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Spadaccia Gianfranco - 16 novembre 1975
LA PROVA RADICALE
di Gianfranco Spadaccia

SOMMARIO: Il segretario del Partito radicale indica le scelte del partito per il programma comune di governo della sinistra:

un milione di firme per attuare la costituzione, difesa del referendum, proposta di federazione al PSI, preparazione delle liste elettorali per il '76.

(NOTIZIE RADICALI n. 46, 16 novembre 1975)

Ancora un anno fa dovevamo batterci per difendere il diritto alla vita del Partito radicale, contro i tentativi di abrogarci. Oggi non è più possibile ignorarci. E alla censura per soppressione si è sostituita la censura per falsificazione o per diffamazione. Stampa, televisione, partiti politici, gruppi extraparlamentari partecipano al nostro congresso, ma ne colgono soltanto alcuni aspetti, e ne distorcono volutamente il dibattito.

Facciamo un'analisi della situazione politica ed economica dopo il 15 giugno. Diciamo che questa situazione non consente i tempi lunghi che sembrano caratterizzare tattiche e strategie degli stati maggiori della sinistra. Poniamo perciò il problema di un programma di legislatura, di riforme economiche, sociali, istituzionali che costituisca una chiara candidatura della sinistra alla direzione politica del paese.

Con una sinistra che ha, da sola, ormai il 47 per cento dei voti e che quindi è a un passo dalla maggioranza assoluta, poniamo inoltre il problema di portare finalmente a compimento l'obiettivo che già nel '47 Piero Calamandrei indicava alla sinistra come prioritario: l'attuazione della Costituzione. Proponiamo perciò, da qui alle elezioni politiche, la raccolta di un milione di firme intorno a una serie di progetti di legge di iniziativa popolare per fare della prossima legislatura la legislatura della piena reintegrazione della legalità repubblicana.

Solo brevi cenni di cronaca sono dedicati a queste proposte e a questi impegni programmatici, ma l'attenzione si concentra su un'altra proposta, importante ma secondaria, e chiaramente ancorata a queste analisi e a questi impegni programmatici: quella di un possibile rapporto di federazione tra partito radicale e partito socialista. Oppure si ripropone la vecchia e logora polemica sulla nostra pretesa estraneità alla lotta di classe; e contro i diritti civili che, isolati da una strategia classista, darebbero luogo a una politica subalterna agli interessi di classe della borghesia. Lezioni di marxismo e di coerenza socialista ci vengono impartite dai nostri compagni della "sinistra di classe", e perfino da Mariotti (ed è tutto dire).

O ancora, come ha fatto Riccardo Lombardi, si ripropone la polemica sul nostro laicismo e anticlericalismo in termini che sembrano oggi - dopo quanto è accaduto - francamente incredibile se non fossero soltanto incredibilmente vecchi.

Quando tutto questo non basta ci si attribuiscono cose che non ci siamo mai sognati di dire: secondo il Manifesto avrei parlato dei "fondi neri" a proposito dei finanziamenti del PDUP quando di "fondi neri" ho parlato ma solo a proposito di alcuni partiti parlamentari; secondo il "Quotidiano dei lavoratori" Pannella avrebbe detto che la vittoria sul divorzio è stata dovuta non alla lotta delle masse ma alle contraddizioni della borghesia, mentre Pannella si è limitato a contrapporre il Messaggero e il Corriere della Sera dei Perrone e delle Crespi a quelli degli Ottone, dei Pietra e dei Fossati e a dire che dobbiamo alle scelte e alle contraddizioni di quei "padroni" e di quei "grandi borghesi" se si è potuto battere il compromesso Carettoni e si è potuti giungere al referendum, che noi sapevamo si sarebbe vinto.

Bene, compagni. Abbiamo sconfitto l'anno scorso la censura per soppressione. Sconfiggeremo ora la disinformazione, la falsificazione e la diffamazione che sono la nuova forma di censura che ci vengano riservate.

