SOMMARIO: La denuncia l'ennesimo atto di repressione interna del PRI cioè l'espulsione dal partito di Franco De Cataldo; la lettera inviata da De Cataldo ai probiviri nella quale rifiuta di presentarsi davanti a questo collegio che ricusa per l'indifferenza mostrata in tante violazioni dei deliberati ufficiali del Pri e chiede di essere giudicato dal Consiglio Nazionale.
(NOTIZIE RADICALI N. 1, 24 gennaio 1976)
Il 10 gennaio il Consiglio Nazionale dei Probiviri del PRI ha deciso di espellere Franco De Cataldo dal partito repubblicano. E' stato compiuto, così, l'ennesimo e più grave atto di repressione interna del PRI da diversi mesi a questa parte. A De Cataldo era stata imposta l'opzione fra Partito Radicale e PRI, alla vigilia del congresso di Genova, il febbraio scorso. Si era cercato così di spegnere il dibattito congressuale eliminando uno degli oppositori della linea La Malfa. Ma il tutto si era riversato sui dirigenti repubblicani dopo la rivelazione dello scandalo Gunnella, il sottosegretario lamalfiano accusato di connivenze con la mafia e per questo espulso dal PRI e riammesso solo attraverso la violazione di ogni norma statutaria. Dopo il 15 giugno, quando De Cataldo dichiarando nel corso della campagna elettorale che si sarebbe opposto a ogni forma di collaborazione con la DC, raccolse su di se i voti dei laici e libertari sia repubblicani che radicali e fu eletto alla Regione Lazio, cominciarono i prim
i deferimenti ai probiviri che sono continuati fin nei giorni scorsi, alla vigilia della sua espulsione.
Nella lettera che pubblichiamo De Cataldo spiega le sue "colpe" e rifiuta di comparire dinanzi a siffatti "giudici". Per quanto ci riguarda, la decisione dei probiviri repubblicani è coerente con l'intera linea del partito: non a caso si tratta del partito del famigerato ministro Reale, autore della omonima legge assassina, sprezzante violatore della costituzione (per esempio in materia di referendum) e delle leggi (per esempio i ritardi nella pubblicazione della legge sulla droga che sono costati giorni di carcere a centinaia di persone); il partito che si atteggia a moralizzatore della vita pubblica mentre è ancor sozzo dei miliardi dei petrolieri e del furto compiuto con la legge sul "finanziamento pubblico ai partiti"; il partito che fatto carta straccia della sua proposta "liberalizzatrice" dell'aborto, accodandosi, appena ha potuto, al ben più vantaggioso carro comunista; un partito che ha fatto propri i sistemi clientelari e mafiosi della DC (e non a caso in Sicilia si parla di "lamalfiosi").
Il "caso" De Cataldo ha costretto costoro ad uscire allo scoperto, a dimostrare all'opinione pubblica e ai loro elettori quanto sia falsa la loro "laicità", come sia profonda la loro intolleranza, come la loro forza sia basata sulla repressione del dissenso e del dibattito politico. L'esempio di Franco De Cataldo deve essere innanzitutto indirizzato agli amici della Sinistra Repubblicana: se invece di trovarsi di fronte a casi isolati di opposizione, i dirigenti troveranno 100 casi analoghi, compatti in tutta Italia, la situazione sarà molto diversa. Altrimenti la via alla "normalizzazione" sarà aperta e spianata; chiusa invece ogni speranza di far rivivere le tradizioni laiche e libertarie che pur hanno fatto parte del patrimonio dei repubblicani.
Questo il testo della lettera inviata da Franco De Cataldo ai probiviri.
Egregi Signori,
di nuovo convocato da voi per essere giudicato e condannato, nonostante la dimostrata inconsistenza degli addebiti mossimi, non intendo avallare più parodie di processi con la mia presenza né la vostra legittimità morale con la mia acquiescenza.
Questo posso dirvi con assoluta serenità e senza tema di conseguenze pratiche: cosa potrei infatti temere da un organo che non ha in alcun modo reagito al pubblico insulto di "ignobili torquemada" e di "miserabili mozza orecchi", urlato dall'allora Segretario del Partito ed ora Presidente, contro l'interno Collegio Nazionale dei Probiviri del PRI?
Mi avete già condannato una volta per un semplice, preteso, reato di opinione, per aver sostenuto nel corso della campagna elettorale amministrativa regionale la necessità di una alternativa democratica della sinistra unita contro il malgoverno e l'uso corrotto e corruttore del potere da parte della DC sia a Roma sia nel Lazio.
