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Notizie Radicali - 3 marzo 1976
Aborto: non basta qualche ``ritocco'', bisogna
Cambiare la legge

SOMMARIO: Le proposte del Pr per modificare il testo legislativo sull'aborto predisposto dalle Commissioni Giustizia e Sanità della Camera. La necessità di riscrivere l'intero dispositivo legislativo piuttosto che procedere ad un lavoro di modifica attraverso emendamenti.

(NOTIZIE RADICALI n. 4, 3 marzo 1976)

Il dibattito conclusivo si è aperto alla Camera sul problema dell'aborto. Grazie alle lotte radicali e femministe di questi mesi, le condizioni si sono in parte modificate: sono cadute le illusioni di poter raggiungere un facile compromesso con la DC, il testo approvato dalle commissioni della Camera ha mostrato tutta la sua astrusità e le sue pecche, la lotta per il diritto di autodeterminazione della donna ha fatto chiarezza sulla legge.

Anche per la pressione della sua stessa base (nella migliaia di assemblee di partito che si sono svolte in tutta Italia su questo tema alle voci critiche esterne dei radicali, delle femministe, degli extraparlamentari, si sono aggiunte quelle interne di molte compagne e compagni comunisti), il PCI ha ancora una volta modificato la sua posizione riconoscendo la necessità di garantire l'autodeterminazione delle donne. La direzione socialista ha ribadito le proprie posizioni, confermando la necessità di tener fermo il principio dell'aborto libero e gratuito. La federazione nazionale degli ordini dei medici ha infine dato un importante contributo al dibattito, abbandonando forse per la prima volta tentazioni corporative, e respingendo con decisione le responsabilità che il testo legislativo attribuiva al medico.

Sono tutti elementi e presupposti positivi. A questi deve aggiungersi il fatto che è caduto anche il tentativo di arrivare alla approvazione della legge con un dibattito affrettato e strozzato. Questo consente a tutti la possibilità di una meditazione più approfondita che può aprire la strada alla ricerca di soluzioni non equivoche come quelle che si erano invece affermate nel chiuso del Comitato Ristretto o all'interno delle Commissioni Giustizia e Sanità.

Esistono tuttavia ancora dei pericoli. Il primo di questi pericoli viene dalla illusione di poter raggiungere dei compromessi sotto banco con la Democrazia Cristiana. Non la DC in quanto tale, ma i cattolici e in generale i credenti sono portatori su questo problema di obiezioni e preoccupazioni morali e religiose, la cui importanza non può essere da nessuno disconosciuta. Propri per questo non si può ridurre il problema dell'aborto a una delle tante questioni di potere, trattate in maniera sotterranea. La strada maestra è quella del chiaro confronto parlamentare, di un chiaro dibattito ideale e politico.

Come sempre il compromesso ricercato a tutti i costi finisce per essere il peggior nemico di un vero dialogo che è reso possibile solo dalla chiarezza delle posizioni e anche delle contrapposizioni. Noi stentiamo a credere per esempio che un credente possa considerare più pericolosa per i suoi principi, che in ciò che hanno di vero sono validi per tutti, la libertà di decisione della donna rispetto ad una casistica, come quella formulata dall'art. 2 che contiene principi razzistici, o rispetto ad una soluzione che affida poteri di decisione o di intervento allo Stato in un campo che dovrebbe essere sacro e riservato alla libertà e responsabilità della coscienza individuale.

Il secondo pericolo è rappresentato dalla illusione che si possa garantire la libertà di decisione della donna e si possa giungere a una legge che apra la possibilità di scongiurare la piaga sociale dell'aborto clandestino, mantenendo inalterata la struttura complessiva del testo legislativo uscito dalle commissioni, apportandovi qualche modifica marginale al solo articolo 5. L'on. Mammì, che è uno dei padri e dei padrini del compromesso realizzato in commissione nel corso di un dibattito a cui ha partecipato anche Emma Bonino, ha definito la legge "ipocrita dal punto di vista morale" e "barocca dal punto di vista architettonico": ipocrisia e macchinosità rendono questa legge difficile e complicata, non chiara, ardua da applicare, aperta alle più diverse possibilità di interpretazione e quindi alla discrezionalità di applicazione. Alcuni rimedi che sono stati suggeriti, come quello della distinzione fra cosiddetto aborto sociale, determinato dalle condizioni economiche, sociali e familiari, e cosiddetto abor

to medico, determinato da condizioni mediche accertabili, ci appaiono peggiori del male che dovrebbero rimediare. Se si pongono delle condizioni economiche, sociali e famigliari, anche se ci si affida alla dichiarazione della donna, si apre comunque la possibilità di contestare la inesistenza di quelle condizioni. E in questa distinzione che fine fanno le condizioni psichiche, che anche la Corte Costituzione ha considerato determinanti? Come si farebbe a farle rientrare fra le "condizioni mediche accertabili"? E chi e con quali criteri dovrebbe accertarle? Abbiamo sentito parlare della volontà di limitare il potere del medico dell'accertamento di eventuali controindicazioni all'aborto. Ma è possibile parlare di controindicazioni mediche all'aborto? Possono esistere caso mai controindicazioni alla gravidanza, determinate dalle condizioni fisiche della donna, o controindicazioni all'anestesia, cioè relativa al momento in cui effettuare l'intervento, come per qualsiasi altra operazione chirurgica, ma non all'ab

orto.

In realtà non si può rimanere all'interno della logica di questa legge, e meno che mai all'interno della logica dettata dagli artt. 2 (casistica) e 5 (poteri del medico). Né si tratta solo di questi due articoli. Occorre modificare ciò che è compreso in altri articoli di questa legge. E bisogna aggiungere ciò che vi manca. Come dimenticare il divieto d'aborto per le minorenni, la complicata procedura burocratica che accompagna ogni intervento abortivo, il potere assegnato al medico provinciale? Come ignorare che la legge che prevede complesse procedure per ottenere il consenso medico all'aborto, non fissano poi alcun termine e alcun obbligo per il medico e per le strutture sanitarie pubbliche per l'effettuazione dell'intervento? Come ignorare che la legge non fa alcun riferimento al metodo dell'aspirazione e alla possibilità che esse offre di interventi ambulatoriali? Ed è possibile accertare la gravità delle pene per gli aborti, che in assenza di possibilità di ricorso agli ambulatori, colpirebbero chiunque

praticasse aborti al di fuori delle strutture ospedaliere?

A questo punto è necessario prendere atto che la via più semplice è quella di una riscrittura della legge, cioè la via della semplificazione e della chiarezza legislativa.

 
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