di Gianfranco SpadacciaSOMMARIO: Il voto del 15 giugno ha sconvolto la strategia del compromesso storico, ma non ne ha messo in crisi il nucleo centrale: l'assurda pretesa che le garanzie di libertà debbono essere assicurate alla DC e alla Chiesa e non al paese e alla classe. I contenuti dei cinque referendum rimangono il banco di prova di ogni politica alternativa. Dall'8 al 14 settembre "settimana nazionale" dei referendum. Iniziativa rispetto alle Regioni e al Parlamento.
di Gianfranco Spadaccia
(NOTIZIE RADICALI n. 39, 29 agosto 1975)
Quella parte della borghesia che ha fondato le proprie fortune - durante il trentennio democristiano - sul privilegio corporativo e sul saccheggio sistematico del patrimonio pubblico reagisce con atteggiamenti dissimili al voto del 15 giugno: c'è il timore, se non ancora il panico, che precede sempre nei ceti dominanti i grandi cambiamenti politici e sociali quando fanno prevedere se non la fine almeno una forte penalizzazione dei privilegi di classe di ceto e di corporazione; ma c'è anche, diffuso in ampi settori di questi stessi ceti sociali, il tradizionale trasformismo italiano, la fiducia che anche con i comunisti si potrà trattare, che sia pure in una cornice politica diversa e più severa quei privilegi potranno essere conservati, quando non addirittura la corsa ad ingraziarsi quelli che vengono ritenuti già oggi i nuovi padroni. C'è una coincidenza significativa fra le indecisioni che caratterizzano oggi la crisi della Democrazia Cristiana e gli atteggiamenti di questi ceti sociali che del potere demo
cristiano sono stati contemporaneamente i grandi elettori e i maggiori beneficiari. C'è la speranza e l'illusione di un "comunismo all'italiana", la cui diversità non dovrebbe consistere nella capacità di realizzare un socialismo e nel costituire una nuova variante trasformistica e gattopardesca nella storia del potere in Italia.
I processi sociali e politici, i mutamenti culturali e di costume, la presa di coscienza di massa da parte di settori molto ampi della piccola borghesia, del sottoproletariato, della stessa borghesia della crisi di un sistema e della ingiustizia e intollerabilità di un regime sono avanzati con ritmi e con tempi che non erano stati previsti dalle classi dirigenti della sinistra. Il potere locale si è dislocato dopo il 15 giugno nelle regioni, nei comuni, nelle provincie in maniera talmente radicale da sconvolgere la strategia comunista del compromesso storico e da ribaltare la strategia socialista del rapporto preferenziale con la Dc. Ma ciò che non è morto, che non è stato messo in crisi, che non è stato ribaltato dal risultato del 15 giugno è il nucleo centrale della strategia del compromesso storico: cioè la pretesa di fondare proprio sul rapporto con la DC la garanzia della continuità del quadro costituzionale e della democraticità dell'accesso del PCI al potere dello Stato e dello stesso processo di real
izzazione di uno stato e di una società socialista.
Ogni dibattito sul pluralismo, sulla democrazia, sulle garanzie di libertà, lo stesso dibattito sul Portogallo risente di questo vizio e di questa distorsione.
Come socialisti, come libertari, come radicali diciamo che questi sono problemi reali, il nodo non risolto davanti al quale è fallito ogni progetto di rivoluzione socialista (se non si scambia un processo rivoluzionario con l'atto della presa del potere o anche con il mutamento di ceti e di classi nell'acceso al potere). Ma queste garanzie non vanno date alla DC, alla Chiesa, agli americani, ai padroni di ieri e di oggi, ma vanno date al paese, ai cittadini, al nuovo blocco sociale che si va formando e sul quale si può edificare uno stato davvero democratico e una società socialista, e innanzitutto e soprattutto alla classe operaia.
E' questo il vero punto della polemica e del dissenso con il PCI: e non riguarda tanto la strategia del compromesso storico come politica di alleanze o come possibile transitoria combinazione di maggioranze (che sarebbe condizionata da processi politici e sociali che si muovono, come i fatti hanno dimostrato, in direzione dell'alternativa); tiene piuttosto conto del pericolo reale che questa strategia si sviluppi come compromesso concordatario di potere fra due Chiese, fra due o più potenze, fra i padroni di domani e quelli di oggi (perché quando i padroni di oggi fossero finalmente spazzati via, nulla garantirebbe che i governanti di domani non si comporterebbero anch'essi come padroni).
Non sono i concordati, i compromessi di potere, un pluralismo inteso come salvaguardia corporativa delle strutture politiche e sociali esistenti, comprese quelle in via di disfacimento che possono garantire lo statuto delle libertà socialiste e esorcizzare lo spettro di uno statalismo burocratico, autoritario e repressivo. La nuova democrazia socialista deve nascere da una politica democratica di classe.
C'è un banco di prova su cui si può e si deve verificare subito questa politica democratica di classe nei prossimi mesi, nel Parlamento e nel paese, su cui ogni componente libertaria della sinistra comunista, socialista, repubblicana, autenticamente democratica deve misurarsi con chiarezza e con intransigenza.