Lo avete fatto con celerità. Avete subito senza reagire la decisione della Direzione Nazionale che mi ha sospeso per due mesi in dispregio delle norme statutarie. Avete obbedito al Presidente del Partito che, con sua lettera ufficiale, vi ingiungeva di condannarmi, non osando nemmeno protestare e ribellarvi contro questo aberrante comportamento. Il solo Arcamone ebbe un sussulto di dignità, dimettendosi in un primo momento, e poi rassegnandosi anch'esso. Lo avete fatto con celerità per rispondere ad esigenze non già di giustizia ma di potere, di ordine e di "normalizzazione", in relazione agli interessi particolaristici che servite.
Non avete infatti reagito con nessun altro, quando in tutta Italia, non solo singoli consiglieri, ma intere direzioni provinciali e regionali, violando i deliberati ufficiali del Congresso e del Consiglio Nazionale, hanno scelto altre formule di maggioranza di quella di centro-sinistra.
Non avete reagito nel caso di amici della mia stessa regione, il Lazio, che hanno deliberatamente fatto, confermato, aggravato, quel che mi avete imputato di aver solo auspicato e voluto, finora inutilmente. A Rieti, dove il centro-sinistra era ampiamente possibile, i repubblicani sono stati i promotori e i realizzatori, in Comune ed alla Provincia, di maggioranze e di giunte di sinistra contro il centro-sinistra altrimenti possibile. Questi amici sono sindaci, assessori presidenti di commissioni, da questa estate, contro delibere e ammonimenti di ogni tipo, e da ogni libello del Partito. Non so se abbiate istruito il processo, certamente non avete emesso "lodi": anche in questo caso, avete obbedito, avete servito.
Non avete battuto ciglio per una serie di altre situazioni "frontiste" del Lazio che la Direzione regionale ha, pressoché sistematicamente, consentito nel più volgare stile trasformista e senza tener alcun conto della pretesa "linea" generale del PRI.
Ora mi imputate (e state per espellermi dal PRI) quanto ho ritenuto in coscienza di dover semplicemente dire nella mia funzione di eletto del popolo, che ho il costituzionale obbligo di servire in piena libertà e responsabilità. Mi imputate di aver espresso giudizi contrari ad una operazione di sostanziale accordo con il PCI e la DC alla Regione Lazio, su una piattaforma programmatica ed una prassi che ritengo sostanzialmente antidemocratiche, truffaldine nei confronti degli elettori e denunciavo comunque prive di forza e di credibilità (e i fatti mi hanno dato ben presto ragione). Mi imputate di non essermi recato a votare in una determinata circostanza.
Questo, in un Partito in cui la Direzione Nazionale ha proclamato ufficialmente il diritto degli eletti repubblicani a non adeguarsi alle delibere del Partito su questioni essenziali, che ne coinvolgono gli stessi principi costitutori, le tradizioni laiche, libertarie, repubblicane e civili, i diritti fondamentali della persona: ad esempio, per il rispetto dei diritti della donna e della persona in relazione all'aborto volontario. Si può, dunque, in questo Partito, esser "ortodossi" quando non se ne condividono gli ideali e i postulati fondamentali, e esser invece perseguitati, discriminati, condannati, linciati ed espulsi quando si dissente da scelte contingenti anche se importanti di opportunità politica e tattica. Si può esser espulsi, o sospesi, linciati e discriminati per quel che si annuncia di voler fare, per difformità di opinioni, e godere della piena impunità se quelle stesse cose che si sostengono in teoria o come intenzione si realizzano, si praticano.
Se questa è la legalità che il Partito prefigura al suo interno, il Paese dovrà attendersi ben altro che le proposte già autoritarie e antidemocratiche sull'ordine pubblico che, senza nessuna autorizzazione del Partito, il Ministro di Grazia e Giustizia ha proposto per suo conto il maggio scorso.
Si direbbe quasi che voi avete scambiato gli oltraggi lanciati contro il precedente Collegio Nazionale dei Probiviri del PRI dall'on. La Malfa per degli inviti e delle esortazioni da accogliere zelantemente e prontamente.
Nego in queste condizioni, la possibilità di riconoscervi come giudici, come probiviri. Lo nego anche in termini di diritto in sede tecnica. La mia ricusazione è obbligata e doverosa.
Mi auguro che almeno sentiate il dovere di accettarla.
Vi ricuso quindi e chiedo di rimettere il "processo" al Consiglio Nazionale perché nomini una Commissione che rappresenti tutte le componenti del partito e indaghi sui veri motivi degli atti persecutori nei miei confronti.
Il Partito ormai non è più una semplice associazione privata e di fatto. I diritti di ogni iscritto possono e devono essere garantiti anche dalla collettività, dalla giustizia ordinaria, se sono violati. Può quindi accadere che un eletto repubblicano partecipi ad una vicenda giudiziaria altrimenti che come imputato, fatto non infrequente di questi tempi, anche se naturalmente, probiviri come voi mostrano di non accorgersene.