di Gianfranco SpadacciaSOMMARIO: "Hai detto che per dei socialisti l'aborto va affrontato soltanto sul piano pratico, nei suoi aspetti di ingiustizia di classe. Con ciò liberandoti e gettando nella spazzatura non solo la tematica del diritto all'aborto e dell'intera tematica della liberazione femminile ma anche di uno dei due termini che nella lotta per l'aborto ci uniscono ai socialisti (l'aborto libero e gratuito)"
(NOTIZIE RADICALI n. 151, 28 novembre 1975)
Caro Riccardo, ho ascoltato con notevole stupore le tue affermazioni sull'aborto in tutta la prima parte del tuo intervento conclusivo al convegno della sinistra socialista sulla condizione femminile. Affermazioni tanto gravi da far pensare e sospettare a chi non ti conoscesse di trovarsi di fronte ad altri Lombardi ugualmente ma tristemente noti e non a te. Alcuni esempi che hai portato, in difesa della tesi di Signorile (Beethoven, quinto figlio di una famiglia di tarati, tutti nati malformati o handicappati anche mentalmente), appartengono insieme alla paccottiglia di una cultura positivistica da socialismo di altri tempi e all'armamentario tradizionale del terrorismo clericale. Spero che queste affermazioni siano attribuibili al malessere e all'irritazione per la contestazione di cui, per iniziativa di radicali e femministe del MLD, Claudio Signorile e Maria Magnani Noya erano stati oggetto nel convegno della sinistra socialista.
Ho dovuto aspettare che tu voltassi pagina, e ti mettessi a parlare dei temi che ti sono più consueti (la costruzione del socialismo, l'autogestione, il socialismo libertario, la critica della teoria dello sviluppo), per tornare a riconoscere il Lombardi che stimiamo e a cui ci siamo spesso trovati vicini. Non che tutto quello che affermi in questo campo sia condividibile (perché trovo anche qui alcune fughe in avanti teoriche o programmatiche che sono in stridente contrasto con alcuni comportamenti pratici ed opportunistici della tua corrente, o almeno degli uomini a cui, in essa, avete affidato eccessivo potere), ma certo appartiene a comuni valori e a comuni scelte di fondo e di prospettiva.
Non ti scriverò di questo. E preferisco dimenticare il tono e le affermazioni da campagna "difendiamo la vita" a cui prima facevo riferimento.
Ciò che mi preme contestare della parte più razionale del tuo intervento al convegno della sinistra socialista, come anche della lettera che hai inviato al congresso radicale, sono alcune affermazioni e impostazioni, che riguardano i rapporti fra socialisti e cattolici, e il rapporto teorico fra laicismo e lotta per il socialismo, che a me paiono gravi e pericolose.
Ce n'è stata una di interesse più immediato, riguardante il referendum sull'aborto. In polemica con il compagno Franco Roccella tu hai detto che non si può fare di questo problema politico e sociale l'occasione di uno scontro fra cultura cattolica e cultura laica e socialista. A differenza che per il divorzio, con l'aborto non sarebbero in gioco i problemi di laicismo: in questo campo infatti le obiezioni e i dubbi di cui i cattolici sono portatori non interpretano soltanto la coscienza religiosa ma investono problemi che sono comuni anche alla morale laica e umanistica: quelli del "diritto alla vita". Hai sfoderato perfino la polemica sulla vita in potenza e la vita in atto, una polemica nella quale noi radicali (che fummo gli unici ad opporci alla campagna di linciaggio cui intellettuali "laici" sottoposero Pasolini) abbiamo sempre rifiutato di lasciarci trascinare. Hai detto che per dei socialisti l'aborto va affrontato soltanto sul piano pratico, nei suoi aspetti di ingiustizia di classe. Con ciò liberan
doti e gettando nella spazzatura non solo la tematica del diritto all'aborto (e da qualsiasi aspetto pratico e teorico guardi il problema, sempre all'instaurazione di un diritto, pieno o limitato, devi arrivare) e dell'intera tematica della liberazione femminile (il tuo discorso è stato infatti abbastanza anti-femminista) ma anche di uno dei due termini che nella lotta per l'aborto ci uniscono ai socialisti (l'aborto libero e gratuito).
