All'indomani del congresso tenuto a Firenze dal partito radicaledi Marco Pannella
SOMMARIO: "Psi e Pci devono pronunciarsi nell'immediato sulla proposta di referendum per l'abrogazione delle leggi fasciste e del concordato." Riserve sulle prospettive organizzative del Pr
A conclusione del congresso tenuto a Firenze dal partito radicale, siamo lieti di pubblicare un commento di Marco Pannella, che chiama in causa anche quella parte dei nostri lettori che si riconoscessero nei destinatari del suo appello.
(IL MONDO, 25 novembre 1975)
"Roma. Come andrà", mi chiedo e mi chiedono, questo nuovo assalto radicale ai fondamenti autoritari, ai monumenti fascisti-antifascisti-diccì-piccì, nei contenuti e nei metodi, cui s'è inchiodato lo stato repubblicano e umiliata e offesa la democrazia italiana?
Il XV congresso del Pr ha mutato, per conservarlo, il progetto dei referendum abrogativi, l'ha irrobustito e reso più ambizioso, costrettovi dalle circostanze giuridiche che non consentono la raccolta di firme di richiesta dei referendum popolari nell'anno precedente le elezioni legislative. Il Pci, ma anche il Psi e tutti gli altri, perdono così un alibi nella loro lotta, ostilità o sordità e timidezza contro le battaglie civili per l'attuazione della Costituzione tradita e la conquista di nuovi, essenziali diritti civili. L'aria fritta dei referendum "sovversivi" e comunque offensivi del parlamento non potrà più continuare ad esserci ammannita. I radicali, proponendo che si consenta a un milione di cittadini di firmare, questa primavera, proposte di legge di iniziativa popolare sostitutive delle norme fasciste che da Rocco a Reale sono state imposte al nostro diritto positivo, dei codici militari, degli iniqui e anticostituzionali trattati clericofascisti del Laterano, chiedono alla sinistra italiana di as
sociare il paese, di far partecipare i cittadini democratici alle lotte parlamentari che essa proclama di aver condotto e di condurre per il rinnovamento democratico e costituzionale della Repubblica, da trent'anni, spesso inutilmente.
La sinistra perbene e storica, "grande" e responsabile, dovrà ora spiegare perché non è d'accordo nemmeno con questo progetto. Fra tanto parlare d'alternativa, vedremo quanti nuovi chierici delle analisi-correte e dei problemi-reali sapranno mettere in causa quei comportamenti tradizionali (loro tanto quanto degli avversari-di-classe) contro cui un'alternativa qualsiasi, per modesta che sia, deve muoversi immediatamente. Ma, come accadde per il centrosinistra che dovette innanzitutto mettere in crisi l'antagonista radicale recuperandone una parte (la più prestigiosa e debole), già c'è qualche segno che l'"alternativa", gattopardesca deve tentare, anch'essa, di passare sul corpo dei radicali di oggi. La logica delle cose, ad esempio, sembra già aver ridotto a ragione di regime gli ex radicali dell'Ara, diaconi e suddiaconi del nuovo rito romano, "nuovo", per ora, quanto l'altro; ora si convocano d'Oltralpe dei de Lubac e Danielou del socialismo, sperando in qualche nostro Villot. Per neutralizzare rischi di r
iforma e di rivoluzione anche le venature giansenistiche possono alla fine sembrare buone: sono allogene e, trapiantate; possono forse servire meglio per abrogare gli indigeni più pericolosi... I quali farebbero bene a non sopravvalutare questi rischi, vecchi e scontati. Ma a non sottovalutare invece quelli più intimi e pericolosi che possono venir loro da loro stessi.
