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Cicciomessere Roberto - 12 dicembre 1975
La LOC è un movimento antimilitarista, non la corporazione degli obiettori
di Roberto Cicciomessere

SOMMARIO: Alla vigilia del 4· Congresso nazionale della LOC (Lega degli Obiettori di Coscienza - Milano - 4, 5 e 6 gennaio 1976), l'autore polemizza con chi vorrebbe che la LOC fosse solo una struttura sindacale per la tutela degli obiettori in servizio civile e non l'organizzazione per la promozione dell'antimilitarismo nonviolento.

(NOTIZIE RADICALI N. 221, 12 dicembre 1975)

Dovrà essere un momento di profondo chiarimento e di precise scelte. Tutti i compagni obiettori, antimilitaristi non-violenti, radicali hanno quindi il diritto-dovere di partecipare al 4· congresso nazionale della LOC che si svolgerà il 4, 5 e 6 gennaio a Milano.

Dopo tre anni di applicazione della legge "per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza" dobbiamo fare il punto sul significato del rifiuto della divisa nell'attuale situazione e sviluppo degli eserciti ed in presenza dei nuovi contributi teorici sull'antimilitarismo e soprattutto fare chiarezza fra le posizioni di chi sempre più ritiene di dover privilegiare il momento del servizio civile a quello del NO al modello organizzativo militare e coloro che ritengono urgente e prioritario recuperare il contenuto originale e storico della nostra testimonianza politica.

Credo infatti che proprio oggi, in presenza di nuovi e non previsti contributi alla lotta contro l'organizzazione militare da parte del personale permanente delle FF.AA e di profonde modificazioni "strutturali" degli eserciti nazionali, la proposta complessiva dell'obiettore di coscienza abbia, unica, la possibilità di rappresentare con chiarezza una insostituibile posizione politica per noi irrinunciabile.

Devo confessare che anche io ho avuto la tentazione, nel momento in cui sono stato più coinvolto nella crescita del movimento dei sottufficiali ed ufficiali democratici, di credere praticabile anche una via antimilitarista che nascesse dalle contraddizioni interne dell'istituzione. E con questo non voglio certo rinnegare l'enorme contributo che hanno dato e potranno dare questi movimenti di militari nella denuncia sempre più puntuale dei meccanismi autoritari ed antipopolari dell'istituzione militare e soprattutto nella demistificazione di analisi semplicistiche e manichee, purtroppo ancora proprie di alcuni movimenti anarchici, che ponevano tutto il male nell'esercito e nei suoi componenti visti come individui incapaci di contraddizioni e di denuncia delle stesse. Questo nuovi "compagni di strada" ci costringono cioè ad analisi meno generiche, più difficili ma anche più rispondenti alle reali funzioni dell'esercito moderno che non può più essere identificato, per inadeguatezza di analisi, a quello piemontes

e o della I guerra mondiale.

Ho creduto cioè, per un momento, che a partire dalla esplosione interna della contraddizione fra società civile ed organizzazione autoritaria delle FF.AA, dalla presa di coscienza dei disagi profondi del personale permanente dell'esercito che sono determinati soprattutto da crisi d'identità, da crisi del ruolo individuale e collettivo dei militari, dovesse necessariamente e meccanicamente scoppiare il rifiuto dell'istituzione.

Credevo in modo deterministico che quando i militari sinceramente democratici si fossero posti il problema del loro stato, non solo in termini negativi (no alla limitazione delle libertà civili nell'esercito, no al divieto di discussione e dibattito sulla strategia militare e politica delle FF.AA., non alla funzione antipopolare...) ma avessero iniziato a discutere, anche solo in termini militari, del possibile ruolo dell'esercito, sarebbero arrivati necessariamente alla conclusione che non è possibile una difesa armata (tradizionale o nucleare) del paese e che altra soluzione non esiste al di fuori della conversione delle strutture militari in strutture civili e nella difesa popolare (non-violenta o meno) del paese.

Ed in effetti ciò è avvenuto in alcune avanguardie del movimento, ma al momento di trarre le necessarie conclusioni si è opposta la quasi infinita capacità del "sistema" di recuperare a proprio vantaggio le stesse proprie contraddizioni (ristrutturazione delle FF.AA. e aumento delle spese per armamenti; forme di rappresentanza e partecipazione dei militari all'interno delle caserme), le tentazioni verso modelli portoghesi o terzomondistici (grazie anche al "contributo" dei compagni della "sinistra rivoluzionaria"), ed in definitiva l'impossibilità culturale e storica di concepire anche solo teoricamente l'abolizione degli eserciti.

Ecco, allora ho capito ancora più profondamente che il significato maggiore dell'obiettore di coscienza non risiede nella controproposta perbenistica del servizio civile alla comunità, neanche nella generica proposizione umanitaria e pacifista, ma nella concreta demolizione del mito, del simbolo dell'esercito e della sua necessaria esistenza.

Il simbolo dell'esercito, con i suoi accessori culturali e mitici come "se vuoi la pace prepara la guerra", "disarmo sì, ma multilaterale", "esiste da sempre", "se aggredissero tua madre, tua sorella non reagiresti con la violenza", non è un elemento astratto, sovrastrutturale della dialettica politica. E' contenuto strutturale e quindi storico di un sistema politico. E trova la sua più precisa espressione reale nella forza di imporsi come modello organizzativo, di comportamento collettivo in tutta la società, nell'istituzione militare come nel processo produttivo, nella gestione del tempo libero come nei comportamenti associativi ed interpersonali.

