Liberali, penultima spiaggiadi Marco Pannella
SOMMARIO: E' un autunno nero per la popolarità del presidente della Repubblica, dicono i sondaggi: se si votasse oggi, sarebbe eletto Mitterrand con netta maggioranza. Ma gli uomini e le donne di Giscard sono ottimisti, e per ora hanno probabilmente ragione. Pensano a una riforma liberale della società, per fare a destra quello che a sinistra è riuscito al socialismo. Dopo l'inchiesta de "Il Mondo" sui socialisti e i comunisti, ecco le dichiarazioni dei ministri François Giroud, Jean Pierre Soisson, Michel d'Ornano, del segretario generale dei repubblicani indipendenti Roger Chinoud, e dell'altro leader Jacques Dominati)
(IL MONDO, 9 gennaio 1975)
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PARIGI. L'uomo politico più popolare, che ha spodestato dalla vetta delle classifiche Ifop-Le Figaro il leader socialista François Mitterrand, che vi s'era attestato ininterrottamente da molti mesi, è una donna di 47 anni, madre di tre figli, magistrato, ex-deportata ad Auschwitz, di solida famiglia borghese e liberale: Simone Veil, ministro della Sanità, ieri ancora del tutto sconosciuta al gran pubblico e alla vita politica francese. Ma poiché dopo Mitterrand e il primo ministro Jacques Chirac, è ancora una donna, Françoise Giroud, ministro della "condizione femminile", fondatrice e direttrice con Jean-Jacques Servan Schreiber di "L'Express", ad occupare il quarto posto nella classifica degli "uomini politici" di maggior popolarità, sorge a questo punto, per molti, un problema d'interpretazione di tali segni. "La Francia diventata femminista?", s'interroga allora "Le Figaro".
Contro molte evidenze, mi sembra invece più probabile che la Francia stia diventando giscardiana; ma non se ne accorge ancora e crede, al contrario, che il presidente sia sempre più respinto o indebolito. I sondaggi, gli osservatori politici, i baroni gollisti e i pompidoliani dell'UDR, la opposizione socialista e comunista convergono, per una volta, nella valutazione severa dell'azione di Valéry Giscard d'Estaing. A novembre solo 42 francesi su 100 dichiaravano di poter dare fiducia al presidente della Repubblica in caso di grave crisi politica e sociale (ma sembra che, a fine anno, siano già molto cresciuti: 54 su 100); 53 su 100 affermavano che avrebbero votato piuttosto Mitterrand che lui, nell'ipotesi di un nuovo confronto; "Le Monde" dedicava quasi un'intera pagina a illustrare e denunciare, facendoli in gran parte propri, i motivi di preoccupazione di molti ambienti per il singolare stile di vita e di governo del nuovo presidente, spesso irrintracciabile perché in libera e clandestina uscita dopo il t
ramonto, personalissimo nelle sue scelte pubbliche e private, senza veri consiglieri politici e collaboratori responsabili, di volta in volta apatico o attivistico, così solitario nelle decisioni da legittimare per molti l'accusa d'un fondo autoritario del suo carattere e d'un esercizio sostanzialmente incostituzionale (perché "presidenzialista", "all'americana") del potere; i comunisti ne denunciano la politica come "la più assolustica", antipopolare e di casta dal dopoguerra a oggi e, da destra e da sinistra, lo si accusa di avere in poche settimane sacrificato interessi nazionali nei tre "vertici" internazionali tenuti in una decina di giorni: quello franco-sovietico, quello europeo e quello franco-americano. Intanto disoccupazione e prezzi, scioperi e inflazione, deficit della bilancia commerciale e pessimismo sembrano lievitare. Perfino il principe Michel Poniatowskj, ministro degli Interni, "alter ego" di Giscard nella considerazione di quasi tutti, ha crisi di furore.