Finito il congresso, tornati a Roma, siamo di nuovo alle prese con i problemi di sempre: i socialisti Claudio Signorile e Maria Magnani Noya sono parte attiva dell'indecoroso compromesso che si sta raggiungendo in sede di comitato ristretto. Senza di loro il compromesso non sarebbe possibile. Signorile dice che il referendum deve essere evitato. Maria Magnani Noya scopre che l'abrogazione della legge vigente lascerebbe un vuoto legislativo e non risolverebbe il problema dell'aborto libero e gratuito... Cambiano i nomi, ma la storia è la stessa. Ieri, per il divorzio, erano le Carettoni e i Manca, oggi per l'aborto sono i Signorile le Magnani Noya a lavorare contro il diritto del popolo al referendum e contro il diritto della donna a una legge giusta, e umana, rappresentanti di un socialismo subalterno alle strategie e agli interessi di potere della DC e del PCI.

Ricordando un polemico racconto di Calvino degli anni '50 "(la grande bonaccia"), e riferendosi alla vignetta di Zac pubblicata sulla copertina del "Mondo", il compagno Massimo Teodori ha argomentato che sarebbe esaurita la funzione del "brigante" radicale. Non esisterebbero più le condizioni della guerriglia radicale degli scorsi anni, perché la bonaccia è finita, le flotte sono di nuovo in movimento, gli eserciti regolari hanno smesso di logorarsi in una eterna guerra di posizione, le grandi armate sono scese in campo.

Il succo di questo discorso è che tutto torna ai partiti storici della sinistra italiana (cioè le grandi armate)? Che lì e solo lì si gioca la carta del rinnovamento della sinistra italiana? Che anche il partito radicale dovrebbe accontentarsi, come le altre forze minoritarie di nuova e vecchia sinistra, di esercitare un ruolo di pressione e di opinione rinunciando a imporre disegni e lotte alternative?

E' vero. E' finita l'epoca del "brigante radicale", della guerriglia condotta da piccoli manipoli di partigiani. Questo lo sappiamo da almeno tre anni. E infatti non siamo più il Partito Radicale di Marco Pannella e di duecento militanti. Siamo il partito dei tremila militanti di oggi e, speriamo, dei diecimila di domani. Non bastano più i manipoli partigiani che agiscono di sorpresa. Occorre una grande armata partigiana, popolare e non-violenta, di liberazione, pronta a unirsi ai grandi eserciti regolari quando arriveranno, non per sciogliersi, e per delegare ad essi la prosecuzione della lotta di liberazione, ma per dissolvervisi e per trasformarli.

Dobbiamo attraversare con le nostre proposte, come ci hanno detto al Congresso Fortuna e Artali, tutto il dibattito congressuale socialista dai congressi sezionali fino al congresso nazionale.

Dobbiamo affrontare in maniera decisa il dibattito e il confronto con i partiti e i gruppi della sinistra extraparlamentare, senza settarismi, ma anche senza complessi di inferiorità, con la consapevolezza che la lotta di classe o è politica democratica di classe o è soltanto agitazione rivendicativa e velleità rivoluzionaria.

Dobbiamo prepararci a scendere ancora una volta con i tavoli davanti alle fabbriche, alle scuole, agli uffici, nelle piazze e nelle strade, per raccogliere il milione di firme che ci siamo proposti contro il concordato, i tribunali militari, il codice Rocco, la legge Reale, e per il sindacato di polizia e i diritti politici, civili e sindacali dei militari.

Dobbiamo riprendere con le armi della disubbidienza civile, non violenta, collettiva e organizzata, le lotte per la difesa del referendum, contro la droga, per la libertà sessuale, per la difesa delle minoranze, di tutte le minoranze.

E dobbiamo prepararci fin d'ora, se sarà necessario, ad affrontare anche la scadenza elettorale.

E', ancora una volta, una difficile prova, quella radicale. Ma dobbiamo affrontarla come le precedenti, per superarla vittoriosamente. Non è ancora venuto il tempo per abbandonare il campo e per trasformarci in consulenti di strategia degli stati maggiori degli eserciti regolari: un compito per il quale non abbiamo nessuna vocazione e nessuna attitudine.

 
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