Non è un caso che oggi il confronto più duro e decisivo si combatta proprio fra chi, da posizioni di "destra" o di "sinistra" tenta d'imporre o recuperare i meccanismi gerarchici, autoritari, o gli alibi strutturalistici (prima risolviamo i problemi economici poi pensiamo ai diritti civili; prima puntelliamo la crisi di sistema e regime con compromessi più o meno storici e poi pensiamo all'attuazione delle libertà costituzionali) e chi invece crede ed opera non solo per il possesso pubblico dei mezzi di produzione ma anche e soprattutto per la modifica dei meccanismi illiberali di produzione.

L'obiettore di coscienza, esprime, nell'unica forma intellegibile e con mezzi omogenei all'obiettivo, una proposta politica e culturale radicalmente alternativa a tutti gli eserciti.

Senza il coraggio di sostenere con chiarezza questa posizione nessuno sbocco politico ed ideale positivo potrà essere proposto alla lotta all'interno dell'istituzione militare, al crescente disagio del paese sempre più tartassato per finanziare costosi quanto inutili giocattoli mortali per i generali, per la classe politica ed economica che ancora una volta, anche se indirettamente, li utilizzerà per il controllo politico e militare della società.

Ritornando ai problemi del congresso della LOC, mi sembra chiaro che voler trovare giustificazioni ed alibi all'obiezione di coscienza nel servizio civile è quanto di più sbagliato e riduttivo potremmo fare. L'obiezione di coscienza si "giustifica" da sé anche a prescindere dall'utilità o meno del servizio civile. Dobbiamo anche dire chiaramente che chi ritiene di dover condizionare l'obiezione di coscienza al servizio civile ovvero ritiene la dichiarazione del No agli eserciti marginali rispetto al lavoro politico del servizio alternativo non è un antimilitarista non-violento.

Ed a questa affermazione possiamo forse capire uno dei maggiori errori della LOC; aver voluto o dovuto rappresentare tutti gli obiettori e non solo quelli che si identificavano, non solo a parole ma nel comportamento, ai principi costitutori di questa organizzazione politica.

Il resto è secondario. Necessariamente la LOC si è infatti trasformata in organizzazione corporativa degli obiettori in servizio civile, in ufficio di collocamento, in organizzazione sindacale dove si parla quasi esclusivamente di questioni normative ed economiche attinenti alla condizione di volontario civile e solo marginalmente dello specifico della nostra lotta: l'antimilitarismo.

E' secondario anche recriminare gli incredibili compromessi con l'istituzione militare a cui siamo arrivati nella gestione del servizio civile proprio per mancanza di tensione antimilitarista e l'incredibile disinteresse dei più alle lotte degli obiettori totali che non a caso ricoprono la responsabilità di presidenza nella nostra organizzazione proprio perché testimoniano con chiarezza che l'obiezione di coscienza di sostanzia solo nei modi e nelle forme con cui si testimonia e si comunica il No all'esercito e che quindi il "resto", cioè il servizio civile, o è gestito in funzione di questa proposta o è "altro", anche se legittimo e con un preciso valore sociale.

E' secondario anche fotografare una situazione di servizio civile divenuto solo per pochi serio impegno di pratica sociale e per molti interminabile ed alienante periodo di attesa del congedo, riproponendosi cioè negli stessi termini del servizio militare.

In questo congresso bisogna avere il coraggio di scelte chiare.

Dovremo verificare se è possibile ricostituire una segreteria collegiale omogenea ai contenuti prima espressi e quindi capace di proporre e gestire lotte antimilitariste e nel contempo dare struttura organizzativa autonoma, anche se parallela, per la gestione del servizio civile, oppure se ciò non è possibile ritenendo sia gli uni che gli altri di dover rappresentare tutti e tutto.

Sicuramente non potremo accettare l'attuale paralizzante condizione di continuo scontro politico ad ogni livello che ha impedito sia una forte gestione della lotta antimilitarista che, per coloro che credono nel significato autonomo del servizio civile, l'elaborazione di un preciso progetto di intervento nel sociale con le alleanze quindi necessarie per questo scopo.

Non è infatti più concepibile che in una organizzazione come la LOC che si definisce antimilitarista e nonviolenta possano coesistere, proprio a partire dal lavoro nel sociale dove ad ognuno compete una propria posizione politica sulle quali istituzionalmente la LOC non può interferire, espressioni politiche dell'antimilitarismo inconciliabili. Credo che la soluzione stia solo nell'attuazione di una formula più volte affermata ma sempre rimasta alle parole e non nei fatti: la LOC rappresenta solo gli obiettori di coscienza antimilitaristici nonviolenti che intendono, anche nel servizio civile, privilegiare questo contenuto di lotta; la LOC fornisce del resto a tutti gli obiettori, senza distinzione, i servizi necessari per una gestione del servizio civile che garantisca il principio dell'autodeterminazione e dell'autogestione democratica.

Ognuno di noi deve perciò assumersi nel congresso i conseguenti comportamenti.

 
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