Il gioco delle parti
"E' vero", ammette un altro ministro, che poi s'affretta subito a spiegarmi: "Ponià, negli ultimi tempi, mi fa pensare al vecchio Emil Jennings dell'``Angelo azzurro''. Non hanno nemmeno dieci anni di differenza eppure lui osserva Giscard come quello si covava Marlène Dietrich. Il gioco sta diventando altrettanto crudele. Ponià è furente di non sapere, nemmeno come ministro della polizia, dove Valery trascorre le sue notti; di constatare il piacere con cui Giscard riceve sempre più di frequente Jean-Jacques Servan-Schreiber e Françoise Giroud, conversa con giornalisti e intellettuali dell'opposizione socialista, ha frequentazioni e avventure anche ``gauchiste''. Ma la sua non è che gelosia, trepidazione di amico o di fratello maggiore affascinato dal suo cadetto. Sulla situazione politica e i suoi sviluppi anche lui è ottimista. Le sue "uscite" di destra si spiegano con il gioco delle parti che Giscard adora assegnare attorno a sé. Nessuno, come lui, oggi, in Francia, meno che mai Mitterrand, esercita un fas
cino, una suggestione così intensa sui suoi collaboratori e sui suoi amici; e sa usarli con tanta efficacia e spregiudicatezza". "Sa dove vuole arrivare e ne è probabilmente capace", mi assicura da parte sua il ministro Françoise Giroud, che tiene a ricordarmi d'avere pubblicamente sostenuto nel confronto del maggio scorso Mitterrand contro Giscard. "Giscard è davvero il ``changement'', per una riforma radicale della società; ci crede a fondo. E' tenace e finora tiene ottimamente". Françcoise Giroud ha torto?
A cosa deve Simone Veil la sua popolarità, il suo successo? Non ha compiuto finora che un gesto, non s'è impegnata che in una azione politica di rilievo: ha sostenuto la proposta governativa di liberalizzazione assoluta dell'aborto durante i primi tre mesi di gravidanza. Durante il dibattito in parlamento, la sua difesa del progetto è stata certo efficace, piena di fermezza e di dignità. Ma la sua personalità, donna, madre, magistrato, scampata dai campi di concentramento, moderatamente liberale, niente affatto "femminista", ha giocato più dei suoi meriti specifici e ha da sola equilibrato il fatto che la nuova legge sia passata con il prevalente sostegno numerico delle opposizioni di sinistra, comunista e socialista, con la prevalente opposizione dei deputati dei gruppi della maggioranza. Tradizionalmente, in Francia, la battaglia per la liberalizzazione dell'aborto è stata combattuta dalla sinistra ed è grazie alla sinistra che è stata vinta anche in sede legislativa. Eppure è ora una esponente del governo
di Giscard che ne trae il maggiore profitto in termini di popolarità. Era per questo che Giscard, fra la sorpresa generale, l'aveva scelta come ministro, nel giugno scorso. Simone Veil, insomma, non è che una comparsa di talento; come la stessa Françoise Giroud, che pure sta proponendo con accortezza e decisione leggi di reale emancipazione (non dirò di "liberalizzazione") della donna; come il ministro della Giustizia, il "centrista" e cattolico Jean Lecanuet, cui è stato fatto condividere non a caso l'onere della difesa della legge sull'aborto e che sta per proporre una audace riforma carceraria; come lo stesso Jacques Chirac che, con un colpo di mano, ha liquidato ogni forma di potere che non fosse "giscardiano" al vertice del movimento gollista, assumendone in proprio la segreteria nazionale. Politicamente, insomma, Simone Veil, Françoise Giroud, Jean Lecanuet, Jacques Chirac rappresentano un organigramma di successi che almeno per ora si risolvono innanzitutto in un indiretto quanto sicuro incremento de
l patrimonio presidenziale. Parallelamente, televisione, radio, banche, istituti fondamentali di governo e di sottogoverno sono rivoluzionati e nuovi o vecchi fedeli di Giscard ne assumono la direzione. Il potenziale politico, insomma, aumenta considerevolmente. Chi giudica in base alle cifre assolute dei sondaggi sta commettendo probabilmente un errore marchiano. Si dimentica che Giscard d'Estaing, un anno fa, non era che l'ambizioso ma disciplinato ministro delle Finanze di Pompidou, anzi di quel "barone inesistente" del gollismo che risponde al nome di Pierre Messmer; ch'egli non era che il leader di un gruppo di una cinquantina di parlamentari moderati, profondamente diversi per cultura, ideali e generazione non solo anagrafica; che al primo turno delle presidenziali raccolse meno del 40 per cento dei suffragi; che molti uomini del regime sembravano più autorevoli e forti di lui nella corsa alla successione di De Gaulle e di Pompidou. Il suo cliché era quello d'un uomo freddo e distante, velleitariamente
teso ad apparire umano e a rendersi popolare, efficace sul piano tecnico-finanziario, politicamente opportunista e arido quanto a ideali. Invece non trascorre ormai settimana senza che Giscard non rappresenti un "caso", spesso scandaloso o criticato severamente, per la stampa, di destra o di sinistra, per l'opinione pubblica. "Giscard non ``passa'', il paese non lo sente" ho udito ripetere da ogni parte. Ma, quanto meno nella classe politica, ho l'impressione che da tempo un leader non abbia suscitato un interesse così appassionato e contraddittorio.