Conviene tralasciare le conseguenze logiche di questa impostazione per concentrarsi sulla questione centrale (anche perché chiarita questa si chiariscono anche le altre). Il compagno Roccella quando ha parlato di scontro fra cultura socialista e cultura cattolica, non si riferiva alle questioni che tu hai posto: non si riferiva alla concezione della vita ed ai problemi che questa pone alla coscienza di tutti, cattolici o no, ma si riferiva alla concezione che una cultura cattolica che è ancora controriformista ha della legge, dello Stato, dei rapporti fra Stato e cittadini, e quindi del rapporto fra autorità e libertà, fra libertà e responsabilità. Roccella non poneva quindi problemi morali e religiosi nei termini di grezzo e rozzo positivismo che tu gli attribuivi (e nell'ambito dei quali in realtà proprio tu ti muovevi, liberando fantasmi che è difficile esorcizzare), poneva un problema che attiene certo, in tutt'altro senso, alla moralità politica e alla coscienza religiosa, proprio perché è un problema d
i laicità e di libertà.
Potrei parlarti della spietata legge vigente sull'aborto, del modo discriminatorio con cui è stata applicata, dell'immondo mercato clandestino che ha provocato e tollerato, del massacro di classe di cui in questi decenni è stata responsabile ai danni di milioni di donne, piccolo-borghesi o proletarie, giovani o adulte, contadine o operaie, cattoliche o comuniste. Potrei allargare il discorso all'intera amministrazione della giustizia, con i processi che non si fanno, con i difensori d'ufficio che vanificano ogni diritto alla difesa e costituiscono, della difesa, una funzione rituale, dei tribunali che nei confronti degli emarginati sociali si trasformano in plotoni di esecuzione. Mi sarebbe così dimostrarti cosa significa una cultura cattolico-controriformistica, quali conseguenze ha questo tipo di concezione della legge e della giustizia e quali guerra di classe viene condotta ogni giorno in suo nome e servendosi di essa: come al fondo di questa cultura non ci sia neppure la legge uguale per tutti, ma solo
l'uso strumentale della legge amministrato discrezionalmente secondo gli interessi del potere; come perfino i codici fascisti di Rocco siano preferibili perché presuppongono il diritto, perché creano - sulla base degli stessi principi - una spietata e repressiva legalità, ma pur sempre una legalità.
Mi basta invece parlare della legge che, grazie ai comportamenti e alle responsabilità dei compagni Signorile e Magnani Noya, si è preparata nel comitato ristretto. Ci si deve affidare - anche per la soluzione dei problemi di coscienza, dei problemi morali e religiosi, che non sono appannaggio esclusivo dei cattolici di questa Chiesa, anzi - alla libertà, cioè alla crescita individuale e collettiva della società e dei cittadini, o ci si deve invece affidare alla autorità? Questa è la domanda centrale a cui si deve rispondere. Questa è la domanda che era implicita, io credo, nel discorso del compagno Roccella. Se si dà la prima risposta non si partecipa come hanno fatto Signorile e Magnani Noya al comitato ristretto, si fa fino in fondo la battaglia prima in Parlamento e poi se è necessario nel paese con il referendum, ci si batte per la libertà d'aborto, per la libertà della donna e per la sua responsabilità di decidere e scegliere una maternità libera e consapevole, per la libertà e la responsabilità della
donna di oggi e soprattutto della donna di domani, nella società laica e socialista che anche con queste lotte vogliamo costruire. Se si dà la seconda risposta, allora si può partecipare al comitato ristretto, si possono accettare tutti i compromessi, la libertà della donna diventa un inutile accessorio, forma più o meno gesuitiche di casistica diventano inevitabili, deve esserci una autorità che decida per la donna e al posto della donna, magari con la ipocrita riserva mentale (anche questa, caro Signorile, quanto gesuitica!) che la casistica potrà essere aggirata e l'autorità (il medico) potrà, con accorgimenti legislativi, decidere sempre nel senso desiderato dalla donna. E in questo caso ci si deve affidare anche, è normale e logico affidarsi, al terrore, alla vergogna, al tabù, all'umiliazione per la propria condizione che la legge crea nei cittadini, nelle donne, negli umili di fronte alla drammaticità di certe scelte.
