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Archivio Partito radicale
ADP - 1 febbraio 1975
Schede di documentazione sul Partito Radicale (3)
realizzate da " ADP - Archivi di documentazione politica"

SOMMARIO: Senza la pretesa di offrire una analisi storica e politica, le schede sul Partito radicale realizzate dalla ADP forniscono, pur con alcune imprecisioni, una utile base documentale per la collocazione cronologica dei maggiori avvenimenti che riguardano il Partito radicale, dal 1955 al 1975.

Per una analisi approfondita di questo periodo di storia radicale devono evidentemente essere utilizzati gli altri documenti presenti nell'ARCHIVIO DEL PARTITO RADICALE e in particolare "I nuovi radicali" (1318 > 1327).

(ADP - Archivi di documentazione politica - La documentazione italiana editrice, 1975)

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1974

In relazione alle ipotesi formulate nel mese di gennaio del 1974 dalla stampa e secondo cui il repubblicano Spadolini avrebbe intrapreso una iniziativa parlamentare per evitare il referendum sul divorzio, il 15 gennaio la Segreteria nazionale del Partito radicale inviò all'on Ugo La Malfa un telegramma nel quale si esprimeva preoccupazione per le voci circa un estremo tentativo di compromesso sul divorzio, "ormai giovevole solo a disegni di disgregazione e di ritardo della campagna laica e divorzista sul referendum"; nel telegramma i radicali si dissero altresì perplessi che una tale iniziativa fosse partita proprio dal sen. Spadolini.

Il 20 gennaio in un teatro romano la lega per il divorzio tenne la manifestazione nazionale di apertura della campagna per la difesa della legge sul divorzio nel referendum abrogativo.

La manifestazione si tenne in concomitanza con il lancio della campagna per la raccolta delle firme per l'indizione degli 8 referendum popolari abrogativi delle già citate leggi "clericale, militariste e autoritarie" promossi dal Partito radicale. Alla manifestazione parteciparono anche Loris Fortuna e l'on. Baslini, firmatari della famosa legge sul divorzio.

Cinque mesi dopo il suo primo numero, il quotidiano del partito radicale 'Liberazione' sospese le pubblicazioni. Alla base della decisione, annunciata nell'ultima edizione del giornale del 30 gennaio 1975, non ci furono, secondo i radicali, soltanto le pressanti necessità economiche, (che pure avevano costretto da qualche tempo 'Liberazione' ad una diffusione limitata e ad una periodicità non più quotidiana) bensì una preminente volontà di protesta. Era scritto infatti nell'ultimo numero del giornale che le pubblicazioni cessavano "per sottolineare la gravità degli attacchi e delle discriminazioni di regime contro il Partito radicale, la lega per il divorzio ed il giornale stesso".

Cominciavano intanto in tutta Italia le manifestazioni in favore del divorzio: a Milano il 17 febbraio se ne tenne una, con l'adesione della Lega per il Divorzio, di movimenti giovanili e studenteschi, che vide la partecipazione di oltre un migliaio di persone. Parlarono tra gli altri Loris Fortuna, Camillo Benevento, segretario provinciale della UIL, e gli organizzatori Pannella e Mellini.

Numerosi oratori ricordarono la necessità di una campagna capillare di illustrazione della legge, sottolineandone vivamente il carattere di conquista civile e di libertà. Alcuni, e tra essi lo stesso Fortuna, rilevarono come la legge che introduceva nella nostra legislazione l'istituto del divorzio fosse una legge che tutelava un diritto e che lasciava libera la coscienza del credente circa il valore del sacramento. Non mancarono in alcuni interventi, soprattutto in quello di Pannella, attacchi al PCI, sostenendo che tale partito non era pienamente impegnato nella lotta per vincere il 'referendum' perché "troppo impegnato" a portare avanti il compromesso storico con la DC. E ancora vi furono degli attacchi alla senatrice comunista Carrettoni, "colpevole" di avere presentato una proposta di modifica della legge Fortuna-Baslini, e accusata di aver fornito con ciò stesso "armi all'avversario".

Il 20 febbraio Marco Pannella fu condannato a nove mesi di reclusione, assieme ai giornalisti Loeta e Signorino, dalla Corte d'Appello dell'Aquila, confermando la sentenza di primo grado già inflittagli per diffamazione nei confronti di Antonino Loiacono, pubblico ministero del caso Braibanti. Il 'leader' radicale si espresse dopo la sentenza con dichiarazioni fortemente critiche, svelando tra l'altro una circostanza che a parer suo avrebbe dovuto consigliare il rinvio del processo. "Con questo atto - disse - un ulteriore episodio di violenza delle istituzioni viene a contrapporsi alle più elementari esigenze non solo di giustizia, ma di legalità. Ci si è infatti costretti per celebrare il processo ad una difesa amputata, avendo tutti i difensori documentato il loro impedimento ad assistere gli imputati, per impedimenti di giustizia concorrenti".

L' 11 aprile 1974 in un comunicato congiunto del Partito radicale e della LID fu espressa una vibrata protesta per la esclusione delle due organizzazioni dalla partecipazione ai dibattiti televisivi della serie "tribuna del referendum". Nel comunicato inoltre le due organizzazioni divorziste dichiararono le propria opposizione alla proposta di fornire alla RAI una rosa di oratori per sceglierne alcuni, ad insindacabile giudizio della RAI stessa, da utilizzare in occasione di dibattiti collaterali che si sarebbero tenuti tra "esperti" in materia di divorzio. Nel comunicato si sottolineava inoltre che mentre la LID e il Partito radicale erano stati esclusi, "ha avuto il diritto di partecipare il movimento ultra reazionario di Civiltà Cristiana, notoriamente costituito da picchiatori e teppisti, che ha attaccato il Partito radicale senza che vi fosse alcuna possibilità di replica."

Il 19 aprile il segretario del Partito radicale, Giulio Ercolessi, e Marco Pannella della segreteria della LID diffusero una dichiarazione congiunta nella quale affermavano che l'opinione pubblica, in relazione all'eclatante episodio del magistrato genovese Sossi rapito dalle Brigate Rosse, doveva esigere dal Governo un intervento adeguato ed immediato affinché il giudice fosse salvato e liberato. "La libertà e la vita di un fascista, in democrazia, per un democratico, devono essere e sono preziose ancor di più della propria". Nel comunicato era affermato che chi aveva organizzato il sequestro stava perpetuando ormai consolidate abitudini al regime: "ogni volta che si trova o si sente in pericolo ci sono stragi o morti sospetti e clamorosi". E venivano citati i casi di Milano del 1969 e di Feltrinelli prima delle elezioni del 1972. "Alla vigilia del 'referendum' - proseguiva il comunicato - la scomparsa del magistrato di estrema destra non può non costituire un consapevole tentativo di indurre quanto meno qu

el 70 per cento di elettori della destra nazionale e quel 30 per cento di elettori della dc, che secondo le indagini demoscopiche sono favorevoli al divorzio, a ritornare sulle loro posizioni tradizionali".

Il 20 aprile il primo segretario del Partito radicale Giulio Ercolessi ed il presidente della LID Mauro Mellini inviarono al presidente Leone una lettera di protesta per le "discriminazioni di cui i movimenti per i diritti civili" erano fatti oggetto nel corso della campagna elettorale per il 'referendum', e informarono il Presidente che i 30 militanti radicali e della LID erano intenzionati a continuare il digiuno di protesta, in atto ormai da cinque giorni, fino a quando egli non ritenesse doveroso ricevere i rappresentanti del Partito radicale e della LID al Quirinale, per porre rimedio, nella sua qualità di garante della costituzione, agli attentati in atto contro la libertà politica delle minoranze radicali. La lettera a Leone concludeva affermando come già nel 1958, in circostanze analoghe, il Presidente Gronchi ricevette i rappresentanti del Partito radicale.