Le famiglie politiche
Mi è parso quindi utile e doveroso ascoltare opinioni e analisi, progetti e anche stati d'animo e sentimenti dei rappresentanti del piccolissimo nucleo di esponenti "repubblicani indipendenti" che hanno costituito e rappresentano tuttora l'unico strumento organizzato dell'iniziativa politica di Giscard d'Estaing. Trascriverò qui appunti di alcune delle conversazioni che ho avute con i ministri Soisson, d'Ornano e Giroud, con il segretario generale del movimento Roger Chinoud, con il deputato Jacques Dominati, "delegato parlamentare" del movimento, con il coordinatore dell'apparato Bernard Lehideux. Come "Il Mondo" ha già fatto in autunno con la sinistra, daremo così direttamente la parola alle varie correnti della maggioranza; prima ai giscardiani, in seguito ai gollisti, fra i quali Michel Debré, ex-presidente del Consiglio e vestale del pensiero del "generale"; Edgar Faure, presidente della Camera e anche lui ex-presidente del Consiglio; il ministro Tommasini e l'ex-segretario nazionale dell'UDR Sanguinett
i; il presidente del gruppo parlamentare Labbé. E ciò prima di concludere questa inchiesta mostrando quanto e perché, malgrado tutto, presistiamo nel credere che la battaglia e l'alternativa della sinistra unita dal "programma comune di governo" continui a proporsi come la sola valida e robusta, anche in termini di crescita liberale della società e dello stato francesi.
Jacques Dominati, come Chinoud, Soisson, d'Ornano, Lehideux, è della generazione a cavallo dei quarant'anni; ed è fra i pochissimi che usa familiarmente il "tu" con Valéry Giscard d'Estaing. Ne ha anche di recente abusato. Ricevendo come presidente del consiglio municipale di Parigi all'Hotel de Ville il neo-eletto presidente della Repubblica, lo ha accolto dicendogli: "Sono felice di riceverti qui". Al che Giscard: "Monsieur le président, c'est le président de la République que vuos accueillez!".
Dominati proviene dal movimento gollista. Mi ricorda spontaneamente che abbandonò De Gaulle, da destra, "passionalmente", essendo favorevole all'"Algeria Francese".
"Per comprenderci è assolutamente necessario situarci nella tradizione politica francese", insiste nelle molte ore di colloquio che ho avuto con lui. "La famiglia politica liberale che noi rappresentiamo è stata a lungo quella dei deputati ``indipendenti e contadini'', moderati; in gran parte notabili ``sindaci-parlamentari'', i cui valori erano il lavoro, l'ordine, le libertà politiche, la famiglia, l'indipendenza nazionale. Raramente esprimevano grandi individualità: Paul Reynaud, e poi Pinay, non avevano altra organizzazione che non fosse il collegamento cantonale e parlamentare.
