SOMMARIO: La polemica con il Pci a proposito dei finanziamenti al settimanale "Tempo" che con la direzione di Gregoretti e Jannuzzi aveva assunto una linea laica e di sostegno alle battaglie radicali. Il quotidiano comunista, in un corsivo dal titolo "In servizio sotto bandiere ombra", aveva infatti alluso a convergenza fra radicali, Sipra e Montedison. I radicali replicano affermando che "Su tutto accettiamo di essere ingiuriati e mistificati dall'Unità, tranne che sulla linearità, sulla pulizia, sulla bontà, sulla preveggenza, sul rigore (avremmo voglia di continuare) delle lotte del Partito Radicale contro padroni pubblici e privati, e, ancor più precisamente, contro Cefis".
(NOTIZIE RADICALI n. 4, 3 marzo 1976)
"Il 2 febbraio, preoccupati per una operazione che non comprendevamo o non riuscivamo a valutare del tutto positivamente, fummo lieti di poter rendere nota l'interrogazione che, per la lega 13 Maggio, l'on. Loris Fortuna aveva presentato in Parlamento sui rapporti fra "Tempo" e SIPRA.
Lo stesso giorno una lunga nota di Marco Pannella dal titolo "La Lega 13 Maggio, il Partito Radicale, la SIPRA e il nuovo ``Tempo''" diceva, fra l'altro:
"... Se fra SIPRA e ``Tempo'' sono passati accordi riprovevoli e non giustificati, vengano fuori: e non si continui a parlarne solamente in sedi irresponsabili, anche per non legittimare il sospetto che si tratti dei soliti tentativi di ricatto fra compari nella spartizione della torta... Ma torniamo a ``Tempo Illustrato...'' Sono amici, e, alcuni, anche nostri compagni radicali... Hanno voluto restare uniti, tentare insieme una carta difficile rischiosa, certamente suggestiva. Ho personalmente cercato di dissuaderli. Non sono d'accordo che i soldi ``non olent'' comunque, o che un padrone o un finanziatore valgano comunque un altro. Non hanno seguito il mio consiglio...".
"... Ho ancora dubbi e timori, non sulla loro onestà politica, ma sulla saggezza e linearità della scelta che hanno fatto. Spero che i fatti diano loro ragione. Di una cosa sono certo sulla loro soggettiva, indubbia speranza di poter assolvere una funzione che sia di pieno, vero sostegno alle grandi lotte di liberazione sociale e civile che combattiamo in condizioni sempre più difficili, in clima di nuovo assalto generale da ogni parte per la nostra abrogazione...".
"... I corvi che aleggiano intorno a ``Tempo'' di Gregoretti e Jannuzzi, sono già molti, in partenza, molti di più di quanto i nostri amici scorgano. Le difficoltà non tarderanno a manifestarsi.
Per me sono ragioni di più per augurare loro, sinceramente e pubblicamente, buon lavoro e buona fortuna. Ne abbiamo bisogno anche noi, per noi".
Ma sabato 14 febbraio, sull'"Unità", è apparso un lungo corsivo, sparato su sei colonne in seconda pagina, dal titolo "In servizio sotto bandiere ombra".
Non ci sentiamo in causa nelle polemiche tra l'Unità e Tempo, finché non coinvolgono le nostre posizioni politiche, la nostra dignità, la nostra storia, che è lunga quanto quella dei compagni del PCI, e come la loro comprende errori e ragioni, ma non ha mai compreso l'uso della violenza, della menzogna, della mistificazione sistematica quale arma di lotta.
Nel corsivo in questione non si menziona, è vero il Partito Radicale; molto probabilmente per i motivi stilistici che hanno portato l'Unità a scrivere, per dieci anni, "partito radicale", come altri scrivono "il paradiso stalinista", tra virgolette. Per gli stessi motivi l'Unità, dopo una breve parentesi, è tornata ormai a menzionarci solo per ingiuriarci. Per il resto è censura, più che alla RAI-TV di Bernabei e Finocchiaro, più che nei programmi televisivi gestiti dalle commissioni parlamentari dove i commissari politici comunisti riuscivano a proporre e imporre perfino l'abrogazione totale della LID oltre che del Partito Radicale, dal dibattito sul divorzio e sul referendum.