Nella stessa giornata del 20 aprile iniziarono in tutto il territorio nazionale le operazioni per la raccolta delle firme per l'indizione degli otto 'referendum' abrogativi promossi dai radicali. Nel darne notizia, un comunicato dei radicali precisò che le firme si potevano apporre presso le cancellerie di Tribunale e di Pretura, presso le segreterie comunali e presso gli studi notarili i cui elenchi erano presso la sede del partito.

Le manifestazioni per protestare contro l'esclusione dalla propaganda elettorale dei mezzi radiotelevisivi si estesero anche a Milano: pur non potendo contare su un gran numero di militanti, la LID e con essa il Partito radicale effettuarono nel capoluogo lombardo la loro azione con l'appoggio di tutte le forze di sinistra, dal PCI al PSI ai gruppi extraparlamentari che ne sostenevano la propaganda. Sette militanti del Partito radicale, tra cui il segretario nazionale, sistemarono un paio di tavoli proprio al centro della galleria con grandi tabelloni intorno e poi con un megafono si misero a spiegare alla gente che passava le ragioni della loro decisione: fino a quando il Presidente della Repubblica Leone non avesse ricevuto una delegazione del Partito radicale e della LID, non si sarebbero mossi da lì, o quantomeno avrebbero continuato uno sciopero della fame ad oltranza.

Ai primi di maggio, quasi allo scadere della data fatidica del 'referendum', venne reso noto che alcuni esponenti delle gerarchie ecclesiastiche erano stati denunciati dal segretario del Partito radicale, Giulio Ercolessi, per violazione dell'art. 98 del testo unico delle leggi elettorali, essendosi "particolarmente adoperati a sostegno della crociata sanfedista indetta dalla CEI". L'art. 98 infatti, come precisava un comunicato del partito - stabiliva che "il ministro di qualsiasi culto che abusando delle proprie attribuzioni e nell'esercizio di esse si adoperi a costringere gli elettori a vincolare i suffragi... è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni".

Dopo la tornata elettorale del 12 maggio, che vide la vittoria dei divorzisti, il Partito radicale diffuse una nota nella quale, rilevato che tutti avevano reso omaggio a quei cattolici che, sfidando le gerarchie e certamente a prezzo di notevoli sacrifici, avevano osato dichiararsi apertamente per il "NO", si affermava che da nessuna parte si era avuto il coraggio, la fermezza e la lucidità politiche di fornire una concreta, responsabile assicurazione affinché sul piano politico e civile i fermenti e le aspirazioni manifestate da questi credenti non fossero né riassorbite né consegnate "ai ricatti e alla sicura vendetta della gerarchia e della chiesa".

Pannella distribuì a suo nome un comunicato in cui affermava che molte altre lotte attendevano il suo partito, e molte ne avrebbe dovute affrontare il Popolo Italiano "per liberarsi di un regime che nelle stesse settimane in cui si preparava questa sua rovente sconfitta si è pericolosamente rafforzato con la legge sul finanziamento pubblico dei partiti e con l'acquisto delle ultime testate libere del Paese... L'abrogazione degli iniqui Patti Lateranensi e non la loro conferma attraverso la cosiddetta revisione, assieme all'abrogazione delle peggiori leggi militari e civili attraverso gli otto 'referendum' saranno la prossima irrinunciabile tappa dei radicali".

Lo stesso Pannella illustrò il 17 maggio in una conferenza stampa i motivi per cui il 3 maggio precedente aveva iniziato un altro digiuno: primo motivo la richiesta minima "giusta e necessaria" alla RAI dell'assegnazione di almeno un quarto d'ora di tempo alla LID e al Pr con le garanzie riconosciute alle emissioni elettorali, e la richiesta che venisse assegnato almeno un quarto d'ora a Don Franzoni sotto forma di intervista o colloqui con la stampa. Pannella disse poi che avrebbe digiunato sin quando il Capo dello Stato non avesse accolto la richiesta di udienza avanzata fin dal 15 aprile per informarlo delle gravi discriminazioni e situazioni sostanzialmente incostituzionali che si stavano determinando. "Digiunerò anche - aggiunse Pannella - fin quando il Parlamento non assolverà il suo dovere di prendere in considerazione la legge di regolamentazione dell'aborto presentata nel febbraio del 1973 dall'on. Fortuna e con essa la realtà umana e sociale che viene considerata e di pronunciarsi in merito". Pann

ella motivò quindi il suo digiuno con l'ulteriore ragione della difesa della libertà dell'informazione e della linea "laica democratica e antifascista" del giornale 'Il Messaggero'. Il leader radicale chiese "adeguate e incontestabili garanzie" che non si giungesse a "gravi e inadeguate forme di censura e di soffocamento" ai danni del Partito radicale. Pannella concluse la conferenza stampa augurandosi che queste richieste fossero presto accolte: l'esperienza oltre che l'evidenza, mostrano che mai abbiamo preteso di usare della civile e nonviolenta arma del digiuno per cercare di ottenere vantaggi o privilegi. Vi ricorriamo solo se costretti e per ristabilire dei diritti violati o negati".

"Accuso la Procura della Repubblica di Roma di avere assunto un atteggiamento persecutorio e politico". Così esordì in una conferenza stampa il 29 maggio, al Palazzo di Giustizia di Roma, Marco Pannella. Il 'leader' radicale parlò alla vigilia di un processo in Assise che lo vedeva imputato di vilipendio al governo e alle forze armate, nonché di istigazione ai militari a disobbedire alle leggi e, genericamente, di istigazione a delinquere. Per comprendere l'atteggiamento di Pannella va ricordato che il 21 dello stesso mese, quando si tenne la prima udienza del processo, l'avv. De Cataldo in qualità di difensore chiese invano la citazione di molti autorevoli testimoni quali Fanfani, Pertini e altri. In quell'occasione Pannella consegnò ai giornalisti un documento indirizzato alla Corte ed in cui era minimamente anticipato il suo atteggiamento processuale per ribellarsi a quello stato di cose: avendo la Corte respinto la richiesta di testimoni che aveva lo scopo di far rivivere ai giudici l'atmosfera del 1972

(cui si riferiva il capo d'imputazione), il processo non aveva più ragion d'essere, rappresentando un atto di "violenza pubblica". Conseguentemente Pannella rispose con la "nonviolenza", intendendo tenersi l'eventuale sentenza di condanna, non presentando appello.

Ma il processo fu sospeso: la terza Corte d'Assise, accogliendo un'istanza della difesa, ordinò la trasmissione degli atti all'ufficio del pubblico ministero al fine di accertare se esistevano gli elementi per l'estensione dell'azione penale anche a carico dei componenti della direzione del Partito radicale i quali avevano dichiarato, nella precedente udienza, di essere autori con Marco Pannella di tutti gli scritti incriminati. (Le accuse di vilipendio alle varie istituzioni venivano a Pannella in quanto furono perpetrate in alcuni articoli apparsi il 29 marzo 1972 su 'Notizie Radicali', il giornale del partito di cui era responsabile). La lettura dell'ordinanza fu accolto dagli applausi dei moltissimi radicali astanti. Al termine dell'udienza Pannella dichiarò che il significato politico di una così "eccezionale decisione giudiziaria" era chiaro: la Procura della Repubblica di Roma aveva istituito quel procedimento per motivi politici e, secondo il 'leader' radicale, in modo quanto meno incomprensibile sul

piano tecnico e giuridico. "Faremo di conseguenza un esposto al Consiglio superiore della Magistratura perché si indaghi per accertare se non esistano estremi di gravi mancanze professionali nella conduzione di questa iniziativa".