"Erano conto il ``collettivismo'', profondamente anticomunisti; per questo s'opposero o si sentirono estranei alla politica di ``unione nazionale'' del primo De Gaulle, alla liberazione. Poi finirono per raggiungere lentamente il generale. Nel 1962 sono ormai o assorbiti o eliminati, come forza politica determinante, dal gollismo, tranne residui dovuti più al carattere che ad altro, o i sostenitori d'una politica di ``Algeria francese''. Giscard esordisce scegliendo di porsi all'interno della maggioranza, ma in modo autonomo, convinto che dopo De Gaulle ogni famiglia politica reale si sarebbe in un modo o nell'altro ricostituita. Si inserisce nel governo, nel potere, ma comincia subito a costituirsi una sorta di brain-trust al centro e una organizzazione orizzontale di nuovi club nel paese, che diventano le sue antenne in provincia e presto doppiano, come elemento parallelo, vecchi notabili moderati e ``contadini'' che vi sono presenti. Giovani tecnocrati e intellettuali passano a questo punto anche dai club
``Jean Moulin'', d'ispirazione mendésista prima, poi mitterrandiana e socialista, a Giscard. Dal 1965 al 1967 e 1968 aumentano così i ``nuovi'' indipendenti giscardiani, fino a creare gruppi di qualche consistenza in parlamento e in città e settori importanti. Il tentativo non era quello di creare una nuova organizzazione politica, ma gruppi agili e qualificati per appoggiare, pubblicizzare, rivestire l'azione politica del leader. Da una parte una ``nuova scuola politica'', dall'altra una macchina politico-elettorale".
"Ora la situazione è tale per cui il gruppo parlamentare dei repubblicani indipendenti, di circa sessanta deputati, non ha nei suoi organi direttivi un solo ex-ministro o notabili, pur essendo ancora quello che più di ogni altro, in percentuale, ne ospita nel proprio seno. E' una classe dirigente che nasce, anch'essa, stia attento, nel 1968. Almeno in quanto tale".
Jacques Dominati passa ora alla situazione attuale: "Giscard d'Estaing si è trovato all'inizio del suo settennato un po' come De Gaulle nel 1958. De Gaulle fu chiamato a presiedere la Repubblica da un parlamento in maggioranza non gollista e in passato antigollista. Giscard d'Estaing viene eletto in concorrenza iniziale a un candidato gollista, Chaban-Delmas, disponendo all'interno della maggioranza parlamentare solo di un piccolo gruppo di fedeli. De Gaulle dovette ben presto provocare nuove elezioni. Voglio essere chiaro, franco: anche ora la logica della situazione esigeva che al più presto la maggioranza fosse più profondamente omogenea. Governare dunque per circa un anno e mezzo, far passare l'immagine più liberale e moderna del presidente con la serie di riforme (voto ai diciottenni, aborto, nuovi statuti per le donne, anno di disoccupazione pagato, rilancio della politica europea, riforme dei codici, riforma dell'impresa) in gran parte già attuata, accettando il peso e il freno eventuale dell'UDR in b
uona parte inizialmente antigiscardiana. Poi andare a elezioni con lo scioglimento anticipato della camera, avendo nel frattempo messo in crisi il più possibile con queste riforme e con iniziative politiche dirette a questo fine o l'unione della sinistra nel suo complesso e come forza unitaria di alternativa rappresentante la metà dell'elettorato (riducendolo), o nella sua qualità (crisi dei rapporti fra comunisti e socialisti). Le circostanze internazionali con la crisi energetica, i problemi di disoccupazione e di inflazione che ne conseguono, l'esistenza di una opposizione che ha acquistato forze e prestigio grazie a Mitterrand e al progetto socialista di società, complicano probabilmente la situazione, ma non la pregiudicano.
