettori come oggetti e non come soggetti, come massa amorfa e consumistica di fruitori passivi delle notizie, è naturale che rifiutino ogni confronto su questi argomenti.
Né si trattava soltanto, come risulta dalla lettera che pubblichiamo, di fare l'elenco dei giornalisti "buoni" e di quelli "cattivi". Perché anche gli interventi dei giornalisti "buoni", come Levi, e non noi, li definisce, o sono confinati, sulla "Stampa", alla dimensione delle "testimonianze" personali di stima e di amicizia per le lotte che conduciamo, o sono ordinati e pubblicati dal giornale con titoli, fotografie, sottotitoli e didascalie che servono a dare del nostro partito solo e soltanto quella dimensione "folkloristica" che noi non neghiamo e di cui anzi siamo fieri, nello squallore della vita politica italiana, ma che Casalegno ci rimprovera.
Ma anche questo potrebbe essere un diritto del giornali. Il diritto che gli disconosciamo è quello alla censura e alla disinformazione sistematica sulle nostre iniziative e posizioni politiche. Ed è cosa non di questo Congresso e di questi giorni, ma di anni.
La "Stampa", attraverso il suo vicedirettore, sostiene che nella nostra follia non ci si può disconoscere la coerenza. Anche la Stampa in questa pratica giornalistica ha una sua lunga coerenza. E non solo in questo.
Per anni, (dal 1969 ad oggi) il quotidiano torinese ha applicato nei nostri confronti la politica degli "opposti estremismi": eravamo gli estremisti del divorzismo come Gabrio Lombardi era l'estremista dello antidivorzismo. Per anni Casalegno è stato fautore di un compromesso fra clericali e laici che scongiurasse la iattura del referendum e il grave pericolo di una spaccatura degli italiani. Questo "saggio" commentatore politico, ancora in ottobre ci rimproverava, con la consueta "cortesia" che tanto sta a cuore al suo direttore, di proporre "ben otto referendum a un paese non ancora ristabilito dalla scossa del voto sul divorzio". Poiché non ci occupiamo solo di droga e di sessualità o di altre iniziative che il giornale presenta come strampalate, (e delle quali la "Stampa" farebbe bene ad occuparsi seriamente) ma ci occupiamo anche un po' di politica, ci sembra che il paese abbia subito parecchie scosse dopo il 13 maggio - politiche, economiche, sociali - ma non ci siamo mai accorti che il voto sul divorz
io abbia lasciato traumi nell'elettorato e nel paese.
La scossa l'ha subita certamente Paolo VI, l'ha subita la DC, l'ha subita Casalegno. Sono questi, e non il paese, che stentano a riprendersi. Ma se non ci fosse stato il voto sul divorzio, la vita politica democratica quest'anno sarebbe stata segnata soltanto dalle "brigate rosse", dalle "trame nere", dagli scandali finanziari di Sindona, Cefis e delle altre baronie di questo regime che Casalegno difende, delle avocazioni parlamentari e via discorrendo.
Noi pensiamo che questa democrazia rischia di morire, ma non per la nostra "imprudenza" e le nostre "follie". Piuttosto per la troppa "saggezza" e la troppa "prudenza" dei tanti Casalegno che popolano la vita politica italiana.
Dopo tanta maleducazione e scortesia, in risposta alle tante cortesie giornalistiche che ci vengono rivolte dalla Stampa, sappiamo che ci verrà negata anche la attenzione folcloristica che di tanto in tanto era riservata alle nostre iniziative quando "facevano notizia".
Questo è infatti normalmente il comportamento dei "signori" (in tutti i sensi) del giornalismo italiano.
Non rinunceremo per questo a batterci contro questi sistemi vergognosi, con i pochi mezzi che abbiamo e con i metodi democratici, nonviolenti, "disubbidienti" che ci sono congeniali e ai quali siamo abituati. Non ci battiamo infatti per ottenere lottizzazioni di potere o spazi privilegiati e corporativi, ma per il diritto di tutti - della società, dei lettori, degli stessi giornalisti - ad una informazione onesta e non inquinata.