C'è innanzitutto il problema dell'aborto: a settembre si riunirà il comitato ristretto costituito dalle commissioni riunite sanità e giustizia della Camera per l'unificazione dei progetti di legge. C'è davvero qualcuno, anche fra i comunisti, che possa ritenere il progetto democristiano unificabile con i progetti di legge laici e in particolare con quello socialista e repubblicano? Il PCI ritiene davvero che, dopo la maturazione che è avvenuta nell'opinione pubblica, dopo che sono state raccolte 800.000 firme di cui 700.000 autenticate regolarmente e fornite di certificazione elettorale, e di fronte alla gravità e alle dimensioni di massa dell'aborto clandestino, il suo progetto di legge sia ancora difendibile? Questo è ancora un Parlamento a maggioranza democristiana e fascista. Ogni compromesso con questa maggioranza sarebbe una truffa e una presa in giro. Significherebbe non risolvere il problema per anni e consentire che per anni si protragga ai danni di milioni di donne questo massacro di massa. L'unica
unificazione accettabile dai firmatari della richiesta del referendum e dalla parte laica del paese che nella sua maggioranza ha votato comunista è intorno ad un progetto di legge che preveda l'aborto libero e gratuito in strutture sanitarie pubbliche nei primi tre mesi di gravidanza. Al di fuori di questa soluzione c'è una sola strada democratica: accettare il referendum e difenderlo contro chi volesse impedirlo. E' una scelta che vale per l'immediato, ma vale a maggior ragione in prospettiva: il diritto al referendum, il diritto del popolo di legiferare deve essere riconosciuto e garantito.
C'è il problema delle leggi repressive sull'ordine pubblico. Queste leggi sono impotenti contro le vecchie e nuove mafie siciliane e calabresi che ormai dominano anche nelle altre regioni italiane, e contro le nuove forme di criminalità. Sono leggi invece efficacissime contro il piccolo delinquente e contro l'emarginato sociale. Abbiamo visto corti di giustizia trasformate in veri e propri plotoni di esecuzione contro poveri diavoli. Assistiamo all'uso indiscriminato delle misure di sicurezza e di prevenzione da parte delle questure. Vediamo protrarsi a tempo indeterminato, grazie al rifiuto delle libertà provvisorie, le carcerazioni preventive di imputati che spesso al momento del processo sono riconosciuti innocenti.
Come tutte le leggi eccezionali non combattono la criminalità, ma servono soltanto ad aumentare le condizioni di emarginazione, di sconfitta e di disperazione sociale e personale e quindi a diffondere e ad aggravare la criminalità. Occorre combatterle sulla stampa, nelle aule di giustizia, davanti alla Corte costituzionale, ma anche nel paese e nelle aule del Parlamento. Il PCI usi la sua forza parlamentare per ottenere la modifica e l'abrogazione almeno delle più gravi di queste norme e per togliere dalle mani dei prefetti e dei questori lo strumento delle diffide e dei fogli di via. Il PSI non abbia timore di essere tacciato di incoerenza perché qualche mese fa fu costretto, anche dal comportamento del PCI, a votare la legge sull'ordine pubblico. E' proprio il contrario che deve temere.
C'è il nuovo regolamento di disciplina militare, ci sono i tribunali e i codici militari.
C'è il problema del sindacato di polizia.
Ci sono i reati d'opinione e sindacali. Il PCI ha presentato un suo progetto di legge. Non coincide con il nostro progetto di referendum, ma gli chiediamo di pretendere che sia discusso e approvato. E chiediamo ai deputati socialisti di presentare un proprio progetto di legge che recepisca il contenuto della nostra richiesta di referendum.
E c'è infine, il problema del Concordato, la grande speranza dell'on. Moro, su cui fa affidamento anche l'on. Zaccagnini. Su questo ancora una volta la parte più avveduta della Democrazia cristiana tenta di puntellare le traballanti fortune del partito di regime.
Rimuovere queste leggi e questi ordinamenti non è ancora certo la nuova carta e il nuovo statuto delle libertà socialiste. E' appena la faticosa e ritardata conquista di alcune fondamentali libertà della rivoluzione borghese, libertà di cui sempre le classi oppresse si sono fatte scudo quando le hanno possedute e potute rivolgere contro il potere della borghesia che le rinnegava e per le quali hanno dovuto lottare per strapparle alla borghesia quando erano state soppresse. Di questo è fatta anche la storia del movimento operaio italiano. Ma esse indicano una direzione, forniscono una garanzia sulla strada che si vuole intraprendere: garanzie di libertà e di diritto per le donne e gli uomini, i cittadini, i soldati, i credenti, la classe, e non garanzie a sfere di potere per i corpi separati, le gerarchie militari la Chiesa, la Democrazia cristiana, questa o quella corporazione, l'una o l'altra potenza.
E' su questo che ogni socialista, ogni radicale, ogni libertario deve al Partito comunista il massimo di chiarezza e se necessario di intransigenza.
Probabilmente quando questa scelta centrale sarà stata compiuta, essa avrà un effetto libertario sul dibattito ideologico e programmatico dell'intera sinistra. Perché una cosa è certa: le stesse classi dirigenti che dicono di trascurare i problemi di libertà perché premute dalla gravità e dall'urgenza delle lotte sociali e di classe, si presentano di fronte a questa crisi prive di programmi davvero alternativi e risolutori, non diciamo solo dei grandi programmi ideali e politici attraverso cui deve passare lo sforzo creativo di costruzione della società socialista, ma anche dei programmi più immediati e urgenti per dare una risposta alla crisi economica e ai più gravi squilibri della società italiana.