L'America non perdona
"La situazione comunque evolve naturalmente verso il presidenzialismo, il bipartitismo parlamentare e, nel paese, non vi sono che la famiglie socialista, comunista, liberale. Chi volesse qualificarsi più a destra è affar suo, ma non c'è spazio né vera tradizione. L'UDR, di per sé, non è una famiglia politica: la sua esistenza era legata a quella di un De Gaulle. Progressivamente, dovranno scegliere: la maggioranza dovrebbe trovare posto nella nuova formazione che prima o poi bisognerà arrivare a creare. Alle elezioni non andremo con candidati unici di questa maggioranza: vi saranno, dove sarà necessario, delle primarie per scegliere il candidato che dovrà affrontare quello delle sinistre".
Chiedo a Dominati se nel pese la situazione non gli appaia più difficile di quanto non gli sembri quella parlamentare e di vertici politici. "E' indubbio che coloro che ci hanno sostenuto", risponde, "sono oggi quelli che politicamente soffrono di più: l'aborto, il presidente che stringe la mano a detenuti nelle carceri, il nuovo stile più democratico e semplice impresso alla vita delle istituzioni, il rifiuto di risposte dure alla lotte sociali e politiche che investono decisioni e politica governativa, non corrispondono certo ai riflessi istintivi di un elettorato che è ``d'ordine'', e contrapposto alla sinistra. Ma o riusciamo noi, nel tentativo di creare un progetto liberale di società, al quale ormai da decenni nessuno più pensa, che manca drammaticamente, di fronte al progetto socialista che è sicuramente ritenuto serio e responsabile, o non vi sarà che da temere la realizzazione d'un disegno collettivista, di spartizione delle penuria da parte di uno stato malgrado tutto marcato più dai comunisti che
dai socialisti".
Non si tratta, allora, di garantire "ai socialisti" la forza di proporre e produrre libertà e quella di attuare con i ceti oggettivamente interessati le necessarie riforme storiche di struttura? Dominati replica: "Ma che cosa avrebbe fatto Mitterrand, di fronte alla crisi economica, che non abbia fatto Giscard? Certo, c'è il problema di riforma delle strutture produttive, ed è su questo che la sfida è lanciata. Penso che è proprio sull'accettazione di consistenti e importanti riforme strutturali e produttive, a breve e a medio termine, che finiremo per cercare e appoggiare candidati, fra quanti oggi fanno parte della maggioranza. Lo spartiacque è più qui, che nello schieramento realizzato con la sinistra in posizione numericamente preminente sull'aborto. Ma andiamo oltre. Gli attacchi che oggi vengono a Giscard, cercando di squalificarlo proprio agli occhi della gente che gli ha votato fiducia, vengono da destra e da ambienti stranieri. Gli americani non perdonano a Giscard d'Estaing, che ha sempre rifiutato
l'antiamericanismo, di essere un europeo convinto e di cercare di attivare questa sua tendenza. In fondo se i socialdemocratici tedeschi rifiuteranno la mano tesa, i prodotti europei di Giscard, sarà perché lo riterranno troppo ``europeo'' e non sufficientemente sensibile alle pressioni e agli interessi americani. Comunque questi socialisti, e non solo loro, anche i sovietici, mostrano chiaramente di preferire Giscard a Mitterrand".
Ma il paese - osservo - sembra scontento; ed è più fiducioso nella sinistra, anche nelle sue volontà e capacità liberali, che in Giscard e nella maggioranza. Jacques Dominati non sembra troppo preoccupato: "Ci si lagna sempre, ed è anche giusto, contro i governi. Ma quando, con le elezioni, si devono esprimere giudizi più motivati e complessivi, i riflessi sono diversi. Comunque, sceglieremo il momento e quindi anche i temi del prossimo confronto elettorale. Diremo chiaramente, penso, che un successo d'una sinistra che fosse (come però non sembra già più essere) davvero unita, non potrebbe che tradursi in crisi di regime, con nuove elezioni anche presidenziali. Penso che la stessa sinistra sa bene che, in questo caso, dinanzi alla drammatizzazione della scelta, è difficile che Giscard non sia rieletto con una maggioranza molto più sensibile che nel maggio scorso. Ma se la vittoria fosse poi d'un partito socialista ormai disposto a rompere con i comunisti, ebbene noi pensiamo sin d'ora che un governo e un par
lamento a maggioranza socialisti, sono perfettamente compatibili con la presidenza Giscard".