Il 2 giugno, festa della Repubblica, come di consuetudine i radicali organizzarono in concomitanza con la tradizionale parata delle Forze Armate una manifestazione, consistente in lancio di manifestini in cui si contestava il fatto che "la celebrazione di una Repubblica fondata sul lavoro" fosse festeggiata con una parata militare. Quella fu però la prima volta che la manifestazione radicale si concluse con degli arresti. In genere la polizia gli altri anni si era limitata a fermare i giovani che effettuavano il "volantinaggio"; nel 1974 furono invece arrestate sei persone per il reato di vilipendio alle Forze Armate, peraltro messe subito dopo in libertà provvisoria, non si sa se per la bonarietà del PM di turno o se per il subitaneo "sit-in" di protesta effettuato da Pannella ed i suoi seguaci dinanzi alla questura centrale per chiedere il rilascio dei fermati.

Episodi del genere si verificarono anche in altre parti d'Italia. Il segretario del Partito radicale Giulio Ercolessi il 17 giugno denunciò alla Procura della Repubblica alcuni carabinieri che avevano arrestato il 9 giugno, a Trieste, durante una manifestazione antimilitarista, il membro del CC del partito, Marino Busdachin, e altri tre pacifisti che stavano distribuendo volantini. Secondo i radicali i Carabinieri avevano "attentato" ad un preciso diritto politico, garantito dalla Costituzione, impedendo ai quattro pacifisti fermati di diffondere un volantino; Giulio Ercolessi manifestò anche l'intenzione di costituirsi parte civile a nome della segreteria nazionale del Partito radicale.

Commentando i risultati delle elezioni in Sardegna (cfr. Attività Politica), il 18 giugno la segreteria del Partito radicale sottolineò che "il forte spostamento a sinistra che si è verificato nelle elezioni sarde è un'ulteriore conferma del potenziale di alternativa democratica e socialista che esiste nel Paese". I radicali affermarono che era innegabile la forte relazione esistente tra il successo del "NO" che si era verificato il 12 maggio in Sardegna e le elezioni regionali. Accanto al consistente, per i radicali, aumento registrato dal PCI, dal PSI e dal PSDI, altro dato significativo di quei risultati era nel fatto che i partiti laici nel loro complesso si assestarono elettoralmente per la prima volta nella storia della Sardegna sulla percentuale raggiunta con i voti del 'referendum', "con lievi ed insignificanti differenze".

Il 26 gennaio 1974 Pannella tenne una conferenza stampa per illustrare i motivi che lo avevano indotto ad intraprendere 51 giorni prima uno sciopero della fame. Egli ricordò che erano state respinte le richieste della LID di partecipare ai dibattiti svoltisi alla televisione in occasione della campagna per il referendum: lamentò che solo alcuni organi di stampa avevano dato notizia delle iniziative di cui i radicali si erano fatti promotori in quegli ultimi anni; disse inoltre che, solo dopo 78 giorni dalla presentazione della loro richiesta, il Presidente della Repubblica aveva deciso di ricevere radicali e LID in udienza. Pannella annunciò anche il proposito di chiedere alla nuova proprietà del quotidiano 'Il Messaggero' garanzie sull'effettiva "conferma della linea laica" del giornale. "Chiediamo - disse - un preciso documento di garanzia in tal senso che sottoporremo nei prossimi giorni prima al comitato di redazione, per eventuali correzioni, e poi alla nuova proprietà, cioè alla Montedison, per quello

che se ne sa; chiederemo inoltre la pubblicazione integrale del documento e di un commento di tre cartelle giornalistiche da parte della LID e del Pr sul giornale"

Ma Pannella rimase deluso almeno per quanto riguardava l'udienza con il Capo dello Stato: un comunicato del Quirinale informò infatti il giorno stesso che l'udienza era stata annullata. Immediata la reazione dei radicali, che definirono "inspiegabile" l'atteggiamento del Quirinale. Per contro, il giorno dopo una delegazione del partito si presentò lo stesso all'udienza, con la motivazione che l'annullamento non era stato comunicato ufficialmente né al Partito radicale né alla LID, né per lettera né telegraficamente. La delegazione era composta in rappresentanza del Partito radicale da Angiolo Bandinelli, Liliana Ingargiola, da Gianfranco Spadaccia e da Roberto Cicciomessere, e in rappresentanza della LID da Mellini, De Cataldo, De Marchi e altri. Non essendo naturalmente stata ricevuta, la delegazione consegnò alla segreteria del Quirinale una lettera di protesta. In proposito la Segreteria nazionale del Partito radicale convocò il Comitato Centrale, per dare "una risposta adeguata alla iniziativa del Presid

ente".

Ed il 29 si svolse appunto tale sessione straordinaria del Comitato Centrale. In quell'occasione fra la Presidenza della Repubblica ed "i nonviolenti" la polemica assunse un tono sempre più aspro. Spadaccia affermò che era falso che la fantomatica udienza fosse stata concessa a titolo personale, come si affermava negli ambienti del Quirinale, perché non risultava da nessuna comunicazione ufficiale. Ma era vero invece che l'udienza era stata fissata per Mellini ed Ercolessi, il primo appartenente alla LID, il secondo al partito. Di sua spontanea volontà Elena Croce, la figlia del filosofo, si era prodigata per fare ottenere ai radicali l'incontro richiesto da alcuni mesi. Il segretario generale della presidenza, Picella, a detta di Gianfranco Spadaccia, le rispose che il Presidente era disposto a ricevere Marco Pannella, sperando di indurlo a desistere dal digiuno. Nel chiarire il perché del rifiuto all'incontro, il servizio stampa del Quirinale precisò che il rifiuto di Leone era stato motivato dalla improvv

isa e autonoma decisione di inviare una delegazione ufficiale ad un'udienza che era stata concessa a "titolo personale" esclusivamente per Ercolessi e Mellini. "Mellini ed Ercolessi - disse Spadaccia - non avevano nulla di personale da raccontare al Presidente". La delegazione, cioè, intendeva illustrare al garante dei diritti delle minoranze la problematica dei nonviolenti: aborto, progetti di legge giacenti da anni in Parlamento, il voto ai diciottenni, gli scandali insabbiati, etc.

Il Comitato Centrale del Partito radicale tornò a riunirsi il 6 luglio, e fece il punto sulla situazione delle battaglie che il gruppo stava conducendo, appoggiato dai digiuni di Pannella e di una quarantina di altri militanti. Il segretario Spadaccia rilevò l'appoggio del Partito Socialista alle iniziative radicali, e l'invito a svolgere azioni comuni; "per quanto riguarda il problema dell'aborto - aggiunse - si registrarono dissensi all'interno di tutti partiti. Per il resto la voce radicale comincia a ricevere consensi: ad esempio Pannella giorni fa lanciò la proposta di inasprire le pene per gli esportatori di capitali, ed ecco che la Democrazia Cristiana si è pronunciata su questo problema. Non solo, ma da tredici giorni a questa parte si è registrata una ripresa dell'attività parlamentare".