Questa censura, alla fine, si sta rivelando dannosa specie per i lettori dell'Unità, in primo luogo per i massimi esponenti del PCI. Come è accaduto a proposito della legge sulla droga (che i comunisti hanno contribuito seriamente a rendere pessima, come li ammonivamo e come i fatti vanno dimostrando), e sta accadendo per quella sull'aborto, dove il PCI ha accumulato in due anni un errore dopo l'altro e forse solo ora comincia ad accorgersene. Non si guadagna nulla facendo scadere il dibattito su posizioni diverse nell'ambito della sinistra a monologo di un sordo, come l'Unità ha fortemente contribuito a fare col PCI, e del PCI.
Ma nel corsivo c'è qualcosa che non vorremmo più che si ripetesse. L'abbiamo già detto e scritto molte volte. Su tutto accettiamo di essere ingiuriati e mistificati dall'Unità, tranne che sulla linearità, sulla pulizia, sulla bontà, sulla preveggenza, sul rigore (avremmo voglia di continuare) delle lotte del Partito Radicale contro padroni pubblici e privati, e, ancor più precisamente, contro Cefis.
Su questo punto i compagni dell'Unità e i compagni del PCI abbiano l'onestà, l'umiltà, e la decenza di tacere.
Non intendiamo né rivangare il passato, né discutere in pubblica rissa degli errori e delle sensibilità ad intermittenza del PCI di oggi sulla Montedison, su Cefis, e sulle sue operazioni stampa. I compagni del PCI e dell'ex PSIUP, del sindacato e dell'ENI, sanno perfettamente di aver commesso errori gravissimi in passato, che valevano oggettive, allucinanti complicità. Sanno che fu su questo, più che su altro, che il Partito Radicale per anni si trovò duramente isolato, linciato e abrogato. Da ogni parte. Dalla protezione dura e decisa a Cefis, nella sua resistibile ascesa, mentre edificava il suo impero di corruzione e di condizionamento della politica italiana e liquidava il poco di veramente positivo che Mattei aveva lasciato, alla reticente posizione verso le operazioni Rizzoli e Corriere delle Sera. E non parliamo o scriviamo di pranzi e telefonate fra X e Umberto Agnelli e fra Y e Ottone: di per sé non significano nulla, siamo d'accordo.
Quali siano i nostri rapporti con Cefis e con la SIPRA, con Agnelli e con la Stampa, con qualsiasi altro padrone e potentato, ivi compreso il loro, i compagni comunisti, loro per primi, lo sanno bene.
E tanto per non lasciar cadere l'occasione, la piantino con il pianto greco a difesa dei poveri "cattolici del no" (dell'ultimissima ora, quella della vittoria già acquisita: prima, per lo più, avrebbero voluto aiutare il "SI" con una campagna di astensione!) "estromessi" da "Tempo". Perché non ha chiesto i conti a Caprotti del passivo accumulato da lor signori, a quel che si sa più che un miliardo, per fare un giornale che vendeva 60 mila copie, o più di lì? E quei soldi da dove venivano? I soldi, più o meno gli stessi, odorano se vanno ai padroni dei quotidiani democratici bolognesi che falliscono per assoluta mancanza di lettori, se vanno ai virginei e glaciali occhi televisivi di La Valle, e puzzano, invece, se vanno a dei "radicalsocialisti" che almeno il mestiere lo conoscono e, quanto meno, possono salvare dal fallimento una testata e forse sanarne il bilancio con il denaro dei lettori? Si erano mai preoccupati di questa situazione i compagni dell'Unità in passato? Si erano mai chiesti come veniva amm
inistrata e gestita, oltre che procurata, la pubblicità quando i baciapile e i baciapotere del "NI" (che ora, sulla stampa di Agnelli, scrivono gli articoli democratici e scandalizzati che tanto piacciono loro e che citano con tanta ammirazione) collaboravano o dirigevano Tempo? E si era mai chiesta, per esempio, l'Unità con che soldi Donat Cattin finanziasse "Settegiorni"?
Amiamo e rispettiamo chi pratica con rigore la propria moralità e vigila anche su quella altrui. Ma i moralisti, con le loro casistiche gesuitiche, le loro tartuferie, i segmenti di rigore e di condiscendenza che s'alternano secondo i loro comodi, no.
Ce ne sono ancora troppi in giro, anche fra di noi, a sinistra. E l'ora che cambino, o siano cambiati.