Ho citato lungamente Dominati solo perché e nella misura in cui le sue valutazioni mi sono parse esprimere, in modo più disteso ma anche più preciso e reciso, anche il pensiero e le posizioni del ministro per l'Università Jean Pierre Soisson, di Bernard Lehideux e, in parte, quelle del segretario nazionale Roger Chinoud. Mentre un suono opposto m'è giunto dal solo ministro dell'Industria D'Ornano.
Elogi ai socialisti
Roger Chinoud, ora che Poniatowskj e Soisson sono al governo, ha assunto la leadership del movimento giscardiano. E' anche lui giovane, appena quarantenne. E' stato a lungo impegnato come federalista europeo, prima di passare a costituire il nocciolo dei primi fedelissimi dell'attuale presidente della Repubblica. Più prudente di Dominati su quanto è evidentemente "settore riservato" di Giscard, schiva un tema delicato: "Lo so, il binomio Giscard-Mitterrand affascina molti. Ma la nostra Costituzione fa del primo ministro un collaboratore e sempre più, nella pratica, le cose evolvono verso un presidenzialismo ancora più netto, che noi lo si voglia o no. I nostri problemi attuali sono altri".
Quali? "Uno, tattico, è quello di fare penetrare il movimento più profondamente e in modo più articolato nel paese. Siamo stati finora soprattutto una forza di lancio di un uomo che sembrava isolato; che, come ministro delle Finanze, s'è trovato spesso dinanzi all'accusa da parte di chi lo riteneva ``suo'' d'avere ``tradito''. Industriali, banchieri, per esempio, dopo il suo piano di stabilizzazione del 1973. L'obiettivo è stato raggiunto, e prima del previsto. Il gioco diventa necessariamente più serrato, grave e ambizioso. Lei mi chiede se nella sua volontà liberale e riformatrice Giscard non avrebbe bisogno, storicamente, dell'elettorato di sinistra, di quello che ha votato per Mitterrand. Sì, sono d'accordo". Ora Chinoud si riscalda, si espone un po' di più, continuando: "Spero, anzi, che questa necessità ci sia e diventi più chiara e urgente. Non per bassa cucina parlamentare d'un momento. Penso che i comunisti, nell'apparato, non sono invece disponibili per una politica di governo. Né esito ad ammetter
e che io credo ancora ai loro legami privilegiati con Mosca. Ma per i socialisti è un'altra storia: credono come noi nella libertà. Il Ceres, la sua più intransigente corrente di sinistra, non può non meritare tutta la nostra attenzione. Delirano un po' nella teorizzazione dell'autogestione, sono spesso sciatti nel considerare problemi attuali e precisi, ma sono anch'essi dei borghesi della migliore tradizione: docenti universitari, ricercatori, quei funzionari di stato, delle finanze e dell'economia che, nella tradizione francese, sono sempre stati, in maggioranza, di sinistra, radicali o socialisti. Quello che ci muove è la convinzione che Giscard rappresenti un'ultima possibilità per il campo liberale di proporre un suo modello di società. E' questo il nostro obiettivo strategico. Da troppo tempo, ormai, i liberali sono stati dei ``moderati'', conservatori, notabili, amministratori e gestori dell'acquisito e dell'esistente. Insomma, dobbiamo permetterci un linguaggio che non amiamo, dicendo che c'è una mi
ssione storica da compiere. Come altri hanno fatto nel loro campo, nel nostro dobbiamo scuotere sufficientemente la tradizione liberale, fare maturare la capacità e l'intenzione di grandi riforme, di una nuova società, di nuove libertà nella sicurezza, e che non vengano poste in pericolo quelle esistenti o già possibili. Il grande dibattito su cosa rappresentino, in cosa differiscono, convergano, coincidano o s'oppongano nuovo socialismo francese e nuovo progetto liberale è necessario: ma non siamo in condizioni ancora di affrontarlo".