Caro Riccardo, ma pensi davvero che contrapporre, in questa società e in questo regime, laicismo e lotta di classe? Questa è una società che non ha avuto vera e autentica rivoluzione borghese, ma solo, se l'ha avuta, rivoluzione e unificazione nazionale, e che non ha avuto riforma religiosa ma solo eretici, bruciati e perseguitati. Questo è un regime in cui la cultura clericale con i suoi valori e con la sua ideologia tradizionalista, interclassista, repressiva e corporativa ha rappresentato per trent'anni il tessuto connettivo del blocco sociale delle classi dominanti, e del consenso di massa della DC.
Per trent'anni l'errore della sinistra è stato quello di considerare questi problemi come secondari, borghesi, sovrastrutturali; di fondare tutte le sue scelte politiche sull'economia e sullo sviluppo; di non capire che i diritti civili non costituivano un terreno arretrato di lotta e il tardivo completamento di una rivoluzione borghese che non c'è mai stata ma occasioni storiche, in questa società e in questo regime, per una generale lotta di liberazione di classe: di stabilire una automatica identificazione fra la Chiesa e i suoi vertici, (con i loro interessi di potere e la loro ragion "di stato") e il movimento cattolico e la questione religiosa. E tu ci riproponi ancora gli stessi errori? Dobbiamo stare a discutere di queste cose ancora, e proprio con te? Commetterai anche tu il gravissimo errore, per guardare ad alcune espressioni "evidenti", istituzionalizzate, e ufficiali del mondo cattolico, magari minoritarie, di perdere di vista l'altra Chiesa che esiste in questo paese, come esiste, e ha cominci
ato ad esprimersi a riconoscersi e a farsi sentire, un'altra società, e come può e deve esistere un altro Stato?
C'è stato uno scambio di battute rivelatore, durante il tuo intervento, fra te, me e Claudio Signorile. Dicevi in quel momento che non possiamo ignorare i valori della cultura religiosa e cattolica, e non possiamo contrapporci ad essi in nome dell'anticlericalismo. Ti ho interrotto per dirti che bisognava intenderci sul significato delle parole: cultura cattolica-postconciliare e cultura cristiana evangelica, o cultura cattolica tridentina e controriformista. E' intervenuto Claudio Signorile, a correggerti, perché troppo frettolosamente mi davi ragione: "Non dobbiamo farci carico anche dei valori della cultura cattolica controriformista. Non si possono cancellare tre secoli di storia...".
Appunto, caro Riccardo, dobbiamo decidere di cosa dobbiamo "farci carico", per usare l'espressione di Signorile. Quante volte non mi hai ripetuto che la politica laica e anticlericale va portata avanti anche all'interno delle nostre organizzazioni, contro il clericalismo che vi alberga, e non soltanto nei rapporti con la Chiesa? L'ultima volta me l'hai detto alla vigilia del nostro congresso. Non so se sei stato e se sei un eretico nella storia della sinistra italiana. Certo fai parte di una tradizione, di un filone culturale, di una corrente ideale che ha prodotto più eretici che conformisti. Il vero spartiacque non è fra cattolici e laici, fra cattolici e socialisti. Il vero spartiacque va tracciato, anche a sinistra, anche nel tuo partito, anche nella tua corrente, tra credenti e non credenti, fra quanti credono - non importa se in Dio o nell'uomo, nella libertà, nel popolo o nella classe - e sono in quanto credenti spiriti religiosi, e coloro che non credono in altro che nel potere sia pure esercitato in
nome di Dio, dell'uomo, della classe, del popolo e magari della libertà.