Secondo Marco Pannella, giunto ormai al 65.mo giorno di digiuno, (sembra che andasse avanti con vitamine e bicchieri di latte macchiato, per l'esattezza quattro cappuccini al giorno), era il momento di intensificare le iniziative anche perché se i vertici dei partiti si mostravano disponibili su certi temi, non c'era però la volontà politica di risolverli. "Quello che noi chiediamo - disse - non lo vogliamo subito. Per ora pretendiamo che sul problema dell'aborto venga fissato il dibattito parlamentare; che per il voto ai diciottenni entro la fine dell'anno venga approvato il disegno di legge; che insomma l'iter parlamentare e le leggi che lo regolano vengano rispettate". Pannella aggiunse che si era ormai al 6 luglio, e che alla fine del mese le Camere sarebbero andate in vacanza. Il Partito radicale in quei giorni avrebbe invece intensificato la sua azione con comizi pubblici ed altre iniziative, non ultima quella per la raccolta delle firme per un nono referendum: per l'abrogazione della legge sul finanzi

amento pubblico dei partiti.

Pannella informò altresì che avrebbe richiesto di nuovo di essere ricevuto dal Capo dello Stato: "stavolta chiederemo a quaranta esponenti del mondo della cultura di firmare la richiesta assieme a noi. Vedremo se arriverà un nuovo rifiuto. Presenteremo a Leone un libro bianco, un capitolo del quale è dedicato anche alla Presidenza della Repubblica".

Finalmente alle 18 del 18 luglio il Presidente della Repubblica Leone ricevette in forma privata Marco Pannella.

Nel corso del colloquio, durato 45 minuti, Pannella fece presente al Capo dello Stato la necessità di ricevere i rappresentanti del Partito radicale e quelli della LID per uno scambio di vedute. Sulla conversazione il Partito radicale rese noto in seguito che il Presidente Leone, dopo avere espresso la propria stima e la propria attenzione per l'impegno civile di Pannella, gli fece presente di non poter concedere udienza ai rappresentanti del partito e della LID per non mettere in causa una prassi più che decennale che differenziava le forze politiche in parlamento dalle altre.

Al termine dell'udienza al Quirinale Marco Pannella fece una dichiarazione in cui esprimeva il suo ringraziamento al Capo dello Stato e la constatazione sulla impossibilità del Presidente a interrompere la già citata prassi decennale sulle udienze. Prassi che Pannella ricordò come già ampiamente criticata da ogni parte, e a cui i radicali e la LID opponevano una obiezione di principio che in pratica si traduceva nella conferma della richiesta di udienza. "La situazione - concluse Pannella - resta dunque questa: un dissenso nella chiarezza e nel reciproco rispetto".

Nella sera della stessa giornata Pannella apparve in Televisione quale partecipante al dibattito, approvato dal comitato per le direttive culturali dei programmi radiotelevisivi, sul diritto di famiglia. Sulla mancata pubblicizzazione di questa trasmissione da parte della RAI la LID emanò un comunicato di protesta. "Proprio nel corso di un colloquio col direttore generale Bernabei - diceva il comunicato - Pannella aveva ricevuto assicurazione che non solo l'ufficio stampa avrebbe svolto regolarmente il suo compito di informazione in questa occasione, ma viste l'importanza e la serietà del tema, esso avrebbe dovuto essere stato mobilitato in modo adeguato e non di routine".

Derogando ad una consuetudine consolidata da dieci anni di impegno nella "marcia antimilitarista" che dal 25 luglio al 4 agosto di ogni anno si svolgeva da Milano a Vicenza prima e da Trieste ad Aviano negli ultimi anni, il Partito radicale e la LOC (Lega degli obiettori di coscienza) decisero di spostare per il 1974 la manifestazione a Roma. Le "dieci giornate contro la violenza", come furono definite dagli stessi organizzatori della manifestazione, furono dedicate ognuna ad una battaglia civile che i radicali si proponevano di porre all'attenzione delle forze politiche e sociali del Paese. Il programma completo prevedeva la giornata contro la violenza della Chiesa, dell'Esercito, delle polizie, della Giustizia, dei padroni, della falsa informazione e contro la violenza verso i giovani, le donne e la libera sessualità. Durante le "dieci giornate", alle quali aderì anche il Partito Socialista Italiano, i radicali cercarono di inviare quanti più giovani possibile sulle strade romane per raccogliere adesioni a

gli otto referendum che si proponevano di far celebrare.

Il 1· agosto incominciarono frattanto i colloqui della delegazione del Partito radicale e della LID con i segretari dei partiti politici. Franco De Cataldo (LID) e Spadaccia (Pr) furono ricevuti dal segretario del PSDI, Flavio Orlandi, e nel pomeriggio dello stesso giorno dal segretario del PCI, Berlinguer. "Abbiamo sollecitato questi colloqui - dichiararono Spadaccia e De Cataldo - per investire direttamente le responsabilità dei partiti della necessità di fissare con precisione l'iter parlamentare della legge sul diritto di famiglia e di quella sul voto ai diciottenni".

Il 2 agosto i radicali chiesero ufficialmente, con una serie di telegrammi, l'immediata rimozione o la sospensione dall'incarico del direttore generale della RAI-TV, Ettore Bernabei, e degli altri massimi dirigenti dell'Ente. Fu anche deciso di presentare contro i rappresentanti della RAI "una denuncia per truffa e per omissione d'atti d'ufficio di incaricato di pubblico servizio, e un'istanza per immediati provvedimenti cautelativi e di urgenza".

La rimozione dei dirigenti della RAI era giustificata, secondo i radicali, dalle sentenze della Corte Costituzionale, proprio di quei giorni, che avevano confermato che "da almeno dieci anni la RAI-TV si muove su un terreno di violazione dei diritti-doveri costituzionali dell'informazione e contro i diritti fondamentali del cittadino". La situazione era diventata ancora più insostenibile, aggiungevano i radicali, perché mentre tutta la stampa nazionale e gran parte di quella estera davano ampio rilievo alle iniziative di lotta del partito e del LID, la RAI-TV aveva praticato una sempre maggiore censura sul piano dell'informazione, "una totale disinformazione a livello dei servizi giornalistici e di ogni altro settore e rubrica".

Il 7 agosto Marco Pannella inviò ad Agnelli, a Cefis e a Girotti un telegramma per sollecitarli a concedergli un colloquio, avvertendo peraltro che, se non avessero aderito alla sua richiesta, avrebbe continuato a digiunare ad oltranza (digiunava ormai da innumerevoli giorni). Nel telegramma era scritto che le massime autorità dello Stato avevano da tempo accolto le richieste di udienza di Pannella, e che si erano avuti incontri con tutti i massimi esponenti dei partiti democratici, i quali avevano fatte proprie le rivendicazioni avanzate dai radicali e che concernevano problemi di loro competenza. "Comprendendo che le responsabilità del potere economico in Italia - diceva Pannella nel suo telegramma - specie per quanto la riguarda, sono spesso anche maggiori dei formali poteri del Capo dello Stato e del governo. Ma è anche per questo che intendo incontrarla a nome e per conto del Partito radicale e della LID".