I maestri di libertà
"La cultura francese", incalza anche il ministro Jean Pierre Soisson, "è da decenni marxista; il suo dominio determina e condiziona il rinnovamento politico. Devo sottolinearlo. Ma ho fiducia che la componente liberale possa riprendere prestigio e rovesciare la situazione. Comunque riconosco che nelle nostre cattedre molti sono i maestri di libertà, anche se da posizioni radicalmente diverse dalle nostre. O che tali appaiono. Credo nelle maggioranze di idee, in questo paese e in queste circostanze più che mai. Non a caso, prima di essere il vice di Poniatowskj quando abbiamo costituito il nostro movimento e fino all'entrata nel governo, ero stato con Edgar Faure. La tradizione radicale, infatti, dei Waldeck-Rousseau e dei Leon Bourgeois ci tramanda e lancia messaggi liberali attuali, necessari. Ed è indubbio che ci troviamo ad avere una abbastanza grande comunione di idee con i dirigenti socialisti. Mitterrand (siamo eletti in due circoscrizioni vicine) mi diceva lo scorso anno: ``Lei farà parte del mio gove
rno, Soisson!''".
Non so, se i comunisti francesi leggeranno questa dichiarazione, quanto resisteranno alla tentazione di farne subito un nuovo motivo di polemica. Ma il ministro Soisson, penso, non ha evocato questo piccolo episodio solo per il piacere della conversazione.
"I Jean-Pierre Cot, e gli altri deputati socialisti della sinistra, del Ceres, gli Chevenement, i Sarre sono, e li sento, vicini non solamente per ragioni di generazione anagrafica... Questa nostra società non può non essere trasformata radicalmente. Le contraddizioni e le difficoltà sono molte. Da una parte comunisti contro socialisti, dall'altra la tradizione di progresso e di libertà cui ci richiamiamo e che vogliamo rilanciare e irrobustire, contro i riflessi del suo elettorato attuale".
Una trasformazione radicale? Delle strutture?
"Giscard è un grande-borghese", dice Françoise Giroud "e ho già detto che sono convinta della sua decisione e probabilmente capacità di guidare ``il cambiamento''. E, curiosamente, proprio quello che per altri può apparire un difetto, un limite, il suo volere essere ``snob'', aristocratico, può giocare in un senso positivo. Mostrarsi, ed essere, ``superiore'' alla potenza e al condizionamento delle forze del danaro, da atteggiamento psicologico può mutarsi in posizione e scelta politica".
Vado allora da un altro amico del presidente, il ministro dell'Industria Michel D'Ornano. La musica è un'altra, molto più classica, risaputo. "Trasformazione liberale della società? L'abbiamo fatta, la stiamo facendo. Riforma delle strutture produttive? Storia di bibbie e di dottrine, del piccolo mondo politico con i suoi risibili dogmi, e le sue mode. Una buona parte del successo del liberalismo viene dalla buona trasformazione delle imprese, dai migliori rapporti fra i lavoratori e l'impresa. Su questa strada abbiamo nell'ambito del sistema attuale una formidabile forza di rinnovamento. Autogestione? Ma io non credo affatto nemmeno alla cogestione. L'autorità è necessaria al processo produttivo: non bisogna costantemente rimetterla in causa. E anche alla società. Deve trasformarsi, adeguarsi, ma non può essere contestata e respinta".
Per lui, che cosa debba "trasformarsi" per rafforzarsi, è almeno chiaro. D'Ornano è anche lui "snob" ed è, davvero un giovane rappresentante di una vecchia "aristocrazia" (si fa per dire). Per il signor ministro dell'Industria di Giscard d'Estaing, tutto il problema è quello di rafforzare l'"autorità" a ogni livello.
E sarà poi vero che Giscard sosteneva con un altro ministro, proprio in quei giorni, che, se la sua destra si sentiva bene rappresentata e garantita da D'Ornano, non era nel suo stile di uomo e di presidente di contestarle anche il diritto alla stupidità? Ma allora: D'Ornano o Soisson? Torna il dubbio che questa sia la penultima spiaggia liberale: l'ultima e forse la buona non sarà piuttosto quella socialista?