Da quel che ho letto sulla stampa e che m'è stato riferito ho infatti qualche timore sul come i miei compagni radicali hanno affrontato il dibattito congressuale relativo al progetto che poi hanno pur fatto loro, con stragrande maggioranza di voti. L'importanza che hanno finito per assumere l'ipotesi di una accettazione socialista (quanto improbabile!) di un patto federativo fra Psi e Pr e quella di una assunzione delle responsabilità, statutariamente previste, di partecipazione alle elezioni; e ancora la vecchia solfa della "assenza" radicale da altre lotte sociali, economiche e politiche, mi sembrano manifestazioni di scarsa consapevolezza della gravità e delle difficoltà di attuazione del programma radicale per il prossimo anno.
Quali saranno, da chi e quando e come saranno elaborate, le proposte di legge di iniziativa popolare che dovranno già fra qualche settimana esser pronte, per esser sottoposte al giudizio del movimento radicale nel suo assieme, e a quella del congresso del partito socialista e ben presto dell'intero paese? Il congresso, sembra, non se n'è nemmeno occupato.
"Come si raccoglieranno" le firme, dove, con quali mezzi, con quali metodi, in quali luoghi; quali sono i precisi, concreti impegni che si richiedono alle organizzazioni federate ed a quelle collegate o amiche? Con quali organi di stampa, con quali possibilità, da conquistare, di comunicazione e di organizzazione nazionale?
I compagni radicali che hanno davvero condotto lotte radicali in questo decennio m'intendono. Al loro posto, già avrei i brividi.
E si è forse discusso di come in concreto realizzare tra breve quella preparazione delle liste in tutte le circoscrizioni o in tutti i collegi, quella sorta di "simulazione" di presentazione che non potrebbe però ridursi solamente a questo, ma dovrebbe costituire un'occasione di crescita organizzativa, di mobilitazione militante?
E si è certi che sia sufficiente recitare come una litania i "titoli" delle leggi che si vogliono, e di quelle che si vogliono abrogare?
Certuni, mi dicono, hanno visto con sospetto un congresso articolato soprattutto, quasi esclusivamente, per commissioni di lavoro. Una visione declamatoria e tradizionale del "dibattito" e del confronto congressuale ha paralizzato questa scelta, che è stata fatta a metà.
Se queste sono le critiche, i dubbi, gli interrogativi che mi sembra utile e giusto avanzare, l'essenziale è altrove. E' nella conferma che mi sembra sempre più evidente dell'insostituibile e primaria funzione rivoluzionaria e riformatrice, di vera alternativa socialista, libertaria, laica, del partito radicale. Nulla mi sembra possibile, nulla, senza il crescere e l'affermarsi di questa candidatura politica di libertà e di liberazione, di ordine nuovo e liberale, costituzionale e repubblicano. La geografia politica italiana sta comunque per mutare. I malagodiani e i tanassiani, nonostante continuino ad usufruire dei caroselli pubblicitari di regime, stanno per raggiungere i covelliani, scomparendo nella squallida fossa dei brutti ricordi di questo ventennio. Almirantiani e lamalfiani ne risulteranno ingrossati, probabilmente con il concorso degli elettori dell'estrema destra e del centrismo democristiano in crisi. Ma non per questo rappresenteranno altro che sottocorrenti del potere. I comunisti sembrano og
gettivamente preoccupati di garantire ai governi, qualsiasi governo, una forza autoritaria pressoché unanimistica, lasciando all'opposizione solo quello che possa essere riconducibile ad immaturità plebea, a marginalità eretica, a irresponsabilità utopica. Il loro ordine nuovo s'annuncia, se non mutano rapidamente politica, come ordine corporativistico.
Non restano che socialisti, extraparlamentari comunisti, radicali. In attesa che il Psi da una parte, Pdup, Ao e Lc dall'altra, ci propongano anch'essi, se lo vorranno, se lo potranno, qualche progetto e programma, qualche sbocco politico già per oggi o a partire da oggi, il partito radicale ha la responsabilità e il compito di dar corpo a quel che promette e annuncia, cui il suo passato ci obbliga a dar credito. Ma quanti, fra coloro che con me così pensano, si comportano di conseguenza? Quanti fra i lettori di questo giornale, ad esempio, potendolo, s'organizzano attorno a questa speranza, la sorreggono? E' l'altro aspetto del problema.