Nell'ambito dei contatti con gli esponenti dei partiti, il 12 agosto le delegazioni del Partito radicale e della Lega Italiana per il Divorzio furono ricevute a Palazzo Madama dai rappresentanti dei gruppi parlamentari della DC, del PCI, del PSI e del PSDI. Nel corso dei colloqui gli esponenti radicali ribadirono la necessità di una rapida discussione e approvazione delle proposte di riforma del diritto di famiglia e di quelle relative all'estensione del voto ai diciottenni. Come informò un comunicato, al gruppo DC le delegazioni furono ricevute dal presidente dei senatori, Bartolomei, dal vice segretario del partito, Ruffini, e dalla senatrice Falcucci, delegata femminile della DC e responsabile del gruppo per la Commissione Giustizia; al gruppo comunista il colloquio si svolse con i senatori Giglia Tedesco, Lugnano e Petrella; al gruppo socialista, con il presidente Zuccalà e i senatori Rossi e Talamona; al gruppo socialdemocratico con il presidente, sen. Ariosto; le delegazioni si incontrarono anche con i

l vice presidente del Senato, Tullia Carrettoni.

Il 17 agosto, dopo quasi cento giorni di lotta nonviolenta, Pannella, volle fare un bilancio, in una conferenza stampa nella sede del Partito radicale, delle iniziative radicali. Pannella, che finalmente aveva sospeso dopo 94 giorni esatti lo sciopero della fame, affermò di avere smesso il digiuno dopo aver constatato il "sostanziale raggiungimento" degli obiettivi che il Pr e la LID si erano preposti.

"In questi tre mesi - sottolineò l'esponente radicale - stampa e televisione hanno dedicato alle azioni del movimento per i diritti civili tre volte più spazio di quanto ne abbiano dedicato nell'intero decennio che va dal '63 al'74". Pannella rilevò quindi il valore particolare assunto dal suo colloquio con il Presidente Leone. "Se il Presidente specificò - non ha ritenuto di modificare una prassi che non gli consente di ricevere in udienza i rappresentanti delle minoranze politiche, tuttavia egli ha in pratica innovato rispetto a questa tradizione, ricevendo per una consultazione politica un privato cittadino".

Ed ecco l'elenco degli obiettivi raggiunti dopo il lungo digiuno di protesta, che vide impegnato non solo Pannella ma numerosi altri militanti. Aborto: il presidente della Commissione Sanità della Camera si impegnò a concludere l'esame in sede referente entro un anno.

Voto ai diciottenni: tutti i gruppi politici del Senato si impegnarono a concludere entro ottobre il dibattito ed il voto su quella legge, che subito dopo sarebbe stata assegnata alla competente commissione della Camera.

Diritto di famiglia: la DC nel suo incontro con la delegazione radicale escluse "categoricamente" ogni volontà ostruzionistica ed accettò i suggerimenti per una accelerazione della discussione in commissione.

Quanto alla RAI-TV, Pannella, mentre confermò la marcia di protesta in programma per il 20 settembre, ricordò l'accordo raggiunto per l'attribuzione alla LID di uno "spazio televisivo" della durata di mezz'ora complessiva nonché l'impegno a realizzare un servizio sul dissenso cattolico (Don Franzoni ed altri preti "emarginati"). In autunno inoltre sarebbe stato dato il via alla campagna per la non collaborazione e lo sciopero fiscale.

Da tutto ciò Pannella trasse la conclusione che l'azione nonviolenta era l'unico strumento di lotta efficace a disposizione delle minoranze. Riguardo la strategia del movimento per i diritti civili, il 'leader' radicale rammentò che si poteva riassumere in due parole d'ordine: trasformare ogni sopruso in elemento di scontro politico; restaurare la legalità repubblicana ogni qual volta questa sia violata.

A fine agosto il segretario nazionale della LID Marco Pannella rese noto in un intervento apparso sul 'Corriere della Sera' i risultati di due sondaggi effettuati dalla Demoskope su iniziativa del Partito radicale. L'85 per cento degli interrogati ritenne che il progetto del Partito radicale "otto 'referendum' contro il regime" fosse un progetto politico "di sicuro aiuto al funzionamento democratico delle istituzioni, ed in particolare del Parlamento"; il 78 per cento era favorevole all'abrogazione delle norme del concordato; l'82 per cento per quelle del codice penale; l'89 per cento per quelle dei codici militari; il 75 per cento su quelle per la stampa. Era questa una riprova, dopo la pubblicazione dei sondaggi sull'aborto, che, era detto in un comunicato del Partito radicale, la politica radicale sui diritti civili riscuoteva nel Paese una maggioranza ormai molto più vasta di quella del 13 maggio. Su questa politica il Partito radicale e la LID rivolgevano un appello a tutta la sinistra affinché la face

sse propria come alternativa al regime DC.

Il secondo sondaggio rilevava inoltre che il 25 luglio solo il 6 per cento degli Italiani aveva dichiarato di conoscere l'esistenza del Partito radicale e l'80 per cento quella della LID. Ciò malgrado, il 3,9 per cento degli interpellati dichiarò che avrebbe votato "probabilmente o sicuramente" per le liste elettorali del Partito radicale, se fossero presentate; tra questi, il 12 per cento erano elettori DC, il 10 per cento della destra nazionale, il 10 per cento elettori del PLI, il 19 per cento del PRI, l'8 per cento del PSDI, il 17 per cento del PSI, il 7 per cento del PCI, l'8 per cento dichiaranti di non votare nulla o scheda bianca, mentre il 9 per cento erano nuovi elettori.

Nel suo intervento sul 'Corriere', il segretario nazionale della LID rilevò che stando così la situazione i potenziali elettori radicali sarebbero stati più numerosi del PRI o del PLI, ma che per un'indicazione di alternativa del regime ci si doveva piuttosto augurare che l'intera sinistra elaborasse un programma comune di governo includendo le rivendicazioni del movimento dei diritti civili, usando a fondo inoltre, come il Partito radicale ed il Paese lo richiedevano, lo strumento democratico dei 'referendum' popolari.

Il 4 settembre 1974, con i loro cartelli di protesta sotto il braccio, tre nonviolenti, guidati da Marco Pannella, riuscirono a farsi ricevere dall'on. Umberto delle Fave, presidente della RAI-tv. L'incontro avvenne nella sede dell'Ente, a Roma. L'ingresso della delegazione, composta oltre che da Pannella da Maria Costanza Lopez (Movimento di liberazione della donna) e da Cicciomessere e Baldassarri (Partito radicale), era stato preceduto da una manifestazione di "nonviolenti", i quali protestavano contro l'ordinanza del Pretore romano che, secondo loro, rifiutava all'utente il diritto di pretendere dalla RAI-tv l'obiettività dell'informazione, la imparzialità nella rappresentazione delle idee e l'apertura a tutte le correnti di pensiero. Un giornalista s'era rivolto al magistrato per ottenere un provvedimento (di urgenza) contro l'ente accusandolo in sostanza di non essersi adeguato alla recente sentenza della Corte Costituzionale sulle diffusioni radiotelevisive. Il ricorso era stato respinto.

Il colloquio con Umberto delle Fave, fiancheggiato dopo un po' da Ettore Bernabei, durò circa due ore. Il presidente della RAI ascoltò le ragioni esposte dalla delegazione: dall'aborto al voto ai diciottenni e al diritto di famiglia. Era indispensabile, sostenevano i radicali, che la RAI-tv affrontasse la delicata tematica con dei servizi completi e obiettivi. La RAI, avrebbe ammesso Delle Fave a detta dei radicali, avrebbe parlato di tutto questo, ma senza fissare un termine preciso. E proprio a questo punto che Delle Fave mandò a chiamare Ettore Bernabei; alla presenza del direttore generale, Marco Pannella elevò la sua protesta per il "giallo" che fece da sfondo ai quindici minuti di video che poco tempo addietro aveva "strappato" all'Ente. Si parlò infatti di un surrettizio cambiamento di programma, comprendente quello in cui figurava Marco Pannella, al fine di non provocare una polarizzazione di telespettatori verso l'oratoria del "digiunare". Per i radicali ciò fu semplice: bastò cioè non darne l'annun

cio ai giornali. In effetti pochi furono i telespettatori che ebbero agio di sentire Pannella. Nonostante l'ufficio stampa della RAI avesse commentato: "E' stato un incontro normalissimo e sereno", i radicali comunicarono di non voler rinunciare alla loro "Marcia" sulla RAI, prevista per il 20 settembre.

Intanto, sempre nella giornata del 4 settembre, la segretaria nazionale radicale indisse per i giorni 1, 2 e 3 novembre, a Milano, il Congresso nazionale del Partito. E commentando l'episodio della RAI, come informava un comunicato, il Comitato Centrale del Partito radicale "ha confermato gli impegni assunti, per imporre contro la violenza delle istituzioni messa in atto dal regime non solo contro le minoranze, ma contro la generalità dei cittadini, la reintegrazione della legalità nel campo della informazione pubblica e della televisione".

E, come promesso, il pomeriggio del 20 settembre ebbe luogo l'annunciata "marcia sulla RAI-tv". Circa quattrocento persone, precedute da un complesso jazz sistemato su un autocarro, intonando alcune musichette, si fermarono dapprima alcuni minuti in via del Babuino, sede del giornale radio, scandendo 'slogans' ed issando numerosi cartelli con i quali si incitava la riforma della RAI e si chiedeva l'abolizione del monopolio radiotelevisivo in Italia. Poco dopo i "marciatori" (oltre ai 'leaders' radicali c'erano il sindacalista Camillo Benvenuto e Marco Pannella della LID) raggiunsero la sede della direzione generale in viale Mazzini. Alcuni oratori parlarono da un palco eretto fin dalla mattina, dopodiché la manifestazione si sciolse nel più completo ordine.

La marcia concluse le due giornate di lotta unitaria, diceva un comunicato radicale, per una informazione democratica, per la costituzionalità e la lealtà dell'informazione pubblica, a sostegno della riforma delle strutture e della gestione della RAI-tv. "La sentenza della Corte Costituzionale - spiegarono gli organizzatori - ha proclamato solennemente l'illegalità e l'incostituzionalità dell'informazione radiotelevisiva, così come da dieci anni è stata imposta al Paese dalla RAI-tv".

A Torino nella stessa giornata alcune decine di aderenti al Partito radicale e ad altri gruppi minori parteciparono ad una manifestazione "di protesta contro la passata ed attuale gestione della RAI-tv", "occupando simbolicamente" e solo per una mezz'ora l'atrio della sede amministrativa della RAI, in via Cernaia.

Ma nonostante il crescendum di iniziative, i radicali ebbero una grossa delusione non riuscendo a raccogliere le 500.000 firme necessarie per promuovere gli otto referendum sui diritti civili programmati a suo tempo. Il 30 settembre scadde infatti il termine per consegnare alla suprema Corte di Cassazione le firme dei richiedenti gli otto 'referendum'. Le firme erano meno della metà del numero richiesto. Di questo risultato dell'iniziativa radicale parlò il 24 settembre Angiolo Bandinelli, presidente del Comitato Centrale del Partito radicale, rilevando che all'inizio di settembre le firme raccolte erano 130.000. Bandinelli affermò in ogni caso che ovunque i radicali erano stati in grado di apprestare un'organizzazione per raccogliere le firme, lì la risposta popolare fu massiccia ed immediata. Il numero delle richieste di referendum, secondo Bandinelli, non fu di ostacolo alla raccolta di adesioni ma, al contrario, le facilitò: circa il 90 per cento dei firmatari aveva sottoscritto tutte le richieste di re

ferendum. "Abbiamo incontrato in questa campagna - disse - difficoltà e ostacoli d'ogni genere: difficoltà e resistenze di carattere politico, come l'abbandono della campagna da parte del 'Manifesto', del PDUP e di 'Lotta continua', che ci avevano a più riprese assicurato la loro adesione; l'ostilità dichiarata del PCI e, durante il referendum sul divorzio, anche del PSI; la conseguente chiusura delle fabbriche alla nostra iniziativa - continuò Bandinelli - nonostante l'appoggio della maggioranza dei sindacalisti della UIL in tutte le sue componenti. Ma anche ostacoli di ordine istituzionale, a cominciare dalla difficoltà di disporre di autenticatori per la raccolta delle firme, per finire - concluse Bandinelli - con il comportamento della RAI che ha circondato l'iniziativa radicale della più assoluta censura."

Il 13 e 14 ottobre si riunì il Comitato Centrale del Partito radicale, ultima riunione prima del Congresso nazionale indetto per novembre. Temi del dibattito, introdotto da una relazione del segretario nazionale Gianfranco Spadaccia, furono la grave crisi politica e le scelte che il Congresso avrebbe dovuto compiere.

Intervenendo nel dibatto Mauro Mellini disse che con il referendum del 12 maggio il Paese nella sua grande maggioranza aveva dimostrato di voler chiudere definitivamente e rapidamente un'epoca iniziata il 18 aprile 1948. "La vera causa della crisi - disse - è in questa contraddizione fra le esigenze di alternativa maturate ormai nel Paese e l'apparente impossibilità di dare ad esse uno sbocco politico conseguente. Dalla crisi non si esce senza impostare e risolvere il problema posto da questa contraddizione."

Nel corso del dibattito si registrò un'ampia convergenza, come affermava un comunicato degli stessi radicali, da parte di tutti gli intervenuti nel considerare i diritti civili e lo strumento istituzionale dei referendum come un terreno di scontro e confronto politico su cui la sinistra doveva affrontare la DC e l'intero schieramento "clerico-fascista", senza il quale sarebbero risultate indebolite le lotte sociali e le iniziative parlamentari.

Un primo confronto si ebbe sulle strategie che il partito avrebbe dovuto seguire: Giulio Ercolessi, già primo segretario del partito, disse che il Congresso avrebbe dovuto rilanciare la raccolta della firme per gli otto referendum, lanciando contemporaneamente una campagna nazionale per l'abrogazione del finanziamento pubblico dei partiti.

Franco De Cataldo propose che il Partito radicale portasse avanti la politica dei diritti civili e la stessa iniziativa dei referendum ricercando l'accordo e la più ampia convergenza possibile con le forze laiche e in particolare con il PSI ed il PCI.

Secondo Roberto Cicciomessere, invece, la crisi del regime non consentiva tempi lunghi ed iniziative intermedie. Essa esigeva una risposta politica generale da parte di tutta la sinistra. Il Partito radicale doveva perciò proporre, pur portando avanti le proprie iniziative, un confronto agli altri partiti della sinistra che consentisse di gettare le basi di un programma e di uno schieramento alternativo della Democrazia Cristiana. In mancanza di ciò il partito avrebbe dovuto mobilitarsi fin da quel momento per presentarsi autonomamente alle elezioni politiche anche nell'ipotesi di consultazioni anticipate.

A conclusione dei lavori il Comitato Centrale approvò un documento in cui era detto tra l'altro che "l'attuale crisi di governo rischia di tradursi in un ulteriore motivo di paralisi del Parlamento, delle sue funzioni di controllo, delle sue attività legislative". Il documento aggiungeva che "alla crisi economica e politica si aggiunge così, per volontà della DC, una crisi istituzionale e legislativa che non può essere aggravata da un ricorso ad elezioni anticipate" e che "di fronte a questa ipotesi i partiti di sinistra non devono aspettare passivamente, come avvenne nel 1972, una eventuale decisione del Capo dello Stato di scioglimento delle Camere, ma devono sviluppare immediatamente la lotta per il passaggio delle riforme, perché sia chiaro che chi vuole imperdirle e affossarle è la stessa forza politica che ha consentito in questi anni l'aggravamento della crisi economica. La vittoria del 13 maggio non deve rimanere senza seguito e senza sviluppi".

I lavori del XIV Congresso del Partito radicale, iniziati il 1· novembre 1974, si conclusero nella giornata del 4 con la decisione, che avrebbe poi dovuto tuttavia essere confermata a maggioranza assoluta dal Comitato Centrale, di presentare liste elettorali radicali alle prime elezioni. Il Partito radicale si pronunciò a favore anche del rilancio dei referendum abrogativi.

Non tutti i radicali furono d'accordo per la partecipazione del partito alle elezioni. In contrapposizione alla mozione in tal senso di Spadaccia e Bandinelli, fu presentata un'altra mozione (firmata da Palazzo, Castiglione e Colombo) contraria alla presentazione di liste elettorali. La prima mozione fu però approvata con 156 voti favorevoli, 19 contrari e 32 astenuti. Trasformata in emendamento che chiedeva la convocazione di un congresso straordinario per l'eventuale partecipazione del partito alle competizioni elettorali, la mozione di Palazzo, Colombo e Castiglioni fu respinta. Una terza mozione, presentata da Sonnino e Mancini, fu ritirata dopo che i firmatari avevano ricevuto da Spadaccia e Bandinelli "la garanzia politica" che a decidere la presentazione delle liste sarebbe stata la maggioranza assoluta del nuovo Comitato centrale.

A proposito delle imminenti scadenze elettorali, e in particolare di fronte all'ipotesi di elezioni anticipate, la mozione Spadaccia-Bandinelli impegnava gli organi del partito, le associazioni radicali, i singoli militanti, a mobilitarsi sin da quel momento per la presentazione di liste radicali. "Se non si verificheranno all'interno della sinistra fatti nuovi, se non si metteranno in moto dinamiche innovatrici e alternative nel senso indicato dalla mozione, il Partito radicale non potrebbe infatti sottrarsi al dovere di dare, anche sul piano elettorale, portando la propria iniziativa anche all'interno delle istituzioni parlamentari, una espressione politica alle esigenze indilazionabili della democrazia italiana".

Affermato che "il primo diritto civile da conquistare e da attuare è il diritto al referendum", la mozione confermò pertanto la validità del "progetto di referendum abrogativo approvato dal precedente congresso e già tentato lo scorso anno", e diede mandato agli organi dirigenti del partito di precisare le "modalità del suo rilancio nel corso del 1975, con le modifiche che nei contenuti si rivelassero eventualmente opportune". Il documento conclusivo del congresso rivolse a questo proposito "un appello a tutte le forze democratiche, politiche e sindacali, parlamentari ed extraparlamentari, affinché comprendano l'importanza di questa iniziativa, come momento di mobilitazione dal basso di vasta partecipazione popolare al processo di democraticizzazione dello Stato, e perché non ripetano l'errore già in due occasioni commesso nel passato di ostacolarne e boicottarne la realizzazione".

Illustrando i punti salienti della mozione, Spadaccia sostenne tra l'altro che la costruzione di "una grande forza socialista e libertaria è la condizione essenziale per una politica di alternativa democratica di sinistra". Il Partito radicale - aggiunse il segretario - rafforzando le proprie strutture, intende dare il proprio contributo autonomo alla prospettiva di questa nuova costruzione unitaria, non con un'azione agitatoria che valga solo come pressione nei confronti dei partiti parlamentari, della sinistra e dei sindacati, ma promuovendo e sviluppando nuove lotte di libertà e di liberazione, diventando punto di riferimento e di coordinamento federativo dei nuovi movimenti libertari, democratici e socialisti nazionali e locali, lavorando per creare nuove condizioni di democrazia e per dare ad esse adeguati sbocchi politici ed istituzionali".

Il giorno prima parlò Marco Pannella, segretario della LID, il quale oltre ad illustrare gli obiettivi del nuovo movimento politico "Lega 12 Maggio" per i diritti e le libertà civili da lui costituito, fece un esame della situazione politica nazionale ed internazionale, dal punto di vista radicale. Pannella sostenne che era in atto "un vero tentativo di truffa ideologica" attuato dal capitalismo investito ovunque, e particolarmente in Europa, da una grande crisi. "Si afferma - disse il segretario della LID - che la crisi dell'Europa è stata provocata dagli sceicchi che hanno aumentato il prezzo del petrolio. La verità è un'altra, perché l'aumento di prezzo dei prodotti energetici è fonte di ulteriori profitti per le società multinazionali e americane che così agendo e tenendo in mano altre fonti di energia sono convinte di mantenere il loro potere nel mondo per altri decenni". Dopo criticò quanto fu fatto in Italia negli anni precedenti nei settori dell'energia nucleare e della petrolchimica, "impedendo - di

sse - di dare corpo ad un mercato europeo che le società multinazionali e americane temono".

Affermato poi che negli anni '50 la DC aveva "fascistizzato" l'esercito, Pannella criticò le posizioni assunte dai partiti alla vigilia del 4 novembre. "Quando tutti i partiti dichiarano che l'esercito è sano - affermò - non posso non pronunciarmi contro questa falsità perché io non conosco un ufficiale generale o un ufficiale colonnello che abbia riconfermato la sua fedeltà alla costituzione repubblicana sconfessando gli ufficiali golpisti".

Riferendosi alla relazione congressuale del segretario del partito Spadaccia, Pannella concordò sulla necessità di riproporre gli otto referendum. Dopo aver approvato l'indicazione congressuale per uno sciopero nazionale degli studenti per rivendicare il voto ai diciottenni, Pannella disse che occorreva organizzare la disobbedienza civile dei proprietari di piccoli appartamenti per non fare pagare loro l'una tantum "dal momento in cui la tassa non è pagata dall'immobiliare vaticana".

Pannella parlò poi del movimento da lui recentemente costituito precisando che solo dopo il Congresso radicale avrebbe fatto un "ulteriore passo decisivo" e avrebbe diffuso un manifesto. "Sarà la nostra - disse - una battaglia unitaria di sinistra per fare un grande movimento socialista per le libertà civili".

Il 5 novembre la segreteria nazionali del Partito radicale espresse, in un comunicato, "il suo dissenso per le forme ed i contenuti con cui la sinistra parlamentare ha partecipato alle celebrazioni del 4 novembre". Secondo i radicali "le recenti rivelazioni sui tentati golpe" dimostravano che le Forze Armate erano ancora "inquinate da gruppi antirepubblicani", per cui si rendeva necessario realizzare una "profonda bonifica" nelle strutture militari, bonifica che non poteva essere risolta solo a livello di vertice, ma doveva prevedere forme di controllo e partecipazione democratica di tutti gli appartenenti delle Forze Armate.

Il comunicato dei radicali concludeva sostenendo che la posizione delle forze repubblicane e democratiche che "hanno giustificato la loro presenza alle celebrazioni del 4 novembre all'insegna dell'esaltazione delle Forze Armate sostenendo che esse sono interamente fedeli alla repubblica", rischiava di indebolire "quei settori delle Forze Armate, soldati e graduati, che si battono per una forte democratizzazione e controllo politico delle stesse a partire dalla conquista delle libertà civili costituzionali e sindacali, e quegli altri militari, che a partire da una chiara proposta democratica sono recuperabili alla fedeltà repubblicana".

Il 9 novembre i radicali invitarono tutte le forze di sinistra a indire unitariamente una giornata nazionale (il 30 novembre) per il voto ai diciottenni. L'invito, partito dal segretario del Partito radicale Gianfranco Spadaccia, fu rivolto alle federazioni giovanili del Psi, del Pci e del Pri, al Pdup, ai gruppi di Avanguardia Operaia e Lotta continua, e prevedeva manifestazioni a Milano, Firenze, Roma, e, in quanto possibile, nelle altre città. Il comunicato che dava notizia dell'iniziativa radicale affermava inoltre che occorreva battere "il tentativo della DC e del MSI di impedire l'approvazione della legge sull'abbassamento della maggiore età, e si augurava di "realizzare almeno su questo problema un momento unitario".

Il 27 novembre Pannella si incontrò con i giornalisti giudiziari in vista della ripresa (6 dicembre) del processo del quale era imputato nella sua qualità di responsabile del periodico 'Notizie radicali', per vilipendio a varie istituzioni dello Stato. Il processo (vedi mese di messaggio) era stato sospeso e gli atti erano stati restituiti al PM, poiché in quell'occasione, ricordiamo, tutti i componenti della direzione radicale si autoaccusarono dei reati ascritti a Pannella. Ora però, a conclusione del supplemento di istruttoria, il PM chiese l'archiviazione del procedimento contro i componenti della direzione del partito, insistendo invece sulle accuse a Pannella.

Incontrandosi con i giornalisti, Pannella e i suoi difensori, De Cataldo e Mellini, formularono alcune considerazioni. De Cataldo rilevò l'ineccepibilità, sotto il profilo giuridico, della decisione del magistrato, pur ritenendola discutibile sul piano politico. Pannella affermò invece che il processo si configurava come un grave atto politico, con il quale si tentava di muovere un attacco alla libertà di stampa. Secondo Pannella, "allorché si incrimina un direttore di una pubblicazione che è poi organo di un partito, si intende in sostanza far pagare ad una persona ciò che è invece una delibera politica del partito stesso".

1975

L'inizio del 1975 vide il Partito radicale coinvolto in uno "scandalo", che scaturì dalla scoperta a Firenze di una clinica dove, pareva, si praticava come attività principale l'aborto e, pare, con la piena consapevolezza e l'appoggio dei radicali. Venne addirittura insinuato che molti dei proventi del partito provenissero dalle illecite attività praticate in quella clinica. In reazione a tali fatti il 13 gennaio il Partito radicale sporse querela contro i direttori del quotidiano 'Il Secolo d'Italia' e del settimanale 'Candido', che appunto sostenevano tali tesi. Nel comunicato che ne dava notizia si sottolineava che il Partito radicale "è l'unico partito italiano che pubblica non solo i propri bilanci annuali, ma pubblica anche integralmente le fonti delle sue entrate". Alla dichiarazione poi del sostituto procuratore della Repubblica di Firenze, Padoin, secondo cui le responsabilità dei fatti di Firenze erano da ascriversi al segretario del Partito radicale, lo stesso Spadaccia replicò affermando che seco

ndo le stime più caute gli aborti clandestini che in quel periodo si praticavano ogni anno in Italia non erano meno di un milione e mezzo, e che indagini sociologiche effettuate nei quartieri periferici e nelle borgate avevano dimostrato che, per mancanza di altre forme di assistenza sanitaria, la massa di donne di condizione proletaria conosceva.

"Per quanto riguarda i ceti borghesi è lecito supporre che nella maggioranza delle cliniche private si pratichino aborti. Noi chiediamo - concluse Spadaccia - al dr. Podoin: che cosa ha fatto la Magistratura italiana per applicare la legge nei confronti di tutti?" Ma per tutta risposta il magistrato fiorentino spiccò mandato di cattura nei confronti di Gianfranco Spadaccia, il cui arresto suscitò scalpore in tutto il Paese. Il Partito radicale tenne una conferenza stampa, alla quale parteciparono il vicesegretario Cicciomessere, Silvia Grillo del MLD e Marco Pannella, e in cui fu chiesta la scarcerazione di tutti gli arresti, la revoca dei mandati di cattura, ed un'immediata iniziativa parlamentare per cancellare le norme "fasciste". Rivendicata la corresponsabilità della segretaria del partito con le dichiarazioni di Spadaccia, che ne avevano all'arresto, Cicciomessere annunciò l'imminente apertura di centri CISA (Centro Italiano sterilizzazione e aborto, federato al Partito radicale) in varie città d'Itali

a.

L'avv. De Cataldo riferì poi del suo incontro in carcere con Spadaccia, di cui era difensore, affermando che questo era stato arrestato per le sue dichiarazioni rese alla stampa, "quindi per le sue assunzioni di responsabilità politica". Ma per la legge non v'era alcun problema: Spadaccia era praticamente reo confesso. "Tra gli scopi del nostro partito - disse Spadaccia al giudice Casini che lo interrogò nel carcere di Firenze - c'era anche quello di reperire locali e medici per praticare l'aborto in condizioni di sicurezza e in maniera pubblica". Spadaccia dichiarò di avere assolto ai suoi componenti politici, realizzando quanto il congresso del partito, svoltosi nel precedente novembre, gli aveva dato mandato di fare.

Non mancarono le autoaccuse, come quella di Pannella che in un articolo apparso sul Mondo sosteneva di essere "manifestazione associato" a Spadaccia e ai suoi compagni "con posizioni oggettive di massima responsabilità sostanziale nella promozione della disobbedienza civile nei confronti della iniqua legge che pretende di condannare ad un aborto criminale milioni di donne".

Il 19 gennaio il presidente della Camera Pertini ricevette una delegazione radicale che gli espose vive preoccupazioni per le modalità e il significato dell'arresto del segretario nazionale, Gianfranco Spadaccia, e sollecitò il Parlamento perché avviasse l'esame della legge socialista secondo l'impegno assunto anche dal presidente della Commissione Sanità. Pertini, come informò un comunicato del Pr, si dichiarò disponibile sui problemi posti, assicurando la sua disponibilità ed il suo intervento. Pertini affermò anche però che non si poteva comunque sperare che l'iter parlamentare potesse essere rapido e tempestivo.

Nella stessa giornata il Consiglio federativo del partito confermò la "corresponsabilità politica di tutto il partito nell'azione di disobbedienza civile effettuata dal centro d'informazione sulla sterilizzazione e sull'aborto, tesa al mutamento della legge fascista", e decise di continuare a sostenere politicamente l'azione del Cisa stesso, nonché di portare a compimento l'opera intrapresa "sul sostegno alla prosecuzione delle attività del centro e sull'effettuazione del convegno nazionale sull'aborto, a Roma alla fine del mese". Nello stesso tempo diede mandato alla segreteria di chiedere un incontro con il Presidente del Consiglio Moro e con i segretari dei partiti democratici, per sbloccare la situazione venutasi a creare dopo l'arresto di Gianfranco Spadaccia, per il quale "sarà indetta una campagna nazionale con iniziative anche dirette, le più dure, e con una giornata nazionale unitaria".

 
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